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LE LUCI E I NANETTI: LE REAZIONI

La Mole fino alle sette di sera e (sotto) dopo

Stamattina ho pubblicato un articolo sul Corriere, intitolato "Luci d'Artista e nani da giardino" (ecco il link). E' un articolo lungo e complesso, nel quale affronto la questione della "Mole azzurra". La prima parte dell'articolo precisa che non è in discussione la "bellezza" o "bruttezza" dell'intervento sulla Mole. Esordisco proprio così: "A molti torinesi piace la Mole azzurra e sberluccicante. A me no, ma ciò non ha nessunissima importanza. Non pretendo di aver ragione io, così come mi auguro che nessuno pretenda che io cambi i miei gusti".
E a seguire dedico ampio spazio al concetto di "soggettività" del canone estetico ("La soggettività della percezione della 'bellezza'... dipende da fattori culturali, ambientali, sociali: le cellulitiche matrone di Rubens piacevano da matti agli olandesi del Seicento mentre appaiono piuttosto sovrappeso ai nostri occhi condizionati da un differente canone estetico. Per dirla semplice semplice: i nanetti da giardino per me sono orribili pacchianate, ma piacciono a quelli che se li mettono in giardino. E finché non li mettono nel mio giardino, facciano pure").
Nonostante tali premesse, l'articolo postato sui social ha rinfocolato il dibattito sul "mi piace-non mi piace". Eppure l
'articolo parla di altro. Parla del significato del progetto perduto d'arte contemporanea chiamato "Luci d'Artista".
La tesi che sostengo nell'articolo è che Torino ha smarrito il senso di quel progetto; tant'è che si ritiene normale sostituire una Luce d'Artista, cioé un'opera d'arte (nello specifico l'opera di Mario Merz sulla cupola della Mole), con una banale luminaria natalizia: che potrà essere "bella" o "brutta" (dipende dal canone estetico di chi guarda) ma di sicuro non è un'opera d'arte. Non lo è per l'evidente motivo che è una luminaria natalizia e null'altro che una luminaria natalizia. Non è il frutto dell'ingegno di un artista, pensato per trasmettere un preciso significato. 
Notate: già l'anno scorso per "fare festa" a Natale si era pensato bene di conciare la Mole con una cascata di led, che snaturava l'opera di Merz. Ed è questo il vero interrogativo: se l'amministrazione civica abbia ancora chiaro il reale significato delle Luci d'Artista come progetto di arte contemporenea, o se ormai le consideri alla stregua di normali illuminazioni natalizie (magari "più belle"), e dunque rimpiazzabili o integrabili, all'occorrenza, con altre illuminazioni natalizie.
Su questo semmai dovremmo discutere. 
Certo, se anziché "opera d'arte contemporanea" scrivessi "passaggio in area di rigore", e anziché "luminarie natalizie" scrivessi "passeggiata in montagna", nessuno negherebbe che un passaggio in area di rigore non è una passeggiata in montagnaNaturalmente il fatto che il tema in discussione sia il significato dell'arte contemporanea e non la tecnica calcistica complica un po' le cose.
Per cui è diffusa reazione è sospettare di "snobismo" chi scrive.
Concordo. E me ne vanto. E' assolutamente snob, oggi, scrivere e parlare chiamando le cose con il loro nome e costruendo ragionamenti appena più complessi della sequenza mangia-caga.
Ma l'aspetto più stravagante della faccenda è che taluni pur leggendo l'articolo traggono conclusioni non dal testo in sé ma dalla reazione che esso provoca scontrandosi con il vissuto del lettore. Tipo, che l'autore dell'articolo vuole "fare intendere che nessuno capisce l’arte e siamo tutti mediocri".
Sono affermazioni non presenti nell'articolo: ma sarei ben disposto a sottoscriverle se non fosse che per esperienza diretta (vedete? anche qui torna in gioco il vissuto individuale) so che: 1) molti capiscono l'arte; 2) non tutti sono mediocri. C'è chi capisce l'arte; c'è chi non la capisce; c'è chi non è mediocre; c'è chi è eccezionale. E naturalmente c'è chi è coglione senza rimedio. L'umanità è varia.
Ma i veri fuoriclasse sono quelli che leggono un articolo in cui si discute sul significato dell'arte contemporanea e sbottano: "Ma sempre a lamentarvi, non avete cose più importanti di cui occuparvi?". Tipo mangiare, consumare, odiare, fotografare gatti: gli argomenti prediletti di Facebook. Ragionare sulla tutela di una collezione d'arte contemporanea della città è senz'altro inopportuno. Mi rendo conto.
E poi ci sono i genii che hanno capito tutto e concludono, con scaltra prosopopea, che è soltanto un pretesto "per attaccare l'amministrazione". Come se un'opera d'arte fosse un sottopasso o una pista ciclabile. E come se me ne fottesse qualcosa, a me, delle amministrazioni loro. Passate, presenti, future. Ci mancherebbe che provassi dei sentimenti - positivi o negativi - nei confronti di lorsignori. Li pago, li controllo, e pretendo che righino diritto. Stop.

