Pubblico anche sul blog, a edicole chiuse, l'analisi - uscita stamattina sul Corriere - a proposito della confusa situazione in cui versa la governance del Museo del Cinema. Intanto è arrivato anche un aggiornamento: il direttore Domenico De Gaetano guadagnerà 80 mila euro all'anno, più 10 mila di retribuzione di risultato
Albertone Cirio è alle prese con un bel dilemma. Cerca un presidente per il Museo del Cinema. E se sbaglia la scelta, per il Museo sono guai serissimi.
Il dilemma di Cirio nasce da una constatazione fattuale. Mimmo De Gaetano è oggettivamente un direttore debole. Non dico sul piano professionale: non ho una conoscenza tanto profonda e diretta delle sue capacità e delle sue realizzazioni per azzardare un giudizio definitivo. E a questo punto tanto vale credere che invece le conosca alla perfezione Chiarabella, e che lo abbia imposto a ragion veduta. D'altronde avremo modo di scoprirlo vivendo, e non resta che augurarci che sia una felice scoperta: in fondo neppure di Christian Greco sapevamo granché, quando è arrivato all'Egizio, e guardate il fuoriclasse che abbiamo pescato.
Ma il Museo del Cinema è una struttura complessa e delicata. Per guidarlo non basta un espertone di cinema: sennò potevano lasciarci la Donata Pesenti, sulla poltrona di direttore. Servono relazioni ad alto livello, autorevolezza, credibilità nazionale e magari - ma magari! - internazionale. Servono per sfangarsela fra grane sindacali, bilanci riottosi, maneggi della politica, equilibrismi diplomatici con finanziatori e consigli d'amministrazione, trattative e rapporti con l'industria del cinema e lo star system. Guidare il Museo del Cinema significa anche muoversi con sicurezza tanto nei perigliosi corridoi di Cinecittà e dei ministeri romani quanto alle feste ancor più perigliose di Venezia, Cannes, Hollywood.
Su questo piano non è denigratorio, bensì fattuale, considerare Mimmo De Gaetano un direttore debole. Dunque, per le fortune del Museo del Cinema diventa cruciale la figura del presidente. Quello del presidente è un ruolo squisitamente "politico": il presidente è la faccia pubblica del Museo, e tocca a lui affrontare le insidie connaturate alla vita di una grande istituzione culturale. A maggior ragione se il direttore deve "fare esperienza", come oggi molti dicono di Mimmo De Gaetano: qui fuori c'è un mondo crudele e senza pietà che non concede tempo per fare esperienza.
Ecco perché Alberto Cirio ha un problema. Visto che, di riffe o di raffe, i cinquestelle del Comune hanno piazzato alla Mole il loro direttore, adesso secondo le norme non scritte della coesistenza pacifica spetta alla Regione di centrodestra indicare il presidente. A Cirio, che non è un settario, stava benissimo anche Toffetti, benché espressione della giunta Chiamparino: il vispo Toffetti aveva il peso per supplire alle debolezze di De Gaetano. Ma ipotizzare una coesistenza fra i due era pura follia.
Ora Cirio ha un disperato bisogno di un presidente credibile, non necessariamente organico al centrodestra ma almeno non un nemico dichiarato. Ci ha provato con Giampiero Leo, democristiano di lungo corso che potrebbe mettere d'accordo tutti: però Leo sta nel Consiglio della Fondazione Crt, e non è tanto sconsiderato da lasciare il gradevole strapuntino alla destra del Padre Quaglia per tuffarsi nel calderone ribollente del Museo.
Così il povero Alberto - e noi con lui - si trova davanti a un'amara constatazione: a Torino abbiamo la coperta corta. Non che manchino del tutto i cervelli: ma quelli davvero degni di un ruolo da presidente stanno già a fare i presidenti, e li abbiamo finiti, tant'è che ultimamente si comincia a ricorrere alle scartine. Un bel po' di cervelli, poi, li abbiamo costretti a scappare, disgustati dalle beghe da pollaio di una città sempre più ripiegata su se stessa.
E non dimentichiamo che la presidenza di un ente culturale è una carica "onorifica", nel senso che non prevede stipendio. Ciò aveva un senso quando si trattava di una sinecura per anziani ex potenti in cerca di un ufficetto comodo e ben riscaldato. Ma oggi il ruolo è molto diverso: il presidente è sempre in prima linea, si smazza i peggio impicci, e se sbaglia una mossa rischia pure di finire in gattabuia. Tutto gratis. Beh, ci vuole un uomo ben coraggioso. E pure benestante (o almeno pensionato) perché anche un presidente deve mangiare, e con le cariche onorifiche non si paga il conto del macellaio. Hai voglia poi di dire largo ai giovani: i giovani devono portare a casa la pagnotta e vanno dove li pagano, e se a pagamento non li prende nessuno un motivo ci sarà, e io mi porrei qualche domanda prima di ritenerli in grado di fare gratis i presidenti di alcunché.
