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DE PISIS E PINTER: IL MUSEO FICO E' PROPRIO FICO

Filippo De Pisis, "Natura morta marina" (1927)
La mia simpatia per il Museo Fico non è un segreto. Simpatia che considero strameritata. Questi non rompono i santissimi a nessuno, non chiedono niente, non se la tirano, e fanno - loro, privati - il lavoro che spetterebbe al pubblico: sono andati in piena periferia, in fondo a via Cigna, ad aprire un presidio culturale - e che presidio! - e sono diventati un riferimento per il quartiere; e al tempo stesso hanno un progetto espositivo sensato, dignitoso, interessante, di ampio respiro. 
Le mostre, al Museo Fico, non deludono: non sono cervellotiche, non sono respingenti; ma al tempo stesso sono serie, curate, di valore. E spesso spalancano prospettive, recuperano nomi importanti che il mainstream di un'arte asservita al mercato ha cacciato nel dimenticatoio.
La mostra "Filippo De Pisis. Eclettico connoisseur fra pittura, musica e poesia" è un buon esempio. De Pisis è un grande del Novecento italiano, oggi assai trascurato - come molti altri grandi. L'esposizione inaugurata ieri lo fa riscoprire nella sua complessità di intellettuale dai vasti interessi, ne ricostruisce il percorso con accoratezza e senza timore di cadere nel didascalico: in fondo, alle mostre uno ci va per capire, mica arriva sempre imparato. 
Le 150 opere coprono l'intera storia di De Pisis, dai primi rapporti con Futurismo e Dadaismo all'esperienza parigina, dal maturo confronto con l'arte classica fino alla pittura rarefatta delle vecchiaia. Che dire? E' una mostra da vedere, non si esce delusi.
Così come, su un altro livello, è davvero apprezzabile la seconda mostra che il MEF ha inaugurato ieri nella sua "sede distaccata" in via Juvarra 13: è dedicata a Ferenc Pintér, straordinario illustratore che chiunque conosce per averne apprezzato le copertine create per gli Oscar Mondadori e per infiniti altri libri. Pinter è scomparso dieci anni fa: e senza la mostra voluta dal Museo Fico la ricorrenza sarebbe passata sotto silenzio. Appunto: ricordare artisti di valore che la contemporaneità immemore dimentica è ormai un imprescindibile atto di resistenza culturale contro la montante barbarie dell'ignoranza social.  

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