Bonus track: l'articolo del 25 ottobre

Mi sono già occupato di Luci d'Artista e della singolare deriva che sta prendendo quel progetto in un articolo apparso sul Corriere il 25 ottobre scorso, che vi linko qui e di cui riporto a seguire ampi stralci:

La decisione del Comune di non installare in via Roma la luce d’artista «Planetario» di Carmelo Giammello ha suscitato un ampio e surreale dibattito. Così come la conferma che anche quest’anno buona parte delle Luci (undici delle 24 esposte in totale) non saranno in centro, ma sparpagliate nelle altre sette circoscrizioni cittadine... In via Roma verranno comunque piazzate delle luminarie natalizie, benché non «d’artista»... Meglio che niente, si saranno detti i fini intenditori: sono pur sempre luci, no? È caratteristica propria della decadenza dimenticare il significato autentico di un’opera d’arte per adattarla alle esigenze e alla mentalità del momento. Vent’anni fa «Luci d’Artista» fu inventato dall’allora assessore alla Promozione della città, Fiorenzo Alfieri, come progetto d’arte diffusa che superasse la banalità cafona delle solite luminarie natalizie. L’idea era di allestire nelle vie centrali di Torino una sorta di museo all’aperto dove la creatività contemporanea dialogasse con le architetture dei palazzi storici. Ma le singole Luci dialogavano anche fra di loro, costituendo così un’opera unica, collettiva e diffusa... Spostarne alcune fuori dal centro storico può essere una scelta giustificata da un obiettivo politico («coinvolgere le periferie») però equivale — su un piano della lettura di un’opera d’arte — al vandalismo subìto da certe pale d’altare che per ignoranza o avidità furono smembrate e le singole tavole vendute o rubate... La conferma definitiva che il medioevo contemporaneo ha scordato il significato dell’opera d’arte Luci d’Artista — anzi, l’idea stessa che si tratti di un’opera d’arte — arriva dalla decisione di sostituire una parte perduta di quell’opera (per l’appunto il «Planetario» di Giammello in via Roma) con banali luminarie natalizie da centro commerciale. Ciò significa che la Torino odierna considera le Luci d’Artista null’altro che «addobbi per le Feste»... rimpiazzabili alla bisogna con un po’ di lampadine colorate.
Ma c’è di peggio: le luminarie natalizie di via Roma coabiteranno con le tredici Luci d’Artista esposte in centro... e dunque diventeranno un corpo estraneo, un elemento «non artistico» inserito violentemente nel tessuto di un’opera d’arte. Immaginate un affresco di cui si siano perse alcune parti: immaginate l’Allegoria del Buono e del Cattivo Governo, di Ambrogio Lorenzetti, a Siena. E immaginate che qualche sciagurato, per «non lasciare quelle parti vuote», vada a disegnarci dei pupazzetti col pennarello... Ecco: le luminarie commerciali di via Roma sono i pupazzetti nell’affresco di Luci d’Artista.

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