"Una cena armena" di Paola Ponti, in scena alla Cavallerizza la scorsa stagione |
Il comunicato dell'ufficio stampa del Teatro Stabile arriva in serata, e sulle prime sembra una cosa di routine: cambio di sede di alcuni spettacoli in cartellone. Nient'altro. Ma gli spettacoli che cambiano sede sono quelli previsti alla Cavallerizza Reale: vengono trasferiti al Gobetti o alle Fonderie Limone. Uno ci riflette un momento, ed è chiaro che cosa significa. Significa che il Tst ha gettato la spugna, ed è costretto ad abbandonare la Cavallerizza al suo destino - destino che nessuno può prevedere con certezza, e se si azzardano ipotesi non ne viene in mente neppure una accettabile. Gestire la Cavallerizza costa allo Stabile 300 mila euro all'anno. La convenzione tra lo Stabile e il Comune è scaduta a giugno. Il complesso non è a norma, e per adeguarlo agli standard di sicurezza servono soldi che non ci sono. Di recente, il Comune ha ridotto di altri 500 mila euro il contributo al Tst per il 2013, e 200 mila sono venuti a mancare da altri enti. Totale, 700 mila euro in meno. Poiché allo Stabile hanno già tagliato tutto il superfluo e anche qualcosa di non superfluo (tipo Prospettiva), e non ci sono più margini per ulteriori risparmi, si è passati al piano B. Da un pezzo la presidente Christillin lo ripeteva, sempre più preoccupata: "Finirà che dovrò chiudere i teatri". Adesso ci siamo. Si comincia dalla Cavallerizza. Alla Stabile non si sbottonano. Ma posso affermare, sulla base di mie informazioni, che non è una ripicca, e neppure una decisione irrevocabile: semmai saltassero fuori quantomeno i denari per i lavori di adeguamento alle norme di sicurezza, al Tst sarebbero ben felici di procedere. Ma immaginare che ciò avvenga è pura fiction. Le casse del Comune sono vuote. E comunque la Cavallerizza non sarebbe utilizzabile per tutto il tempo necessario a completare i lavori. In concreto gli spettatori non dovrebbero rimetterci: la stagione teatrale non ne risentirà, gli spettacoli in cartellone alla Cavallerizza si terranno in altre sedi. Ma è una rinuncia triste: ancor più triste se si pensa alla battaglia che l'allora assessore Perone aveva ingaggiato per recuperare alla città quello straordinario spazio architettonico. La battaglia è stata vinta, Torino si è riappropriata della Cavallerizza. E adesso non sa che farsene. Il complesso è in vendita da tempo, per una cifra attorno ai dodici milioni. Peraltro, è sotto vincolo della Sovrintendenza: unica parziale eccezione, le parti ottocentesche che potranno
essere ristrutturate. C'è pure una possibilità di nuova edificazione, sul retro
del Regio, con un piano fuori terra. Si è parlato di funzioni museali, culturali,
universitarie ma anche residenziali, ricettive, di servizio alle persone e alle
imprese. Insomma, traducendo: appartamenti, alberghi, ristoranti, negozi. Ammesso e non concesso che con questi chiari di luna qualcuno sia disposto a investire.
Di sicuro, la Cavallerizza è un altro "lusso" che Torino non si può più permettere. Va sempre così: quando la miseria batte alle porte, i nobili decaduti si vendono castelli e tenute di famiglia. Vorrei solo che Fassino, alla prossima occasione, non ripetesse ancora che Torino continua a investire sulla cultura. Se uno non ce la fa più, tanto vale lo ammetta. Come diciamo noi a Torino, fa più bella figura.
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