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TRA L'ANNUNCIARE E IL FARE LA DIFFERENZA SALTA AGLI OCCHI

La star: Coppola arringa i cronisti all'inaugurazione di Gallerie d'Italia

Prima di immergermi nel Salone del Libro, completo il ragionamento su Gallerie d'Italia, il museo della fotografia a Palazzo Turinetti regalato alla città da Banca Intesa Sanpaolo.

L'operazione - senz'altro benefica per Torino - è un'altra testimonianza dell'ormai assodata prevalenza del capitale privato/bancario nello scenario culturale cittadino.

In questi giorni avrete visto in giro i manifesti – la metro ne è piena - che sottolineano il ruolo di Compagnia di San Paolo in ogni Grande Evento torinese; in piazza Castello il cantiere per il restauro di Palazzo Madama ricorda ai passanti che i 2,4 milioni necessari per quell'intervento non più rinviabile li sborsa la Fondazione Crt; l'ingresso di Intesa nella compagine sociale del Regio è il segno più recente del peso di quella banca nel sostegno a quasi ogni impresa culturale sabauda; e la fotografia dei cronisti che, all'inaugurazione di Gallerie d'Italia, circondano avidi di dichiarazioni Michele Coppola (un tempo dimenticabile assessore regionale alla Cultura e oggi potente direttore centrale Arte Cultura Beni Storici di Intesa Sanpaolo) è la plastica rappresentazione di un mutamento sistemico che negli anni ha visto i grand commis di banche e fondazioni bancarie assurgere al ruolo di effettivi assessori alla Cultura, in una supplenza tanto necessaria quanto, sotto molto aspetti, mortificante per la politica.

Considerate che, dal primo annuncio (dicembre 2019) all'inaugurazione dell'altro ieri, i lavori a Palazzo Turinetti sono durati due anni e cinque mesi, con in mezzo una pandemia. E' davveri scoraggiante il confronto con l'infinito calvario di musei pubblici come quello di Scienze Naturali o la Gam, ma anche Stupinigi e la Cavallerizza (e tanti altri progetti annunciati da tempo immemorabile e ancora in alto mare: To Expo, Manifattura Tabacchi, Murazzi, Palazzo del Lavoro...).  

A Palazzo Turinetti la politica del fare si confronta con quella dell'annunciare, uscendone facile vincitrice. Non è – o non è solo – una questione di disponibilità economiche: in lustri di tentennamenti, burocrazie, indecisioni e non-decisioni i vani progetti e gli immobili cantieri di troppi nostri musei e beni architettonici si sono ingoiati fiumi di euro, senza apprezzabili risultati. E' tempo di cambiare registro. Il clima nuovo che si respira in città esige dalla politica a un approccio più efficiente e concreto: poche chiacchiere, nessun proclama, procedure snelle, competenze in campo, un pizzico di decisionismo in più e una montagna di autocompiacimento in meno. Insomma, l'approccio che ha un qualsiasi privato quando si prende cura dei propri beni, e ci spende del suo. Il nodo da sciogliere, la chiave della ripartenza di Torino, sta esattamente lì. 


Commenti

  1. Non potrei esser più d'accordo. Aggiungo solo che vorrei vedere meno direttori dei musei nullafacenti, poco pensanti e molto bla-blanti.

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