Braccialarghe e Fassino: il Comune ha sempre voluto il Salone al Lingotto |
(José Millán-Astray y Terreros, fondatore della Legione Spagnola e franchista della prima ora, contesta il rettore dell'Università di Salamanca Miguel de Unamuno. E' il 12 ottobre 1936, la Guerra civile spagnola è cominciata da tre mesi, Francisco Franco è Generalissimo da dieci giorni, Federico Garcia Lorca è già stato assassinato)
Desidero rassicurare gli appassionati della telenovela-Salone. Non me ne sono dimenticato. Semplicemente, quanto accaduto nelle ultime ore non mi interessa, in quanto scontato o già noto.
Quello che tutti sapevano
Scontato e già noto è quello che il direttore Ernesto Ferrero ha detto al magistrato: cioè che furono Comune e Regione (più il Comune che la Regione, in verità) a costringere il Salone a restare al Lingotto, sottoscrivendo il celebre contratto-capestro (contratto oggi giustificato dal direttore generale di Lingotto Fiere, Régis Faure, con una lettera a "Repubblica" che presenta le ragioni di Gl Events, ovvero quelli che ci guadagnano).Ad ogni modo. Potete rileggervi i post "Salone al Lingotto, costi quel che costi", "Pochi, maledetti ma subito", "Fassino media con il coltello alla gola" e "In gita al PalaAlpitour", usciti esattamente un anno fa, giusto in questo periodo: è chiaro come sono andate le cose.
Le spiegazioni le dia Fassino
E stupisce che Fassino, tanto attivo all'epoca, oggi se ne stia zitto e mandi Ferrero dai giudici a spiegare ciò che invece dovrebbe spiegare lui, e che certamente non avrebbe difficoltà a spiegare: ovvero il motivo per cui il Comune ha voluto che il Salone restasse al Lingotto Fiere a quelle condizioni, costringendo Picchioni a rimangiarsi nel giro di ventiquattr'ora le sue dichiarazioni di interesse per l'ipotesi PalaAlpitour.Peggio che un reato: un'immane figura di merda
E' pure scontato che taroccare il numero dei visitatori non è reato. Se fare gli sboroni fosse un reato, mezza Italia starebbe al gabbio, e l'altra mezza ai domiciliari.Torino gestisce con il consueto acume la crisi del Salone |
E' molto peggio: è un'immane figura di merda.
E le figure di merda sono devastanti. Innescano una corsa all'annichilimento, un "viva la muerte" che esalta vecchi rancori e annose frustrazioni, lecite indignazioni e interessi di bottega.
Stavolta la parte della città che ritiene esclusa, o ostile al valore-cultura, regola i conti con la "intelectualidad traidora": se al Salone qualcuno ha barato, allora tutti barano. Tutti fafioché. Tutti all'inferno. L'entusiasmo con cui molta Torino balla attorno al cadavere di quello che fu il Salone del Libro è la sublimazione della più evidente delle virtù sabaude: il tafazzismo.
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