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SOTTODICIOTTO FA LA DIFFERENZA

La gang della banana: da sinistra, Paolo Manera, Riccardo Salvini (Foxhound),
Max Casacci, Steve Della Casa, Enrico Verra. Insieme per i Velvet Underground
Ho molte ragioni per essere grato a Sottodiciotto Film Festival (e da quest'anno pure “& Campus”).
Quelle ideali, e sempre valide, le ho più volte elencate.
A quelle ragioni quest'anno se ne aggiungono altre due: la prima artistica, la seconda medica.
La ragione artistica per cui sono grato a Sottodiciotto e al suo neo-direttore Steve Della Casa che lo sta profondamente rinnovando, è concentrata nell'evento inaugurale della diciassettesima edizione del Festival, che si terrà fra un mesetto, il 1° dicembre, al Cap 10100: “Shock in my town” è l'omaggio che due generazioni di musicisti torinesi tributano ai Velvet Underground a mezzo secolo esatto dall'esordio discografico di Lou Reed e compagni con il seminale album della banana, quello firmato da Andy Warhol. L'idea di gettare un ponte fra generazioni – filo portante del Festival – è del regista Enrico Verra ed è stata interpretata dal direttore artistico del progetto, il subsonico Max Casacci, radunando attorno a un'arrembante band dell'ultima ondata torinese, i Foxhound, un manipolo di protagonisti della nostra scena di ieri e di oggi. Fanno parte del complotto il cantautore Bianco, il sassofonista jazz Emanuele Cisi complice fidato di Casacci in sregolate avventure sonore, e il bassista dei Subsonica Vicio; ma quella sera avrò anche il piacere di riascoltare l'incredibile voce della chanteuse Lalli, che con i Franti mise sottosopra la città dormiente deli Anni Ottanta e che a mio avviso non teme il confronto con la Nico di “All tomorrow's parties”; di rivedere on stage quella vecchia lenza di Paolo Manera, che nella vita precedente, prima di diventare stimato uomo di cinema e direttore di Film Commission, capitanò la temutissima Bandamanera ed è quindi un esperto di passeggiate sul lato selvaggio; di scoprire che effetto può fare l'”Heroin” del vecchio Lou quando scorre attraverso le corde della ghironda di Sergio Berardo. E altre meraviglie che già pregusto, come i visuals di Superbudda e Gabriele Ottino che riprendono quelli dell'Exploding Plastic Inevitabile, lo show inventato da Warhol per i Velvet Underground.
Ma la mia gratitudine ha anche una ragione medica. Dopo giorni e giorni sprecati a esplorare il lato oscuro della rapporto fra istituzioni e cultura, Sottodiciotto mi fa l'effetto di una vacanza rigenerante. Mi fa passare la depressione, la rabbia e pure la voglia di vomitare. Sottodiciotto è un festival necessario – l'ho spiegato mille volte – che viene organizzato molto bene dall'Aiace, con un bilancio risicatissimo ma sano. E, a dio piacendo, con il sostegno e la collaborazione fattivi del Comune. Gli organizzatori mi riferiscono di rapporti utili e amicali con l'assessorato all'Istruzione, e di un prossimo incontro addirittura con l'assessore Leon. Il contributo, parlando di vil denaro, è quel che è: 18 mila dall'Istruzione e – si spera – la conferma dei diecimila dalla Cultura. E qui mi aspetterei per il futuro uno sforzo maggiore, considerato il ruolo formativo a cui assolve, egregiamente, Sottodiciotto. Tanto più che fu la passata amministrazione Fassino a ridurre drammaticamente il contributo a Sottodiciotto: e qui davvero la giunta Appendino avrebbe modo di segnare virtuosamente la differenza rispetto al passato. Ma intanto quelli dell'Aiace mi dicono che c'è, da parte del Comune, attenzione e considerazione; e di 'sti tempi è già moltissimo.
Parlando invece di vil danaro, è più generosa la Regione, che destina 70 mila euro alle attività dell'Aiace, di cui il Festival è il fiore all'occhiello. E sessantamila arriveranno dalla Compagnia di San Paolo, che nel progetto crede da sempre. Anche la Fondazione Crt non dovrebbe far mancare il proprio appoggio, si spera attorno ai diciottomila euro.
Con un budget totale che non tocca i 180 mila euro, anche quest'anno Sottodiciotto farà il suo solito lavoro, che vale infinitamente di più: avvicinerà i giovani e i giovanissimi al cinema, valorizzerà talenti, farà circolare idee, aprirà le menti. Insomma: costruirà il domani.
Oltre a placarmi i conati di vomito che in questi giorni mi tormentano, e a ridarmi un minimo di speranza per la Torino che verrà.

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