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COVID E CULTURA: UNA CATASTROFE DA 45 MILIONI

Una delle tabelle del rapporto dell'Osservatorio Culturale: gli incassi mancati soltanto nel periodo dal 2 marzo al 3 aprile
E' appena uscito il secondo report dell'Osservatorio Culturale del Piemonte sugli effetti dell'emergenza-covid sul settore della cultura e dello spettacolo. Sono dati terrificanti, che descrivono una situazione di coma profondo con perdite nette (soltanto incassi mancati, senza contare l'impatto sul sistema economico) per almeno 20 milioni di euro fra febbraio e aprile, di cui almeno 14 nella sola Torino. E siamo soltanto all'inizio. Secondo Luca Dal Pozzolo, direttore dell'Osservatorio, nel primo semestre 2020 le perdite stimate potrebbero superare i 45 milioni di euro (di cui 29-30 nella sola Torino) così suddivisi: 19 milioni di perdite per i musei, 14 per il cinema e 14 per lo spettacolo dal vivo.
Per farsi un'idea delle dimensioni del disastro, basterà pensare che il decreto-maggio presentato oggi dal governo (qui il testo completo) prevede un Fondo di 225 milioni di euro "a sostegno delle librerie, dell’intera filiera dell’editoria, nonché dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura" e autorizza la spesa di 100 milioni di euro nel 2020 "per assicurare il funzionamento dei musei e dei luoghi della cultura, tenuto conto delle mancate entrate causate dall’emergenza". Totale 325 milioni. Per tutta Italia. 
Non ci sono parole per commentare: le cifre parlano da sole. Mi limito a pubblicare il documento diffuso dall'Osservatorio, con i link per gli approfondimenti, e a seguire, in chiaro, un mio articolo uscito l'altro ieri sul Corriere, che espone alcune delle preoccupazioni per un futuro che si prospetta drammatico. Preoccupazioni che tristemente concordano con quelle oggi espresse da Luca Dal Pozzolo e dall'Osservatorio Culturale.

I dati dell'Osservatorio Culturale

È terminata da alcuni giorni la seconda fase di rilevazione promossa dall’Osservatorio Culturale del Piemonte per monitorare gli effetti della crisi pandemica e delle disposizioni adottate per l’emergenza sanitaria da Coronavirus nel periodo dal 2 marzo al 3 aprile. Il monitoraggio ha visto la partecipazione di poco meno di 600 organizzazioni, istituzioni e operatori culturali piemontesi; questa rilevazione va ad aggiungersi alla prima, che aveva considerato esclusivamente la settimana iniziale di lockdown, ovvero il periodo tra il 24 febbraio e il 1 marzo. Lo scopo dei due monitoraggi effettuati è quello di fornire un quadro il più preciso possibile, rilevato con il dovuto rigore metodologico, per consegnare ai decisori pubblici e privati in primis, ma anche ai media e all’opinione pubblica, informazioni controllate che definiscano la dimensione del danno economico arrecato all'intero comparto culturale e programmare per il futuro strumenti di mitigazione.

I dati sono stati rilevati attraverso un questionario online; la sintesi dei risultati è disponibile nei due cruscotti interattivi realizzati dall’OCP, consultabili ai seguenti link:
• Dati Prima fase (24 febbraio / 1 marzo): https://bit.ly/ocpcovidfebbraio
• Dati Seconda fase (2 marzo / 3 aprile): https://bit.ly/ocpcovidmarzofase2

Le informazioni presenti nei cruscotti non rappresentano una stima dell’impatto economico del Covid-19 sul settore ma la misura delle perdite dirette dichiarate dalle organizzazioni rispondenti e riportate nei questionari. Come precisa Luca Dal Pozzolo, Direttore OCP nel suo commento ai dati: «Sono stime di perdite nette, incassi mancati e soldi che vengono meno al sistema culturale. Per fare un’analogia con un terremoto, un conto è censire gli edifici crollati e un conto valutare i danni. In questo momento stiamo rilevando i crolli, i soldi mancanti all’intero sistema, più in là ci impegneremo in una visione complessiva sugli impatti economici».