Morale: se oggi dovessi indicare io un degno presidente per la Mole, super partes e universalmente stimato, l'unico che mi verrebbe in mente è Lorenzo Ventavoli. Ma è irrealistico immaginare che il grande vecchio del cinema torinese, splendido ultraottantenne, trovi la voglia, e la forza, per affrontare ancora un'altra, incerta battaglia. Ho anche pensato a un Enzo Ghigo presidente con esperienza politico-istituzionale, ma non so quanto sarebbe operativo; o al regista e produttore Davide Ferrario, se si guarda alle relazioni nell'ambiente cinematografico, però non vedo perché dovrebbe trascurare un mestiere che gli piace e gli riesce bene per ficcarsi in un simile canaio. Quindi mi arrendo. Fossi Cirio, mi metterei a piangere. Io però non sono Cirio, lui è il governatore e non li fanno governatori per caso: quindi saprà ben come uscirne. Purché alla fine non ceda allo sconforto e, pur di farla finita, non si rassegni a piazzare alla Mole qualche disutilaccio inetto ma fedele. Per il Museo del Cinema sarebbe il colpo di grazia.
Ma il Museo del Cinema è una struttura complessa e delicata. Per guidarlo non basta un espertone di cinema: sennò potevano lasciarci la Donata Pesenti, sulla poltrona di direttore. Servono relazioni ad alto livello, autorevolezza, credibilità nazionale e magari - ma magari! - internazionale. Servono per sfangarsela fra grane sindacali, bilanci riottosi, maneggi della politica, equilibrismi diplomatici con finanziatori e consigli d'amministrazione, trattative e rapporti con l'industria del cinema e lo star system. Guidare il Museo del Cinema significa anche muoversi con sicurezza tanto nei perigliosi corridoi di Cinecittà e dei ministeri romani quanto alle feste ancor più perigliose di Venezia, Cannes, Hollywood.
Su questo piano non è denigratorio, bensì fattuale, considerare Mimmo De Gaetano un direttore debole. Dunque, per le fortune del Museo del Cinema diventa cruciale la figura del presidente. Quello del presidente è un ruolo squisitamente "politico": il presidente è la faccia pubblica del Museo, e tocca a lui affrontare le insidie connaturate alla vita di una grande istituzione culturale. A maggior ragione se il direttore deve "fare esperienza", come oggi molti dicono di Mimmo De Gaetano: qui fuori c'è un mondo crudele e senza pietà che non concede tempo per fare esperienza.
Ecco perché Alberto Cirio ha un problema. Visto che, di riffe o di raffe, i cinquestelle del Comune hanno piazzato alla Mole il loro direttore, adesso secondo le norme non scritte della coesistenza pacifica spetta alla Regione di centrodestra indicare il presidente. A Cirio, che non è un settario, stava benissimo anche Toffetti, benché espressione della giunta Chiamparino: il vispo Toffetti aveva il peso per supplire alle debolezze di De Gaetano. Ma ipotizzare una coesistenza fra i due era pura follia.
Ora Cirio ha un disperato bisogno di un presidente credibile, non necessariamente organico al centrodestra ma almeno non un nemico dichiarato. Ci ha provato con Giampiero Leo, democristiano di lungo corso che potrebbe mettere d'accordo tutti: però Leo sta nel Consiglio della Fondazione Crt, e non è tanto sconsiderato da lasciare il gradevole strapuntino alla destra del Padre Quaglia per tuffarsi nel calderone ribollente del Museo.
Così il povero Alberto - e noi con lui - si trova davanti a un'amara constatazione: a Torino abbiamo la coperta corta. Non che manchino del tutto i cervelli: ma quelli davvero degni di un ruolo da presidente stanno già a fare i presidenti, e li abbiamo finiti, tant'è che ultimamente si comincia a ricorrere alle scartine. Un bel po' di cervelli, poi, li abbiamo costretti a scappare, disgustati dalle beghe da pollaio di una città sempre più ripiegata su se stessa.
E non dimentichiamo che la presidenza di un ente culturale è una carica "onorifica", nel senso che non prevede stipendio. Ciò aveva un senso quando si trattava di una sinecura per anziani ex potenti in cerca di un ufficetto comodo e ben riscaldato. Ma oggi il ruolo è molto diverso: il presidente è sempre in prima linea, si smazza i peggio impicci, e se sbaglia una mossa rischia pure di finire in gattabuia. Tutto gratis. Beh, ci vuole un uomo ben coraggioso. E pure benestante (o almeno pensionato) perché anche un presidente deve mangiare, e con le cariche onorifiche non si paga il conto del macellaio. Hai voglia poi di dire largo ai giovani: i giovani devono portare a casa la pagnotta e vanno dove li pagano, e se a pagamento non li prende nessuno un motivo ci sarà, e io mi porrei qualche domanda prima di ritenerli in grado di fare gratis i presidenti di alcunché.
Morale: se oggi dovessi indicare io un degno presidente per la Mole, super partes e universalmente stimato, l'unico che mi verrebbe in mente è Lorenzo Ventavoli. Ma è irrealistico immaginare che il grande vecchio del cinema torinese, splendido ultraottantenne, trovi la voglia, e la forza, per affrontare ancora un'altra, incerta battaglia. Ho anche pensato a un Enzo Ghigo presidente con esperienza politico-istituzionale, ma non so quanto sarebbe operativo; o al regista e produttore Davide Ferrario, se si guarda alle relazioni nell'ambiente cinematografico, però non vedo perché dovrebbe trascurare un mestiere che gli piace e gli riesce bene per ficcarsi in un simile canaio. Quindi mi arrendo. Fossi Cirio, mi metterei a piangere. Io però non sono Cirio, lui è il governatore e non li fanno governatori per caso: quindi saprà ben come uscirne. Purché alla fine non ceda allo sconforto e, pur di farla finita, non si rassegni a piazzare alla Mole qualche disutilaccio inetto ma fedele. Per il Museo del Cinema sarebbe il colpo di grazia.
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