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SPECIALE SANREMO. FAZIO CONFESSA: FACCIO FATICA A RESTARE SVEGLIO. ANCH'IO.

Raimondo Vianello e Sandra Mondaini in una delle loro gag più riuscite
Ci sono due notizie, una buona e una cattiva.
Quella cattiva: dopo 22 anni, non vado a Sanremo. Cattiva per i miei 22 lettori, che dovranno rinunciare alle mie cronache su La Stampa. Sono sicuro che se ne faranno una ragione.
Quella buona: dopo 22 anni non vado a Sanremo. Buona per me, perché dopo 22 anni ti rompi anche in Paradiso, figurarsi a Sanremo. E non lo dico tanto per dire. Sanremo mi ha rotto perché è diventato - soprattutto per merito, o colpa, di Fazio - una trasmissione per bene. Come "Che tempo che fa". Ora, io non ho niente contro le trasmissioni per bene. Ce ne fossero. Ma Sanremo no. Il Festival di Sanremo l'ho conosciuto prima che arrivasse la normalizzazione, prima che la prendessero in mano i bravi ragazzi - non i Goodfellas di una volta, ma i bravi ragazzi veri, i Fazio, i Morandi, i Bonolis, o la mitica sora Clerici. Quel Festival lì non non era una trasmissione per bene. Era un freak show. Sangue&merda, per dirla all'oxfordiana. Una vergogna e uno specchio della Nazione: cantanti all'ultima spiaggia, manager arruffoni, discografici untuosi, giornalisti sgomitanti, signorine cosciallegre, matti in cerca di visibilità, politici con troie da piazzare. Un'umanità sofferente e volgare, ma entusiasmante, per un cronista. Era come stare al fronte, senza il rischio di beccarti una pallottola. Fighissimo. Il lunedì ti saliva l'adrenalina a mille, e a mille restava per l'intera settimana, fino alla domenica mattina, quando crollavi come un tossico in cold turkey.
C'erano gli scoop, allora. Intanto, perché non c'erano internet, tweet, fb e tutto il resto, e le notizie te le trovavi rimestando in quel brodo primordiale, e potevi tenertele fino al mattino dopo, pregustando la faccia dei "colleghi" che avevi bucato, e i cazziatoni che si sarebbero presi dai loro direttori. In quelle mattine, entravi in sala stampa e li guardavi. Loro facevano finta di niente, ma si vedeva benissimo che il direttore li aveva tirati giù dalle brande all'alba rivoltandoli come mutande sporche. Si sentiva l'odore della disfatta.
E io amo l'odore della disfatta, al mattino.
E c'erano gli scoop perché c'era la vita vera. C'erano i cantanti che si giocavano il culo in una sera, c'erano i traffici sottobanco, c'erano le compravendite di voti - di solito truffe ai danni dei più disperati.
Vabbè. Adesso è come il Far West in certi film crepuscolari di Peckinpah: civilizzato, domato. Diminuzione dei cavalli, aumento dell'ottimismo. E' Fazio, bellezza. Sono spariti il sangue e la merda. Resta solo la stupidità, perché quella nessuna civilizzazione la potrà mai eliminare.
Così oggi mi sono visto la conferenza stampa di presentazione in streaming su www.sanremo.rai.it e e vi riferisco fior da fiore.
Gli ospiti. Sono un manifesto. La pittoresca armata comprende: Gino Paoli, Franca Valeri, l'astronauta Parmitano, Claudio Baglioni, Renzo Arbore, Pif, Letitia Casta. Mancano i Beatles (ma Fazio ha confidato che una signora gli ha fatto il cazziatone perché non li ha invitati), Che Guevara e Paco Penha, e sembrerebbero i ricordi cubani di Gianni Minà nell'imitazione di Fiorello. Poi ci sono gli ospiti stranieri. Voglio dire, quelli che una volta si chiamavano Bruce Springsteen o Elton John. Quest'anno abbiamo Rufus Qualchecosa che, annunciano, "fa un pop raffinato" (meraviglioso!), Stromae, Nutini e, udite udite, Cat Stevens nella sua "nuova" identitàYusuf Islam. Ne sentivo un urgente bisogno. Se poi canta "Father and Son" potrei morire. Villa Arzilla Sanremo avrebbe il suo inno ufficiale.
I costi. C'è sempre uno che domanda al direttore di Raiuno Giancarlo Leone quanto costa il Festival. E Giancarlo Leone risponde sempre che il Festival si paga con gli sponsor, e magari a conti fatti ci guadagneranno pure. A Giancarlo Leone ogni volta che gli fanno la domanda sui costi viene la smorfia da colica intestinale.
I giovani. C'è sempre uno che loda i giovani alla conferenza stampa di Sanremo. Poi li fanno cantare all'ora delle streghe, e ci togliamo il pensiero. Stavolta Mauro Pagani ha voluto esagerare: "I giovani sono al livello dei cosiddetti Big", ha sentenziato. Sono soddisfazioni. Soprattutto per i "cosiddetti" Big.
Le domande. La cosa migliore del Festival di Sanremo sono le domande dei giornalisti. Quest'anno sono partiti subito belli carichi e cazzuti, i mastini del quarto potere. Roberto Basso: "Al Festival ci sarà qualcosa legato alle Olimpiadi invernali?". E come no? Sulla strada che scende da Cipressa stanno preparando la pista di slittino. Teresa Marchesi: "Ma dov'è che Sanremo è pop?". Ah, i grandi interrogativi dell'esistenza. Potrebbero chiedere lumi a Umberto Eco, già che lo deportano pure lui in Riviera.
Veglia e sonno. Fazio ammette che non parteciperà al dopoFestival, che andrà in onda ad ora antelucana sul web, e confessa: "Per me è già dura arrivare sveglio alla fine della trasmissione".
Anche per me.

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