Accanto alle informazioni messe a disposizione dagli operatori dei diversi comparti, l’Osservatorio ha realizzato altri approfondimenti, confrontando e completando i dati resi disponibili dagli operatori con i dati delle proprie serie storiche disponibili per musei, esercizio cinematografico e spettacolo dal vivo.
Sulla base di questi dati si stima che, nel periodo compreso tra il 24 febbraio e il 3 aprile, le perdite economiche ammontino a circa 20 mln di Euro in tutto il Piemonte, di cui 14 mln di Euro solo a Torino. Questa stima si riferisce agli incassi totali mancanti – incassi da biglietteria, caffetteria/bar, affitto a terzi degli spazi, realizzazione di eventi extra, contratti di fornitura che soggetti terzi hanno interrotto per la prestazione di servizi. Se si considerano esclusivamente gli ambiti dei musei, cinema e spettacolo – su cui l’Osservatorio ha realizzato un’analisi dei dati più puntuale – le perdite nette ammonterebbero almeno a 16 mln di Euro di cui circa 6 mln riferibili ai musei, 4,8 mln al cinema e 5,2 mln allo spettacolo.

A partire da tali consistenze l’Osservatorio ha costruito ulteriori stime complessive(sempre considerando dati dichiarati e serie storiche) arrivando a prospettare per il primo semestre del 2020 – da gennaio a giugno - entrate mancanti per i settori dello spettacolo dal vivo, cinema e musei tra i 45 e i 47 mln di Euro in tutta la regione: solo a Torino si registrerebbero perdite di circa 29-30 mln di Euro (19 mln di Euro per i musei, 14 per il cinema e 14 per lo spettacolo dal vivo).
Va sottolineato che, nonostante si tratti di stime prudenziali, al momento sono grandi i fattori di incertezza legati alla ripresa dei consumi culturali e alle dinamiche di riapertura dei luoghi culturali. Gli ordini di grandezza indicati vanno dunque considerati con molta cautela; le informazioni e i dati oggi disponibili andranno raffinati in futuro, seguendo l’evoluzione della situazione attraverso ulteriori fasi di rilevazione previste per le prossime settimane.
Rispetto alle misure adottate dal Governo per far fronte nell’immediato alla forte crisi lavorativa causata dalle restrizioni imposte a tutti i settori economici, dall’indagine emerge che soltanto il 33% dei soggetti del comparto culturale, rispondenti al monitoraggio, ha avuto accesso agli ammortizzatori sociali e alle misure di sostegno al reddito previste dal Decreto Legge 18/2020 “Cura Italia”, di questi il 45,6% ha richiesto il bonus 600 €, poco meno del 30% ha fatto ricorso alla Cassa integrazione e il 10% ha avuto accesso al Fondo integrativo salariale.

Sebbene le forme di sussidio previste abbiano riguardato una quota sensibile dei lavoratori della cultura, approssimativamente il 15% dei lavoratori è rimasto completamente escluso – in termini numerici circa 2 mila persone conteggiate dai rispondenti al questionario.
La chiusura totale dei luoghi culturali, infine, ha spinto le organizzazioni a riformulare la propria offerta ridefinendo le attività in chiave digitale; il 64% dei soggetti ha avviato iniziative, progettato o ideato contenuti per la fruizione digitale dei prodotti culturali per continuare ad essere in dialogo con i propri pubblici attraverso il web. Una quota pari al 20% del totale ha prodotto contenuti nuovi espressamente progettati per il web, mentre per la maggioranza dei soggetti si è trattato di “spostare in rete” materiali già disponibili in formato digitale. Quasi tutti (85% dei rispondenti) hanno reso disponibili le loro offerte digitali in maniera completamente gratuita.

Dopo questa prima fase l'indagine dell'Osservatorio proseguirà anche nei prossimi mesi, con ulteriori fasi di monitoraggio ad aprile e maggio e nel periodo successivo alla riapertura, per valutare quali saranno le ricadute economiche non solo legate agli effetti delle ordinanze restrittive, ma anche al riassestamento futuro del consumo degli utenti.

