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IL GIORNO DELLA VERGOGNA

"Non è che una bugia raccontata tre o quattro volte diventa verità"

Il celebre dipinto "Cicerone accusa Catilina". Solita situazione, solito quadro: cambiano i protagonisti, ma la storia non ha nascondigli
E' stata davvero una scena triste e miserevole, quella cui ho assistito ieri in Consiglio comunale. Si discuteva l'interpellanza generale sulla mancata nomina del direttore del Museo del Cinema. E la situazione era identica nei modi e nei motivi, pur con diversi protagonisti, a quella che s'era consumata in quella stessa sala un anno e mezzo fa, quando il consigliere d'opposizione Chiara Appendino si scagliò con la veemenza della coscienza pura contro l'assessore Braccialarghe, stigmatizzando gli impresentabili maneggi per la nomina del direttore del Mao. Andate a rileggervi la cronaca di quel 15 giugno, giorno di vergogna: anche lì un bando trasformato in carta da culo, anche lì una procedura arrangiata senza ritegno, anche lì un candidato che non piace e che dunque dev'essere fatto fuori, anche lì un assessore costretto a mentire in ossequio a una spaventosa ragion di Stato, anche lì una maggioranza assente o silente che accetta qualsiasi porchezzo nel nome di una malintesa fedeltà politica che in altri tempi e in altri luoghi si chiamerebbe ignavia, o complicità.

Ma chi glielo fa fare?

Quel 15 giugno 2015 provai profonda pietà per la dignità umana calpestata e irrisa; la stessa profonda pietà che mi ha intristito il cuore ieri, e ancora mi accompagna adesso, mentre tento faticosamente di descrivere ciò che ho visto e sentito. E' dura, ma devo farlo: l'orrore si supera soltanto trovando le parole per dirlo. 
"Ma chi te lo fa fare?", ero tentato di domandare allora a quel galantuomo di Braccialarghe trascinato, con suo evidente imbarazzo, in una vicenda da suburra. "Ma chi te lo fa fare?", avrei voluto ripetere a Francesca Leon ieri pomeriggio, mentre l'ascoltavo strisciare sui congiuntivi nel tentativo di giustificare l'ingiustificabile.

Il percorso del bando: i sei selezionati e come è finita a schifìo

I fatti sono pochi, e scontati. Alle domande poste dall'interpellanza (che potete leggere qui), l'assessore Leon replica elusivamente. Non uso questo termine a muzzo. Ella "elude" il nocciolo della questione: se cioè il candidato emerso dal bando, Alessandro Bianchi, sia stato bloccato per volontà del Comune a causa delle sue presunte simpatie per il pd. Fatto peraltro a me confermato apertamente dal sindaco in occasione del nostro famoso pranzo.
Leon nella sua risposta all'interpellanza ricostruisce minuziosamente il "percorso materiale" del bando: la selezione degli 81 candidati, l'indicazione di una "short list" di 6 profili (Paolo Verri, Paolo Perchiusai, Alessandro Isaia, Gianmario Montanari, più due candidati interni al Museo del Cinema, Davide Bracco e Daniele Tinti), i colloqui con il Comitato di gestione del Museo, l'esclusione di Montanari la cui esperienza viene giudicata insufficiente, il ritiro (per motivi forse personali, forse no) di Paolo Verri, la richiesta alla Praxi di rimpiazzare Verri con un altro candidato, che risulta essere per l'appunto Alessandro Bianchi. La narrazione di Leon arriva così alla fatidica seduta del 12 dicembre: e qui l'assessore glissa, si limita a dire che "mancò il numero legale". Come ben sapete, in quella seduta ne capitarono di ogni. Leon sorvola e arriva alla decisione (il 30 dicembre) di sospendere la nomina del direttore e offrire a Barbera una consulenza artistica (offerta peraltro giustamente respinta).

