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FASCISTI SU MARTE (E AL SALONE): UNA CASE-HISTORY DA MANUALE

Stavo in pensiero: un Salone senza polemmica è come una casa senza mamma; e quest'anno, appianate le rogne contabili, senza avvisi di garanzia in vista, e manco l'avvisaglia di qualche pastrocchio per le cadreghe, paventavo cinque giorni noiosissimi al Lingotto.
Ma l'intellighenzia de noantri non dorme. Ci ha pensato un esponente della sullodata intellighenzia - tale Christian Raimo, consulente del Salone del quale fino alla settimana scorsa ignoravo colpevolmente l'esistenza - a procurarci il frisson d'ordinanza: egli scoperto che al Salone ci sono pure i fascisti. Sai che scoperta: al Salone i fascisti ci sono da sempre. Non ditemi che in tanti anni di Salone non avete mai notato lo stand delle Edizioni di Ar del "nazi-maoista" e pluricondannato Franco Freda. E potrei citarne altri, se mi sembrasse il caso. Non mi sembra il caso. 
Ma l'intellighenzia de noantri rinasce ogni giorno, con la memoria di una farfalla. Per anni e anni il Salone ha ospitato negazionisti, nostalgici, suprematisti e figuri d'ogni schiatta, sommersi nell'indifferenza generale, compresa quella dei consulenti del Salone medesimo. Non discuto se questo fosse giusto, o no. Ma questo accadeva. 
Poi, un bel dì, l'intellettuale italiano apprende leggendo i giornali che un editore "vicino a Casa Pound" - e finora sconosciuto ai più - pubblica un libro sul ministro dell'Interno. E sobbalza, l'intellettuale italiano, scorgendo il dito (della Luna manco s'accorge): poffarre, si stupisce e si perplime, al Salone ospitano gli editori fascisti. E esprime con veemenza il suo stupore e perplessità con il mezzo espressivo più congeniale, oggi, all'intellettuale italiano: il social. Proprio come i calciatori, i rapper, le escort, i blogger e i ministri dell'Interno.
Le conseguenze - prevedibili da tutti, tranne che dagli intellettuali italiani - le subiamo in questi giorni, straripano su giornali, tivù e web, e regalano un'insperata - e a mio modesto avviso immeritata - visibilità all'altrimenti misconosciuto editore.
Le stramaledette conseguenze le ho subite pure io, mellifluamente indotto dagli amici del Corriere a scrivere un commento su quello che considero nei fatti un riuscito modello di marketing, una case-history da manuale. Le mie superflue considerazioni le potete leggere - se ci tenete... - a questo link, oppure sul Corriere di stamattina, dove trovate anche un altro mio articolo salonistico, dedicato però a cose più noiose: i conti del Salone, e la sua nuova struttura pubblico-privata.

P.S. Un'altra nota del Salone

Arriva or ora, e pubblico per completezza, l'ennesimo e mi auguro ultimo intervento del Salone sulla nota vicenda:


Questa esperienza deve unirci, non dividerci.
Il Salone del Libro di Torino è un luogo di scambio, di confronto, di condivisione, di festa. Coinvolge centinaia di migliaia di persone. È un esempio virtuoso per tutto il paese. E Torino è una città profondamente antifascista. La sua comunità ha spalle larghe e saggezza. Non raccoglie le provocazioni di chi vorrebbe solo visibilità
(beh, a essere sincero e a giudicare dalla shitstorm in atto sui social, direi che le ha raccolte ben bene, in questi giorni... NdG). Nel centenario di Primo Levi, la comunità del Salone del Libro si raccoglierà una volta ancora per discutere di democrazia, di Europa, di convivenza, di immigrazione, di letteratura, del restare umani in un mondo difficile. Il Salone è una grande manifestazione popolare dove gente di tutte le età, i ceti, le idee, le provenienze, le nazionalità si dà appuntamento in un luogo che è diventato uno dei simboli della democrazia e della civile convivenza.
Le polemiche che si sono accese per la presenza di una casa editrice i cui animatori, in nome del fascismo, hanno rilasciato dichiarazioni che si commentano da sole, pongono un tema. Lo abbiamo già detto, lo ripetiamo. Pongono questo tema al mondo dell'editoria, della cultura, della politica. È un tema che al Salone verrà affrontato in tanti incontri programmati da tempo. Il problema ovviamente non è la libertà d'espressione, ma cosa si può muovere intorno a certe idee che non sono solo agli antipodi dell'impostazione culturale del Salone di quest'anno (non è mai stato un problema: il Salone accoglie tutte le opinioni) ma la cui messa in pratica turberebbe l'ordine democratico offendendo la Costituzione. Se il Salone è diventato l'occasione per affrontare questo tema, rilanciandolo oltre che al mondo della cultura a quello della politica, allora la cultura sarà davvero servita a qualcosa.
Il Salone è la casa dei torinesi e di tutti gli amanti dei libri, è il punto di ritrovo per appassionati che arrivano qui da ogni angolo d'Italia. È il frutto del lavoro di tante professionalità, vi collaborano per tutto l'anno numerosissime realtà: dalle scuole, alle librerie, alle biblioteche, ai gruppi di lettura, ai comitati di quartiere, oltre che naturalmente il mondo editoriale. Così, come ogni anno, a partire dal 9 maggio i torinesi abiteranno questo bene comune in nome dei valori che fanno della città e del suo Salone un esempio di sana convivenza e accoglieranno i loro tanti amici che vengono da fuori per celebrare insieme, uniti, la festa del libro e il desiderio di un futuro migliore. E il futuro si costruisce in ogni momento.
Questa esperienza deve unirci, non dividerci. Deve farlo in nome di un bene superiore, e deve invitarci a tirare fuori – nei toni, nelle prese di posizione – la nostra parte migliore. Rispettiamo chi per evidenziare i problemi di cui sopra si è allontanato temporaneamente da quella che com'è ovvio è casa sua, e abbracciamo chi ha deciso, com'è più che mai ora necessario, di abitare con convinzione adesso quella stessa casa per farla durare, e darle spazio e vita.
Adesso facciamo parlare il Salone.


Adesso, potete scommetterci le palle, questa dichiarazione verrà esaminata, discussa, commentata, rilanciata, dissezionata, applaudita, spernacchiata, interpretata, masticata, risputata, digerita, analizzata dall'Alpe al Lilibeo, in rete, in carta, in video, al bar,  e a Porta a Porta. Coe volevasi dimostrare
Aveva ragione Reiser. 
On vit une époque formidabile.

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