Il progetto di Evelina Christillin e Christian Greco per rendere totalmente gratuito l'ingresso al Museo Egizio - e più in generale il tema ricorrente di una gratuità generale dei musei - suscita reazioni opposte. I più si dicono contrari in quanto la gratuità svilirebbe l'offerta culturale in sé; e questa è anche la mia posizione. Ma gli abolizionisti (abolizionisti del biglietto a pagamento, intendo) schierano a sostegno delle proprie tesi due argomenti in apparenza solidi.
Il primo argomento è il modello straniero: in Gran Bretagna, fanno notare gli abolizionisti, da tempo non si paga per entrare nei musei, da tempo è gratuito persino l'ingresso al British Museum. Ciò però non significa nulla: non ritengo che rappresenti un modello virtuoso e da imitare una nazione che vota per la Brexit e subito dopo il voto corre a consultare Wikipedia per capire che cosa diamine ha votato.
Più consistente è il richiamo dalla “elitarietà della cultura” di cui sarebbe strumento e simbolo rapace l'imposizione di un pur economico biglietto museale. Mi ha colpito il messaggio di un lettore che si qualifica come “operatore culturale”: egli sostiene che criticare l'accesso gratuito ai musei “non è solo miope, è borghese ed elitario. Proprio ciò che la cultura non deve essere”. E già qua sono deliziato dalla meravigliosa trouvaille storica della “cultura borghese” di cui avevo perso le tracce nel Sessantotto. Ma il gentile lettore prosegue: “Idealmente chiunque, soprattutto chi non può permetterselo, dovrebbe poter entrare più e più volte nei musei, visitare mostre, assistere a spettacoli e partecipare a festival. La cultura non è qualcosa per pochi eletti, renderne l'accesso possibile per tutti dovrebbe essere una missione, non qualcosa da combattere”.
L'equivoco sta tutto qui: che la cultura sia qualcosa di elitario perché basato sul censo. Come se in Italia la scuola dell'obbligo non fosse gratuita e non esistessero le borse di studio per i meritevoli; come se gratuito non fosse l'accesso alle biblioteche e agli altri istituti di cultura; come se i prezzi dei libri e dei biglietti di musei e spettacoli non fossero pari, se non scandalosamente più bassi, rispetto a quelli di beni voluttari di largo consumo, dagli smartphone all'abbigliamento modaiolo, dalle serate in pizzeria a quelle in discoteca.
La cultura è, per sua natura, elitaria. Nel senso che non è per tutti. Ma i soldi non c'entrano. E' elitaria perché presuppone qualcosa che a non tutti interessa. Perché presuppone fatica mentale, volontà, curiosità, voglia di migliorarsi. Perché non è tutto e subito, e non prevede scorciatoie. Perché non è alla moda, non attira like su Tik Tok e Instagram, non rende popolari, non è un valore per gli Amici di Maria e per le Pupe della tivù. La società forgiata da vecchi e nuovi media ed esaltata da politici e influencer tende anzi a ridicolizzare i secchioni, i professoroni, i dottoroni. La “cultura non elitaria” teorizzata da taluni è quella ben descritta da Guccini in una sua canzone: “Il pubblico vuole si parli più semplicemente, così chiari e precisi e banali da non dire niente, per capire la storia non serve un discorso più grande, signorina Cultura si spogli e dia qui le mutande”. E' questo il mantra della nostra misera contemporaneità.
Ora, presumere che l'abolizione del biglietto d'ingresso ai musei capovolgerebbe questo deprecabile stato di cose è altrettanto ingenuo quanto postulare che sia il prezzo di quel biglietto a tenere lontane le masse dai musei medesimi. Certo, una serie di facilitazioni, non esclusa la gratuità, a favore delle fasce deboli, o di giovani e anziani, è senz'altro auspicabile, e peraltro già largamente praticata. Ma regalare l'ingresso ai musei a chi può permettersi di pagare no, non è allargare la sfera della cultura: è populismo rozzo, volgare e inutile. Diciamocelo senza ipocrisie ideologiche: se le masse nei musei non ci entrano, non è per il costo del biglietto, bensì perché i musei non rientrano nella visione del mondo cui le masse aderiscono con entusiasmo. E come dar torto alle masse? Sono programmate così. Per cambiare qualcosa sarebbe necessario invertire il corso della Storia, riportare la scuola all'onor del mondo, trasmettere messaggi diversi, rispettare la lingua che parliamo (o che non parliamo più), ristabilire le scale di valori, esaltare le competenze, premiare il merito, elevare le menti, e piantarla una buona volta di convincere gli ebeti che le Pupe sono fighe e i Secchioni sfigati, e che se lo spettatore a casa sa – a differenza del concorrente in tv – chi ha scoperto l'America, allora si può considerare una persona colta.
Troppo complicato. E' più semplice e di sicuro effetto cambiare i parametri, come fanno certi sindaci per rendere balneabile il mare inquinato dei loro paeselli. Così si combatte la cultura “elitaria” livellandola alla soglia dell'idiozia (sai quanto fa sei per otto? Bravo, tu sì che sei colto). E intanto, come simbolica presa della Bastiglia culturale, aboliamo il biglietto d'ingresso ai musei. Musei dove i somari impenitenti continueranno a non entrare manco gratis, ma che importa? Quel che conta è il gesto, quel che conta è poter scrivere su Instagram che, dopo la povertà, abbiamo abolito pure la cultura elitaria e borghese.
Troppo complicato. E' più semplice e di sicuro effetto cambiare i parametri, come fanno certi sindaci per rendere balneabile il mare inquinato dei loro paeselli. Così si combatte la cultura “elitaria” livellandola alla soglia dell'idiozia (sai quanto fa sei per otto? Bravo, tu sì che sei colto). E intanto, come simbolica presa della Bastiglia culturale, aboliamo il biglietto d'ingresso ai musei. Musei dove i somari impenitenti continueranno a non entrare manco gratis, ma che importa? Quel che conta è il gesto, quel che conta è poter scrivere su Instagram che, dopo la povertà, abbiamo abolito pure la cultura elitaria e borghese.
Not in my name.
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