La festa appena cominciata è già finita. Beh, non proprio finita, ma insomma: direi che sta andando come con i Giochi, che fino al giorno prima vedevamo soltanto problemi, ritardi e inefficienze, e invece quando sono cominciati siamo impazziti e tutta la città s'è divertita, che fosse dipeso da noi non sarebbero finiti mai. E quando sono finiti, ci è piombato addosso uno spleen, una saudade subalpina che ancora ci portiamo dietro.
C'è però un'altra opzione, meno scintillante ma forse più utile, più efficace e senz'altro più realistica sul piano economico: approfittare dell'entusiasmo per l'Eurovision per dare vita a quella Music Commission Torino Piemonte di cui si favoleggia a vanvera da anni e anni. In un articolo su Corriere di oggi (ecco il link) espongo il mio punto di vista, che vale meno di niente. Mi conforta invece che l'idea della Music Commission fosse presente nel programma elettorale di Lo Russo (giusto per rinfrescare la memoria, e per la precisione, è citata alla pagina 27) e che di recente l'abbia rispolverata l'assessore Purchia. Quindi, keep calm and keep your promises.
L'alternativa, che alletta forse i politici più amanti dei circenses e delle connesse passerelle, è come dicevo il "Grande Festival Musicale di Respiro Internazionale". E' un'ossessione periodica dei sindaci di Torino. Periodica ma sempre sballata, perché il festival che viene immaginato è regolarmente un classico festival dei fichi secchi, finanziato con quattro soldi (quattro soldi relativamente ai costi standard di un festival davvero di respiro e richiamo internazionali) e talora gestito con la visione di talpe nella nebbia.
A dire il vero, in passato Torino l'ha avuto, il suo grande festival internazionale: varato da Fiorenzo Alfieri nel 2004, quando il sindaco era Chiamparino, si chiamava Traffic e ancora oggi chi l'ha vissuto lo rimpiange. Ma fu eutanasizzato dal Comune stesso dieci anni dopo, regnante Fassino, e non ho mai capito perché. “Perché il marchio non è del Comune”, si disse allora. Come se un Comune dovesse per forza possedere il marchio di un festival. Sia come sia, già nel 2012 Fassino s'inventò il Torino Jazz Festival. E non contento un paio d'anni dopo escogitò un secondo “marchio suo”, Todays, esaltato a vuoto come definitivo upgrade del giubilato Traffic.
Stigmatizzati dall'Appendino d'opposizione - ma dall'Appendino sindaco preservati e vezzeggiati - i due festival hanno conosciuto alti e bassi, fortune e traversìe, sopravvivendo fino a oggi. E adesso qualcuno vagheggia un altro festival ancora, il terzo, ma stavolta - dicono - davvero grande e internazionale.
Purtroppo, nella perenne ricerca del Grande Festival Musicale di Respiro Internazionale – per Torino ormai un mito inafferrabile come l'Isola non Trovata e il Grande Cocomero – nessuno prende seriamente in considerazione il fattore-soldi. Ma vogliamo capirla una buona volta che un grande festival davvero di richiamo internazionale comporta un investimento nell'ordine di milioni, non di centinaia di migliaia di euro? E una volta trovati i soldi, ci sarebbero da trovare anche i cervelli che sappiano spenderli, quei soldi: e non è facile come dirlo.
Limitiamoci però qualche conto in tasca.
Alla fine della fiera, l'Eurovision Village al Valentino verrà a costare minimo attorno ai 900 mila euro. E considerate che, sull'onda dell'entusiasmo, molte band torinesi di prima fascia e altri ospiti di valore hanno scelto di suonare gratis, o a rimborso spese. Ora: a giudicare dalle prime giornate e a dispetto della pioggia, l'Eurovillage pare funzioni, il cartellone è valido. Ma chiunque sappia qualcosa di musica e festival converrà che quello dell'Eurovillage non è il cartellone di un grande festival di richiamo internazionale. E costa, ripeto, 900 mila euro. Mica bruscolini, a casa mia.
Proseguiamo con la contabilità. L'edizione di quest'anno del Torino Jazz Festival costa 700 mila euro, una di Todays 800 mila (dato del 2019). Eppure né l'uno né l'altro sono grandi festival di richiamo internazionale.
Aggiungo un altro dato: al suo stadio terminale, Traffic aveva nel 2014, ultima edizione, un budget ridotto al lumicino che produsse un cartellone così così, non certo di grande richiamo internazionale (gli headliner erano Pet Shop Boys, Litfiba e Max Pezzali): ma quel budget "al lumicino" era pur sempre di 500 mila euro.
Ecco il punto: sommando ipoteticamente tutti i budget dei festival torinesi con ambizioni internazionali, presenti e passati (900+700+800+500), si racimola a fatica una cifra (3 milioni e 300 mila euro) che forse - e dico forse - consentirebbe di progettare un festival internazionale di un certo peso. E se non ci credete, andata a leggervi com'è che il Comune, per l'intero baraccone dell'Eurovision, arriva a spendere quasi 15 milioni senza neppur doversi fare carico dei cachet degli artisti in trasmissione.
Quindi, non volendo disperdere lo "spirito dell'Eurovision", la creazione di una Music Commission si presenta come una strada più praticabile, e sul lungo periodo più conveniente: il modello di riferimento è Film Commission, che ha un budget annuo inferiore ai 2,8 milioni (bilancio 2021: 2.020.000 milioni dalla Regione, 310 mila dal Comune e 387 mila dalle fondazioni) e produce ricadute economiche (posti di lavoro, forniture, ricettività) che s'aggirano tra i 15 e i 20 milioni. Per non dire del ritorno d'immagine e turistico, che nel caso della musica sarebbe ancor più significativo.
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