Davide Ferrario presenta al Tff "Nuovo cinema paralitico" |
Davide Ferrario. Ho una grande stima per Ferrario, non solo come persona - lo considero un'ottima persona - ma anche come regista: i suoi lavori non mi hanno mai deluso, e questo è quanto di meglio io possa dire di un regista. In effetti anche stavolta ho fatto bingo: "Nuovo cinema paralitico" - progetto nato dalla collaborazione tra Ferrario e lo scrittore e poeta Franco Arminio, inizialmente come una serie di "pillole" per il Corriere della Sera - è un film strano, "diverso", che mi ha preso molto: lo definirei, più che un documentario, un rapporto sull'Italia che non si vede, ma è il davvero il famoso e sempre inesplorato "paese reale". Anzi, direi il "mondo reale". La vita quotidiana degli esseri umani, quella vita senza grandi storie, senza fatti eccezionali né grandi imprese, ma che è la sostanza di cui è fatta la Storia. Ricordate? La Storia siamo noi, nessuno si senta offeso, siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo... Ferrario è andato con la sua cinepresa a filmarlo, quel prato di aghi sotto il cielo d'Italia: le piazze, le strade, le persone, i momenti di mille esistenze in apparenza insignificanti eppure importantissime, il runore che rompe il silenzio e diventa Vita.
Mi ha affascinato, "Nuovo cinema paralitico", anche per un altro motivo: è l'orgogliosa e splendente affermazione dell'occhio del cinema come "altro" rispetto alla percezione umana. L'occhio e il cervello selezionano, ci mostrano ciò che noi vogliamo vedere; la cinepresa, utilizzata come l'ha utilizzata Ferrario, diventa l'unico testimone attendibile della realtà e ci rivela il non visto, la meraviglia delle piccole cose che ogni giorno accadano attorno a noi, senza che noi - trascinati nella rete dei nostri alti pensieri, dei nostri tetragoni pregiudizi - manco ce ne accorgiamo.
Dopoil doc di Ferrario, da spettatore festivaliero soddisfatto, ho saltabeccato qua e là fra i film disponibili su MyMovies e mi sono fermato nella sezione dei film restaurati per vedere finalmente "Avere vent'anni", il film "maledetto" e martoriato dalla censura di Fernando Di Leo, uscito e non visto quando avevo attorno a vent'anni.
Il film meritava senz'altro un destino migliore; ma soprattuto la visione mi ha ispirato amare riflessioni sui destini delle due interpreti femminili, Gloria Guida e Lilli Carati, entrambe ninfette della commedia sexy anni Settanta, la prima oggi serena signora Dorelli, mentre all'altra fu riservata una discesa negli inferi del porno, dell'eroina, del disagio mentale fino alla morte prematura. La vita è sempre strana, e spesso sa essere molto crudele.Dopoil doc di Ferrario, da spettatore festivaliero soddisfatto, ho saltabeccato qua e là fra i film disponibili su MyMovies e mi sono fermato nella sezione dei film restaurati per vedere finalmente "Avere vent'anni", il film "maledetto" e martoriato dalla censura di Fernando Di Leo, uscito e non visto quando avevo attorno a vent'anni.
La prima domenica del Festival trascolora nel crepuscolo, e ancor non sono sazio: fra meno di un'ora su YouTube seguirò, in diretta con Natalia Aspesi, l'omaggio a Lietta Tornabuoni. Con Lietta ho lavorato, quando stavo agli spettacoli della Stampa: era non soltanto la grande giornalista e l'acuta critica cinematografica che tutti sappiamo; era anche una persona ironica, d'infinita intelligenza e molto alla mano. Ci è anche capitato di trovarci insieme "sul campo", ad esempio seguendo il Tff di cui era una sincera estimatrice. E sapete che c'è? Aveva l'umiltà di chiedere, informarsi, ascoltare, verificare, andare fino alla sostanza delle cose. Sembrerebbe l'abc del giornalismo: ma vi assicuro che, ahimé, nel mio ambiente non è così comune come potreste credere. Immensa Lietta.
E il Festival va, raccontando altre storie e altre vite. A questo servono i festival. E io, per i prossimi sei giorni, farò il bambino in pasticceria. Per venerdì ho già adocchiato un bigné che mi sembra assai invitante: è la diretta live "Visioni resistenti", l'evento live per la regia di Federico Mazzi e la cura artistica di Maurizio Mao Pisani ambientato in tre spazi-simbolo dello spettacolo a Torino: il mitico e molliniano dancing Le Roi, il cine-teatro Maffei e il cinema Massimo, casa del Tff. Sono sinceramente curioso. E suscitare curiosità è la missione del cinema, e dei suoi festival.
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