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CACCIAPALLE E GENTE DI PAROLA: L'ANOMALIA DELL'EGIZIO

La banda di Evelina. La presidente Christillin con la squadra dell'Egizio che ha curato il riallestimento delle sale storiche
Viviamo circondati dai cacciapalle. E questo è un dato di fatto.
Uno degli esercizi favoriti dell'autore di questo blog per mantenere la memoria efficiente è rileggere i programmi elettorali e le pubbliche dichiarazioni del passato e confrontarli alle realizzazioni dell'oggi. Nella stragrande maggioranza dei casi lorsignori non hanno combinato una benamata minchia, se va bene; o più frequentemente hanno fatto danni. E continuano ad abbarbicarsi all'immarcescibile rifugio dello "stiamo lavorando", che fa fine e non impegna.
Vi ho ricordato l'incresciosa situazione nella quale siamo immersi fino al collo e oltre - al punto che ormai ci abbiamo fatto l'abitudine e manco più ci incazziamo - così da meglio motivare le lodi che mi accingo a rivolgere all'intera squadra dal Museo Egizio, una delle rare eccezioni all'endemico cacciapallismo subalpino. Ci pensavo giusto ieri, ascoltando il direttore Christian Greco illustrare le "sale storiche" sotterranee ristrutturate e riallestite, come al solito in tempi record, senza sforare il budget e ricorrendo esclusivamente all'autofinanziamento e alle professionalità interne. 
Divergent. Evelina Christillin e Christian Greco
In quelle sale la squadra della presidente Christillin e del direttore Greco ha realizzato un percorso storico che racconta - recuperando dai depositi materiali non più esposti da tempi immemorabili, e ricorrendo ai più innovativi strumenti multimediali - le origini stesse del Museo Egizio: hanno addirittura ricostruito uno degli ambienti dell'epoca, con gli arredi e i reperti originali, proprio quelli che si vedono in un dipinto del 1871 del grande e dimenticato Delleani. E questo è soltanto un inizio: altri riallestimenti seguiranno. A cinque anni dalla titanica ristrutturazione, l'Egizio continua a cambiare, in una sorta di rivoluzione permanente.
Ieri mi ha illuminato un passaggio del discorso del direttore Greco, una frase che Greco ha ripetuto spesso, in questi anni, e che più o meno suona così: "Un museo non può mantenere per anni gli stessi allestimenti, dev'essere una creatura viva, che dia al pubblico delle ragioni per tornare".
Sono andato a cercare, nel blog, il discorso programmatico che Christian Greco pronunciò il 10 marzo del 2014, giorno del suo insediamento. E l'ho ritrovata, quella frase: allora era una promessa, in questi anni è diventata una costante realtà: "Importante è non solo attirare sempre piú visitatori ma legare questi alla propria istituzione, dare loro il motivo di tornare con una certa regolarità. Per questo il museo deve essere un’istituzione culturale viva". 

Dovreste rileggerlo anche voi, quel discorso (qui il link), e confrontarlo con quanto realizzato nei cinque anni trascorsi: dalla ristrutturazione (e ripensamento) del Museo alle mostre che uniscono valore scientifico e gradimento del pubblico, dai rapporti internazionali con le massime istituzioni scientifiche alle proposte che coinvolgono categorie nuove di visitatori, dalle redditizie tournée all'estero alla collaborazione con le altre realtà culturali del territorio, dal reperimento di risorse proprie all'attivo di bilancio, quel discorso è un esempio - quasi unico, nell'esperienza storica dell'italiano medio - di un'etica calvinista per cui gli impegni pubblici non sono un mero flatus vocis per abbindolare i gonzi, bensì un patto solenne che lega chi è incaricato di un pubblico servizio a chi gli ha dato fiducia.
Io soffro a dover definire "straordinario" ciò che il duo Christillin-Greco ha realizzato e quotidianamente realizza al Museo Egizio. In un paese normale, in un paese civile, un museo gestito come l'Egizio non è la straordinarietà: è la norma, è la regola.
Straordinarie, in quel paese civile che invano vagheggiamo, sarebbero invece le minchiate che Greco e Christillin hanno dovuto affrontare e sopportare da parte di perdigiorno d'ogni schiatta: espertoni d'egittologia con il master all'università del Bar Sport, politici in caccia di voti facili, cagacazzi col ditino alzato; per non dire di quei politici che li puniscono - ma questi come si permettono di avere i bilanci a posto? - riducendogli i contributi, così imparano a fare i primi della classe.

Eh no, cari miei, così non va. Siete due divergent, disturbate l'armonia dell'insieme, fin dall'inizio: non si dà, a Torino, che un direttore giovane e sconosciuto sia scelto con un bando davvero trasparente e si riveli un talento senza eguali. Già lorsignori considerano un male necessario un direttore all'onor del mondo, e ci si rassegnano a malincuore se proprio non se ne può fare a meno; figurarsi uno che non è assistito dal welfare di partito e che si permette pure di sapere il suo mestiere. E 'sta Christillin, come le salta in mente di fare il presidente e non il direttore, di occuparsi di gestione e non di egittologia, di premiare e motivare la squadra, e addirittura di supportare il suo direttore anziché fargli le scarpe? Ma chi si credono, questi due, con quei nomi pieni di acca e quella spocchia di essere i migliori? No, no, così non va. Alla prima occasione li dobbiamo cacciare, così sistemiamo altri due compagnucci della parrocchietta e portiamo anche l'Egizio al livello medio torinese. Egalité, fraternité e fora dij pè.

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