Riporto quanto scrive la newsletter di Skira a proposito dei rapporti con il Comune di Torino e dell'incontro, ieri, di Massimo Vitta Zelman con Chiara Appendino in seguito alla vicenda della mostra di Manet:
L'attenzione che la stampa ha riservato negli ultimi giorni al "caso Manet" e in generale alla questione delle mostre torinesi, i molti e spesso assai imprecisi riferimenti all’attività di produzione del gruppo Skira e ad affermazioni del suo presidente, nonché i tanti commenti e interventi che leggiamo sulle pagine dei social networks, rendono indispensabili alcune precisazioni.
Nessuno si è mai sognato, in casa Skira, di mettere in dubbio l’opportunità dell’Abbonamento Musei Torino Piemonte la cui importanza culturale e sociale è a tutti evidente.
Nel caso delle mostre, il problema è soltanto capire come l’ente pubblico, che introita gli abbonamenti, possa risarcire il produttore privato, che sostiene tutti i costi della mostra, per migliaia di ingressi che al produttore stesso non portano introito alcuno.
Non si tratta di “guadagnare” di più o di meno, si tratta di rendere fattibile, o meno, un grande evento che comporta investimenti rilevantissimi, in tema di ideazione, trasporti, assicurazioni, allestimento e gestione, ai quali le pubbliche amministrazioni non sono più in grado di contribuire.
Le grandi mostre sono sostenute in tutto il mondo da contributi o finanziamenti a fondo perduto, come avviene per altre forme di produzione culturale, dal teatro di prosa all’opera lirica.
E tali contributi sono peraltro ampiamente giustificati dall’indotto turistico che le grandi mostre producono e i cui benefici economici ricadono al di fuori della mostra stessa.
Solo in Italia, per la sopravvenuta impossibilità degli enti pubblici a concorrere significativamente ai costi delle esposizioni, è invalso il concetto che il “business” delle mostre possa autofinanziarsi.
È in realtà un’attività ad alto rischio imprenditoriale, che può portare successi, come nel caso delle mostre torinesi dedicate a Renoir e a Monet, o pesanti insuccessi, come è avvenuto, sempre per restare a Torino, con le mostre di Lichtenstein, di Modigliani, dell’Avanguardia russa.
Quanto a Manet, per concludere, non esiste nessun caso e nessuno scippo da parte di Milano.
Come si è ampiamente chiarito nel colloquio tra il Sindaco Appendino e il Presidente di Skira, non c’erano a Torino gli spazi, i tempi e le condizioni per poter ospitare una rassegna che il Museo d’Orsay rende disponibile soltanto nei primi mesi del 2017.
Ma c’è tutta la disponibilità delle parti a continuare a collaborare in futuro, per altri importanti progetti.
L'attenzione che la stampa ha riservato negli ultimi giorni al "caso Manet" e in generale alla questione delle mostre torinesi, i molti e spesso assai imprecisi riferimenti all’attività di produzione del gruppo Skira e ad affermazioni del suo presidente, nonché i tanti commenti e interventi che leggiamo sulle pagine dei social networks, rendono indispensabili alcune precisazioni.
Nessuno si è mai sognato, in casa Skira, di mettere in dubbio l’opportunità dell’Abbonamento Musei Torino Piemonte la cui importanza culturale e sociale è a tutti evidente.
Nel caso delle mostre, il problema è soltanto capire come l’ente pubblico, che introita gli abbonamenti, possa risarcire il produttore privato, che sostiene tutti i costi della mostra, per migliaia di ingressi che al produttore stesso non portano introito alcuno.
Non si tratta di “guadagnare” di più o di meno, si tratta di rendere fattibile, o meno, un grande evento che comporta investimenti rilevantissimi, in tema di ideazione, trasporti, assicurazioni, allestimento e gestione, ai quali le pubbliche amministrazioni non sono più in grado di contribuire.
Le grandi mostre sono sostenute in tutto il mondo da contributi o finanziamenti a fondo perduto, come avviene per altre forme di produzione culturale, dal teatro di prosa all’opera lirica.
E tali contributi sono peraltro ampiamente giustificati dall’indotto turistico che le grandi mostre producono e i cui benefici economici ricadono al di fuori della mostra stessa.
Solo in Italia, per la sopravvenuta impossibilità degli enti pubblici a concorrere significativamente ai costi delle esposizioni, è invalso il concetto che il “business” delle mostre possa autofinanziarsi.
È in realtà un’attività ad alto rischio imprenditoriale, che può portare successi, come nel caso delle mostre torinesi dedicate a Renoir e a Monet, o pesanti insuccessi, come è avvenuto, sempre per restare a Torino, con le mostre di Lichtenstein, di Modigliani, dell’Avanguardia russa.
Quanto a Manet, per concludere, non esiste nessun caso e nessuno scippo da parte di Milano.
Come si è ampiamente chiarito nel colloquio tra il Sindaco Appendino e il Presidente di Skira, non c’erano a Torino gli spazi, i tempi e le condizioni per poter ospitare una rassegna che il Museo d’Orsay rende disponibile soltanto nei primi mesi del 2017.
Ma c’è tutta la disponibilità delle parti a continuare a collaborare in futuro, per altri importanti progetti.
Ma il problema per il produttore qual'e' ? Andare in pari o garantirsi ampi margini di profitto ? Gli "insuccesi" sono proprio stati "perdite" (mostre che non hanno coperto i costi) oppure solo "mancati guadagni" (mostre comunque pagate ma su cui si e' guadagnato poco) ? E il problema per il committente quale'e' ? Sostenere produzioni culturali che portino ricadute sociali ed economiche effettive e misurabili ? O dotarsi di mostre "status symbol" utili a gonfiare il petto delle amministrazioni ? Terreni scivolosi...
RispondiEliminaQual è non vuole l'apostrofo.
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