Presidente e direttore: Enzo Ghigo e Mimmo De Gaetano |
Ecco la storia.
Ieri La Stampa pubblica, nelle pagine nazionali, un articolo sui vent'anni del Museo del Cinema alla Mole. Niente di che, il solito articolo sul Museo del Cinema, con la Maria Adriana Prolo e Pastrone e il pre-cinema e le varie peripezie e l'approdo alla Mole. Ci siamo capiti: il tipico articolo sui vent'anni del Museo del Cinema; unico elemento insolito, un terzo dell'articolo in questione dedicato al famoso concorso escogitato con quelli di Ciak sui film della nostra vita, pensa te l'originalità. Ma nel complesso un articolo del tutto innocuo.
Alberto Barbera |
E vabbé. Capisco che non sono cazzi miei, da anni non lavoro più per La Stampa e l'articolo non l'ho scritto io. Meno male, aggiungo: se l'avessi scritto io, di sicuro sarebbe piaciuto molto meno, proprio perché avrei riservato ampio spazio agli ultimi anni.
Ad ogni modo: con tutto che non sono cazzi miei, non riesco a capire cosa diavolo ci sia, in quell'innocente articolo, da rammaricare tanto Ghigo, il Comitato, e pure il direttore.
Incuriosito, chiamo Ghigo per farmi spiegare cos'abbia scatenato l'imbufalimento di un gentiluomo noto per la sua affabilità e la curiale diplomazia dell'agire.
Ghigo, che con me è sempre gentilissimo, non ha difficoltà a dichiarare d'essersi incazzato per una "questione istituzionale": uomo delle istituzioni, considera improprio un intero articolo sul Museo del Cinema che non cita non dico le opere, ma neppure i nomi degli attuali presidente, direttore e comitanti di gestione, e parla soltanto di Barbera.
Beh, io sono perplesso. "Capisco il punto di vista - azzardo - ma a volte su certe cose è meglio glissare... E poi nell'articolo il nome di Barbera non compare mai".
"Era illustrato con una foto di Barbera", puntualizza Ghigo.
Embeh?, penso io. E come dovevano illustrare l'articolo? Con la foto dell'attuale direttore? Sulle pagine nazionali? Cioé, senza offesa, da un punto di vista della notiziabilità non c'è partita. E' l'abc del giornalista, buondìo: metti la foto del personaggio più noto, non di quello che conoscono in pochi.
Insomma, tutto 'sto rammarico mi pare esagerato. Lo faccio capire a Ghigo.
"Tu quindi non ti saresti incazzato?" mi fa lui.
Ma figurati la vastità del cazzo che me ne frega di una foto sul giornale, penso. "No, non credo", ribatto.
"Allora diciamo che mi andava di incazzarmi. Uno può incazzarsi ogni tanto, no?", ribatte lui, con mondana spigliatezza.
"Ma ci mancherebbe - convengo io. - E' un diritto costituzionale".
E poi lo capisco, Ghigo. Ogni giorno una pena. Ha grandi progetti, per il Museo, il riallestimento e tutto il resto, ma 'sto covid ha incasinato le carte. Mancano gli incassi della biglietteria, i soldi scarseggiano, la Regione taglia i contributi del 5 per cento. Per il ventennale del Museo e di Film Commission non ci saranno i grandi festeggiamenti tanto vagheggiati, non adesso almeno. E l'orizzonte è cupo. Quest'anno in qualche modo la sfangano, con i risparmi del passato; ma se la situazione non si raddrizza in fretta l'anno prossimo saranno dolori, mi confida il Preoccupato Presidente.
Nel frattempo, com'è ovvio in quest'ambiente pettegolo, l'intera faccenda è giunta all'orecchio di Alberto Barbera. Dubito che il direttore della Mostra del Cinema di Venezia sprizzi entusiasmo per il riferimento ai "numerosi problemi e mancanze generate dalla precedente direzione", che poi sarebbe la sua. D'altronde Barbera ha sempre evitato di replicare a quanti gli addossano la responsabilità degli attuali mali del Museo del Cinema. Ma a furia di menargli il torrone, secondo me prima o poi risponde per le rime. Dovrà farlo. Altrimenti qualcuno potrebbe interpretare il suo silenzio come un'implicita ammissione di colpa.
E il giorno che il Museo del Cinema di Torino si farà sfanculare dal direttore della Mostra del Cinema di Venezia scommetto che sui giornali ci saranno spazio e foto per tutti. Anche per i comitanti di gestione.
Aggiornamento: Oggi (martedì 14) in un'intervista al Corriere il presidente Ghigo la tocca pianissimo, su Barbera: parla testualmente di "logiche clientelari che hanno contraddistinto la gestione del museo nel periodo che ci siamo lasciati alle spalle". Se non è una dichiarazione di guerra questa...
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