La nuova narrazione: il Museo dev'essere ripensato

Qui Leon s'inerpica in una disquisizione sull'inadeguatezza dell'attuale Statuto del Museo (inadeguatezza peraltro riconosciuta dai più, compreso Alberto Barbera). Il bando, dice Leon, "non rispondeva alla nuova complessità del Museo"; ma non spiega perché, allora, lo hanno voluto. La nuova linea del Piave, per il trio Giordano, è la seguente: non è possibile nominare un direttore se prima non si rivede la governance del Museo, attraverso una road map che, a detta di Leon, si articola in quattro fasi: 1) "assessment" (ma quanto gli piace, questa parola...) del personale e redazione di un organigramma; 2) produzione di un regolamento del personale e degli affidamenti; 3) verifica dei bilanci; 4) valutazione delle attività.
Dice anche, Leon, che questa road map si potrà concludere in due mesi. Figurarsi. Questo significa che il Museo è semiparalizzato (la Donata Pesenti è facente funzioni di direttore, ma solo per l'ordinaria amministrazione) e che se ne riparla per l'estate. Non oso pensare che ne sarà dei festival, nell'attesa. Temo fortemente le campane a morto per il Tglff.

La domanda delle cento pistole

Ma la domanda, adesso, è un'altra. Se davvero il trio Giordano è convinto che non si possa nominare un direttore senza aver prima rimesso in ordine l'intera baracca del Museo, mi vorrebbero lorsignori e signore spiegare per quale motivo ancora il 12 dicembre, nelle ore convulse dell'affondamento di Bianchi, loro - Appendino, Giordana e Leon - tentavano di far nominare direttore Daniele Tinti?
La risposta non c'è, neanche nel vento, Né può esserci, perché le preoccupazioni sulla "governance" del Museo - seppur ampiamente condivisibili - sono per il trio Giordano una scoperta dell'ultima ora. Prima di conoscere l'esito del bando, non dissero una parola, non mossero un singolo appunto: aspettavano fiduciosi che il bando pulito e trasparente desse al Museo il nuovo direttore che loro per primi invocavano da mesi. Poi dal bando è uscito il presunto piddino Bianchi, e la narrazione è cambiata.

L'invettiva di Lo Russo

Su quella traballante narrazione che sfiora il mendacio (si pecca, lo sappiamo dal catechismo, non solo per pensieri, parole e opere ma anche per omissioni...), l'opposizione va giù come un coltello nel burro. E il capogruppo del pd Lo Russo pronuncia un'invettiva identica, per temi e accenti, a quella di Chiara Appendino del 15 giugno 2015, gridando alla "lottizzazione partitica come nella peggiore Prima Repubblica"; insulto che per un grillino è ben peggio di un banale figgh'androcchia.

I misteri dell'animo umano

A beccarsi la tempesta c'è, triste solitaria y final, soltanto Francesca Leon. La scaltra Appendino, che per l'intero pomeriggio scutrettola dentro e fuori il Consiglio, in quello specifico momento, guarda caso, è fuori.
Francesca Leon avvampa. E io, a quel punto, provo un senso struggente di umana compassione. 
Francesca Leon è, ne sono convinto, una persona perbene. Di buona famiglia. Educata. Civile. Cresciuta in un ambiente colto, dignitoso, austero. Aveva un buon lavoro. Tante soddisfazioni. Una famiglia. Interessi culturali e sportivi.
Ma perché l'ha fatto? Perché continua a farlo? Perché ha accettato un incarico d'assessore (a mezzo servizio) e adesso sta lì, a sentirsi dare della bugiarda, a portare la croce di colpe che forse non sono sue e di certo non sono solo sue? Perché?
Insondabili misteri dell'animo umano.

Come in Sant'Ambrogio

Io assisto, mortificato testimone di una tragedia in sedicesimo. Una tragedia piccola e meschina come piccolo e meschino è questo tempo sbandato che ci è toccato di vivere. E dai recessi della memoria infantile sale la voce del mio vecchio maestro di scuola che ci ripete quei versi antichi e pur sempre attuali: "A dura vita, a dura disciplina, / muti, derisi, solitari stanno, / strumenti ciechi d'occhiuta rapina, / che lor non tocca e che forse non sanno. / Povera gente! lontana da' suoi, / in un paese qui che le vuol male, / chi sa che in fondo all'anima po' poi / non mandi a quel paese il principale!". 
Ed esco in fretta, per non cedere all'impulso di correre ad abbracciarla forte forte, la povera Francesca.

Commenti

  1. Spero bene i punti 1,2,3 della road map siano già disponibili: che non sappiano chi lavora e cosa fa e cosa si spende mi sembra piuttosto grave visto che non c'è una vendita in atto (o sì ?).
    Più che un "assesment" sembra una "due diligence" (chissà se piace anche questa parola)

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