La recente, ennesima disavventura legata alla mitologia di "Torino città del cinema" (utilizzo non a caso un claim che in passato si rivelò particolarmente sfigato), declinato stavolta come "Hollywood a Mirafiori" (e già qui la satira deve inchinarsi alla realtà...), tale recente disavventura, dicevo, insieme con quelle precedenti e quelle che di sicuro verranno, mi ha suggerito l'articoletto uscito ieri sul Corriere e che - non disponibile on line - ripubblico qui:
Avete presente la commedia di Gogol', “L'ispettore generale”? Sarà che l'ho vista di recente al Carignano con un formidabile Rocco Papaleo, ma insomma, è da un paio di giorni che quella storia mi frulla per la mente. Storia semplice: in una piccola città di provincia arriva un giovanotto senz'arte né parte che, per una serie d'equivoci, viene scambiato dai notabili del posto per un potente ispettore mandato dalla capitale a controllare l'operato delle autorità locali. I notabili boccaloni – che hanno qualche peccatuccio da farsi perdonare – tentano di ingraziarsi il presunto ispettore senza omettere alcun servilismo e profondendosi in salamelecchi, doni, mance e pranzi imbanditi. Il furbetto ci marcia, arraffa quel che può e se ne va lasciando i boccaloni con un palmo di naso perché, partito lui, arriva il vero ispettore generale e sono dolori per tutti.
La satira di Gogol non risparmia né il giovanotto profittatore e mascalzone, né i notabili che si credon scaltri e invece son fessi. Ed è satira attualissima. Se riportiamo il tutto alla fresca attualità torinese, il paesino di provincia della commedia mi ricorda tanto Torino, e i notabili di Gogol fan pensare ai nostri - disonesti no, per l'amor d'iddio, ma boccaloni alle volte sì – pronti ad andare in brodo di giuggiole non appena all'orizzonte subalpino fa capolino una star – o presunta tale – del cinema. Ma quanto ci piacciono, le star! Come ci entusiasmiamo, se qualcuno ci promette di portarcene a vagonate! E i nostri notabili, quanto sgomitano per farsi i selfie con le star! Mille volte più figo che con Tavares, ne convengo.
Siamo fatti così, affetti dall'eterna nostalgia della “capitale del cinema”, e pronti a pagare il giusto, e anche molto più del giusto, per veder sfilare divi e dive sui nostri tappetini rossi. Sicché, nel migliore dei casi, la star arriva, alloggia con amici parenti e portaborse nei primari grand hotel, si scofana tajarin e tartufi, si fa gli affari suoi, ritira la solita Stella della Mole che smaltirà alla prima occasione (al primo cassonetto...), poi incassa cachet e/o rimborso spese, e via, verso l'infinito e oltre. Nel peggiore dei casi, invece, il furbo di turno ci annuncia orizzonti di gloria e sfracelli di glamour, e se ne va senza pagare il conto. E noi restiamo qui ad aspettare l'ispettore generale, pronti a innamorarci del prossimo procacciatore di fenomeni che verrà ad annunciarci la terra promessa, la Hollywood sul Po. Che poi, pure 'sta storia della “Hollywood sul Po” ha sfranto i cabasisi: di Hollywood sul Po ce n'è stata una sola, agli albori del secolo scorso, quando il cinema italiano si faceva a Torino finché Mussolini non decise che invece doveva migrare sui colli fatali di Roma. Quindi, per favore: piantiamola una volta per tutte con la frusta retorica della “Hollywood sul Po” - incluse le varianti “Hollywood in collina” e “Hollywood sotto la Mole” - che non fa più ridere nessuno. Piuttosto stiamo all'occhio e non facciamoci sempre buggerare dal primo venuto. Ai finti ispettori generali abbiamo già dato.
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