Il direttore Stefano Zenni |
Così stamane sono stato contento quando ho incocciato in Stefano Zenni nella Lounge del Circolo dei Lettori, dove trascorro gran parte dei miei sempre più brevi soggiorni al Salone, essendo l'unico posto dove poi sedere tranquillo senza essere calpestato da mandre di scolari, né rintontonito dal tipico rombo costante e ossessivo prodotto dalle masse sciamanti nei padiglioni.
Ad ogni modo: m'imbatto in Zenni che non si mostra per nulla offeso dal mio scarso entusiasmo per lo spettacolo "Jass" a lui tanto caro e da me tanto poco apprezzato mercoledì sera. Ci salutiamo e io gli domando come va Narrazioni Jazz: ho visto la sala bella piena per Dee Dee Bridgewater, gli dico, ma vorrei sapere la situazione in generale. Zenni risponde che ieri pomeriggio era pieno anche il Piccolo Regio per l'omaggio a Coltrane. E' soddisfatto, Zenni: tanto più, aggiunge, considerato che la formula è cambiata e questo è un festival del tutto nuovo.
Io ritengo superfluo obiettare che stento a vedere tutte queste novità. Perché rovinare un dialogo così ben avviato? Mi congratulo, e gli chiedo se ha notizie dell'off, se sa dirmi come sta andando Jazz per la Città nelle periferie. Funziona? Il pubblico accorre numeroso? Zenni ammette di non aver avuto tempo, la prima sera, di buttare un occhio: e aggiunge di non disporre di informazioni indirette.
Anch'io non ho ancora visto niente. D'altra parte, aggiungo, dopo un'intera giornata al Salone uno sogna un letto, e spingersi nottetempo in via Baltea o in via dei Pioppi non sta nella top ten dei desideri più impellenti di un signore d'età quale io sono. Zenni - che è molto più giovane di me - si ripromette un giro esplorativo in serata. Ma riconosce che in questi giorni le cose da fare e da vedere sono davvero tante.
Forse anche troppe, suggerisco io. E gli ripeto la mia idea: la contemporaneità di Narrazioni Jazz con il Salone a qualcuno poteva sembrare una buona idea a ottobre, quando il Salone sembrava moribondo, una creatura ormai tanto fragile che persino un festival jazz l'avrebbe in qualche modo rinvigorito. Insomma, Narrazioni Jazz era - nella mente dell'autore della pensata - il sostegno al quale il povero Salone si sarebbe appoggiato per avere una qualche visibilità, per attrarre qualche visitatore in più. Poi è andata come andata, e com'è sotto gli occhi di chiunque passi dalle parti del Lingotto assediato da masse di visitatori. Sicché oggi il Salone tutto ingloba e tutto cancella, in questi cinque giorni de fuego. Oscurando in primis Narrazioni Jazz.
Zenni non prova neppure a negarlo. Annuisce, e mi risponde che sì, anche loro hanno quest'impressione. E ci stanno ragionando.
Io gli domando se davvero pensano, il prossimo anno, di cambiare qualcosa. Intendo le date.
Lui mi conferma che una riflessione è in atto.
Io suggerisco che basterebbe anticipare o posticipare Narrazioni Jazz di una settimana, rispetto al Salone: così il Salone non oscurerebbe il Festival, Torino avrebbe due settimane consecutive di eventi, e nessuno si farebbe male.
Zenni concorda: è un'idea che ha un senso, e ci stiamo pensando.
Gli auguro buona continuazione di festival e lo lascio alle sue riflessioni.
Anche a me sorge spontanea una riflessione: e non è quella, meschina, sul fatto che avevamo un festival che durava dieci giorni, costava un milione e aveva molti importanti concerti gratuiti, mentre oggi ne abbiamo uno che dura cinque giorni, costa 600 mila euro e ha nove eventi principali, di cui cinque a pagamento. No, questo ci può anche stare. E' questione di gusti.
La riflessione è un'altra: una volta liberato il festival dall'innaturale e forzoso connubio con il Salone, avrà ancora un senso mantenere la dicitura Narrazioni Jazz, a suo tempo escogitata lestamente per dare un senso, giustappunto, alla simbiosi con Librolandia? A parer mio, no: tanto varrebbe, dunque, trovare un titolo che sia più riconoscibile e riconosciuto. Ad esempio, per dire, ne sarebbe disponibile uno che - tra l'altro - ha il vantaggio di essere un "brand" già noto: Torino Jazz Festival, anche detto Tjf.
Questa favoletta potete intitolarla, a scelta, "A volte ritornano" oppure "Buscar el levante por el ponente". La morale è comunque consolatoria: la forza della logica talora prevale persino sull'ottusità del cambiamento come imperativo ideologico.
Concordo pienamente. Immagino che chiunque sia d'accordo. Tjf o Torino Jazz Festival vanno benissimo. Bisogna solo avere il coraggio di tornare sui propri passi. Sarebbe segno si saggezza e di umiltà. Auspico eccessivo?
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