A onor del vero, ieri l'assessore Purchia mi ha assicurato che la "mappatura" dovrebbe riguardare anche le iniziative fotografiche non torinesi o piemontesi. Vasto e ambizioso programma, in tal caso; di cui peraltro non vedo la necessità e soprattutto la fattibilità. E comunque il comunicato si riferiva espressamente a quelle "torinesi", per cui sorge spontaneo l'auspicio che i protocollanti si mettano d'accordo con se stessi prima di vagheggiare nuove nobili imprese.
La situazione - già di per sé bizzarra - negli ultimi giorni s'è arricchita di un particolare inedito alla cui luce l'intera faccenda assume le tinte della pochade. E qui mi permetto di autocitarmi, riportando parte dell'articolo che ho pubblicato ieri sull'edizione cartacea del Corriere, e che al momento non è disponibile on line:
"Salta fuori dagli archivi un fascicoletto di otto pagine che risale al 2019. È firmato da ben quattro “soggetti del territorio dotati di riconosciute competenze nel settore” – Camera, Museo Fico, Tag-Torino Art Galleries e The Phair - e presenta un dettagliato progetto per un “Torino Foto Festival”, ne descrive gli obiettivi, la struttura, i contenuti, i costi (circa un milione), e ipotizza una data: 19-24 maggio 2020. A suo tempo quel fascicoletto fu inviato a tutti gli stakeholders, in primis gli odierni protocollanti. Poi venne la pandemia, e tutto finì nel dimenticatoio.
Adesso, immemori di tale precedente, i protocollanti partoriscono l'originalissima idea del Fotofestival, finanziato con appena 250 mila euro: tipiche nozze coi fichi secchi. E volendo "operare coinvolgendo" lo fanno all'insaputa di chi ha le competenze e addirittura un progetto pronto. Però, rassicurano, "tra i primi obiettivi ci sarà l’assegnazione dell’incarico di direzione artistica". Insomma, un'altra poltrona da stipendiare. E perché stipendiarla? Ovvio, perché assolva a determinati compiti: e "tra i compiti del direttore artistico ci sarà quello di mappare e coordinare le istituzioni, i musei, le fiere, le iniziative e gli spazi d’arte torinesi che già lavorano nel mondo della fotografia".
Riassumendo: cinque persone, quasi tutte digiune di fotografia, decidono che Torino deve avere un Grande Evento di fotografia, per cui incaricano una fondazione che poco o nulla ha a che fare con la fotografia di organizzare un festival di fotografia pagando un tizio per “mappare” quanti da anni, tutt'altro che clandestinamente, a Torino lavorano sulla fotografia e hanno pure progettato un festival di fotografia.
Il seguito l'abbiamo sperimentato tante volte: il mappatore incaricato ramazza qualsiasi evento o fiera o mostra che in città si fregi del prefisso “foto”, poi ficca il ramazzato in uno scatolone chiamato “palinsesto”, e voilà, il Festival internazionale di fotografia è servito. In città si farà un po' di baccano, ci saranno totem nelle strade e stendardi al vento e titoli sui media locali; fuori dalla cinta daziaria nessuno se ne accorgerà; e la malaticcia creatura arrancherà per qualche anno a spese di tutti, prima di estinguersi per consunzione e oblio".
Adesso, immemori di tale precedente, i protocollanti partoriscono l'originalissima idea del Fotofestival, finanziato con appena 250 mila euro: tipiche nozze coi fichi secchi. E volendo "operare coinvolgendo" lo fanno all'insaputa di chi ha le competenze e addirittura un progetto pronto. Però, rassicurano, "tra i primi obiettivi ci sarà l’assegnazione dell’incarico di direzione artistica". Insomma, un'altra poltrona da stipendiare. E perché stipendiarla? Ovvio, perché assolva a determinati compiti: e "tra i compiti del direttore artistico ci sarà quello di mappare e coordinare le istituzioni, i musei, le fiere, le iniziative e gli spazi d’arte torinesi che già lavorano nel mondo della fotografia".
Riassumendo: cinque persone, quasi tutte digiune di fotografia, decidono che Torino deve avere un Grande Evento di fotografia, per cui incaricano una fondazione che poco o nulla ha a che fare con la fotografia di organizzare un festival di fotografia pagando un tizio per “mappare” quanti da anni, tutt'altro che clandestinamente, a Torino lavorano sulla fotografia e hanno pure progettato un festival di fotografia.
Il seguito l'abbiamo sperimentato tante volte: il mappatore incaricato ramazza qualsiasi evento o fiera o mostra che in città si fregi del prefisso “foto”, poi ficca il ramazzato in uno scatolone chiamato “palinsesto”, e voilà, il Festival internazionale di fotografia è servito. In città si farà un po' di baccano, ci saranno totem nelle strade e stendardi al vento e titoli sui media locali; fuori dalla cinta daziaria nessuno se ne accorgerà; e la malaticcia creatura arrancherà per qualche anno a spese di tutti, prima di estinguersi per consunzione e oblio".
La volonterosa Purchia, che nel 2019 non c'era, ieri mi ha assicurato di essere in abituale contatto con i quattro soggetti autori del progetto di Fotofestival; progetto del quale, tuttavia, era all'oscuro; per cui - immagino dopo infruttuose ricerche negli archivi comunali - mi ha chiesto di inviargliene copia; richiesta che ben volentieri ho esaudito. Aspetto le prossime puntate.
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