Ieri leggo sulla Stampa la seguente dichiarazione, attribuita - con tanto di virgolettato - al presidente del Museo del Cinema Enzo Ghigo (foto): "Vogliamo che il Tff sia un festival glamour, che è poi anche ciò che chiede il Comune. Piaccia o non piaccia, gli ospiti internazionali danno una risonanza ineguagliabile".
Piaccia o non piaccia, mi permetto di dissentire dal presidente Ghigo. Premesso che gli "ospiti internazionali" (ultimo, quest'anno, Oliver Stone) ak Tff ci sono sempre stati, quella del "Festival glamour" è una storia vecchia come il cucco. Già in passato (ovviamente per accontentare il politico di turno smanioso di visibilità) hanno provato a rimpiazzare l'anima cinefila del Tff con trovate glamourose. E con esiti alquanto grotteschi, per svariati motivi. Primo fra tutti il noto principio del vorrei-ma-non-posso: non si fanno le nozze coi fichi secchi, e si rimediano figure barbine a scimmiottare le baracconate della Festa del Cinema di Roma disponendo però della metà scarsa del budget di Roma.
Le mie riserve, però, non si limitano al fattore "pezze al culo". E le espongo dettagliatamente in un commento che potete leggere sul Corriere di oggi (o a questo link), e del quale riporto qui solo la conclusione: "Ad ogni modo, facciano lorsignori che sanno. Tenendo però presente che quando si gioca a tirarsela da fenomeni, i soldi non sono una questione secondaria. Il rischio è di spendere tanto, ma non abbastanza per conquistare l'agognata “visibilità”: e di ritrovarsi alla fine della carnevalata con un Tff senza più un'identità precisa. Un festival come tanti altri. Né carne né pesce".
Condivido in pieno.
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