Il mio articolo sul Corriere

Il dibattito sulla cultura nel tempo del virus ha il merito, comunque vadano le cose, di stimolare al confronto e alla riflessione un ambiente che vedevo da tempo ripiegato su se stesso e sui propri guai di piccolo cabotaggio; e non trovava occasioni e spazi per esprimere visioni alte e obiettivi diversi dalla pura difesa di posizioni consolidate, o dallo sforzo di occuparne di migliori. Molte delle idee che su queste pagine vanno esponendo alcune delle risorse intellettuali più creative della città circolavano sottotraccia già prima della catastrofe, ma stentavano a emergere nel clima depressivo di una Torino senza guida e senza più ambizioni. Averle portate alla luce, chiamando tutti a unire gli sforzi per progettare un domani diverso, è forse l'unico effetto virtuoso che posso riconoscere al tempo sbandato in cui l'epidemia ci ha precipitati.
Ma è impossibile trascurare, oggi più che mai, l'aspetto economico che condizionerà pesantemente qualsiasi progetto di ripresa. Capisco che si tratta di materia vile, però mi pare giusto sottolineare alcune criticità.
Valga per tutti l'esempio delle prescrizioni del Comitato tecnico-scientifico per riaprire i teatri all'inizio di giugno impongono regole di sicurezza stringenti, con adeguamenti dei locali e distanziamento tra gli spettatori in sala e gli artisti sul palco, con rigidi limili alle capienze: si parla di un massimo di 200 persone nelle sale al chiuso, mille negli spazi all'aperto.
In simili condizioni la riapertura si trasformerà in un disastro finanziario. Aumenteranno le spese (dalle igienizzazioni al personale di sorveglianza) e caleranno i profitti, perché un teatro da 1200 spettatori che può ospitarne al massimo 200 lavora in perdita. E uno che di posti ne ha solo 200, quanti potrà venderne distanziando di un metro ogni spettatore? Sessanta, a essere generosi?
Certo, si risparmierà sui costi artistici: niente spettacoli fastosi, niente scenografie, trionferanno i monologhi e i concerti solisti. Ma così resteranno a spasso stuoli di artisti e di tecnici.
E quanto vorrà pagare il pubblico a pagare per uno spettacolo di quel genere? Diciamo pure trenta euro, se c'è un artista in grado di riempire i duecento posti che equivalgono ai 1200 del tutto esaurito in tempi normali: fanno seimila euro d'incasso. Togli la Siae, le tasse, gli stipendi, le utenze, il service, le spese vive e magari un po' di pubblicità: quanto rimane per il cachet dell'attore o del musicista, e per l'onesto guadagno dell'organizzatore?
Che dire poi di uno spettacolo da sessanta spettatori (in un teatro da 200), per cui si può ipotizzare un biglietto massimo da 20 euro? frutterà se tutto va bene 1200 euro lordi. E non parlo dei teatri più piccoli, degli artisti di minor richiamo.
Un teatro sta in piedi, con queste cifre? Forse un teatro pubblico, che può contare sulle sovvenzioni di Stato, Regione, Comune, fondazioni bancarie. Ma uno privato? Un teatro che vive del suo, grazie agli incassi? La risposta è evidentemente no.
Neppure i teatri sovvenzionati possono però stare tanto allegri, con le casse pubbliche già stremate prima della bufera-covid: da anni i fondi per la cultura sono in calo, immaginate un po' cosa accadrà adesso, con l'economia depressa, il tracollo del gettito fiscale e il debito pubblico al 152 per cento. E' velleitario parlare di "diversa distribuzione delle risorse", se le risorse mancano.
Altra incognita sono gli spettatori. Accetteranno le limitazioni? Andare a teatro è un'attività sociale, prevede spesso gruppi di amici che vogliono trascorrere una serata in compagnia. In compagnia sparpagliati per la platea? Mah. Può essere, però la vedo dura.
E c'è pure l'aspetto psicologico. Il virus non scomparirà domani, e finché non sarà debellato qualsiasi attività comporterà una certa dose di rischio. Prima di acquistare il biglietto per uno spettacolo teatrale, ciascuno di noi si domanderà se il gioco vale la candela. Per assurdo, il problema sarà meno impellente se e quando riapriranno le discoteche e i club frequentati in prevalenza dai giovani, per loro natura meno apprensivi e nei fatti meno esposti alle conseguenze del virus. Purtroppo il pubblico dei teatri è in media più avanti negli anni, e dunque più cauto perché più vulnerabile. Anche per questa ragione gli spettatori potrebbero scarseggiare, almeno in una prima fase.
Mi spiace essere il solito pessimista, ma - felice se verrò smentito - ho motivo di temere che per la gente dello spettacolo la sofferenza non finirà a giugno: il calvario è soltanto all'inizio.

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