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NE' DRONI NE' FUOCHI: ULTIMO ATTO DELLA TRAGICOMMEDIA DI SAN GIOVANNI

The last hurrà. La presentazione in Comune
dei "festeggiamenti" per San Giovanni 2021
(foto dalla pagina Facebook di CittAgorà)
Finita la conferenza stampa, al momento delle domande, alzo il ditino e domando a Chiara Appendino (avrete notato che non la chiamo più Chiarabella: con la carica, decade pure il diritto al nome d'arte...) quale tipo di spettacolo di piazza avrebbe voluto per San Giovanni, nella denegata ipotesi che si potesse fare uno spettacolo di piazza per San Giovanni.
Ok, perduranti lo stato d'emergenza e le norme di sicurezza non si possono fare spettacoli di piazza: quindi l'interrogativo è teorico. Ma insomma, la mia era un'innocente curiosità.
Chiara Appendino mi guata seria seria: "Non ho ben capito se la domanda è provocatoria, ma rispondo non provocatoriamente", replica. E spiega che in questi mesi hanno avuto ben altro a cui pensare che alle ipotesi irrealizzabili per San Giovanni, dato che era chiaro da mesi che l'emergenza non sarebbe finita prima del 24 giugno; e neanche dopo.
Sono un po' attapirato: quella donna proprio non mi ha capito, se ancora adesso, dopo tanti anni che ci conosciamo, sospetta che io possa farle una domanda provocatoria. Stupida semmai, questo lo ammetto: la Grande Storia non si fa con i se e i ma, e dunque domandarsi quale spettacolo di San Giovanni avremmo avuto senza il covid non ha più senso che domandarsi cosa sarebbe successo se Napoleone avesse vinto a Waterloo.
Però immaginate il colpo di scena: una Chiara Appendino che, dopo gli anni spesi nel titanico sforzo di far piacere i droni ai torinesi passatisti, nell'ultimo scorcio dell'incarico rinnega la fredda tecnologia del drone e si riconverte alla caciara dei mai dimenticati fuochi. Fantasia malate? Beh, certo: ma in un quinquennio a Palazzo Civico se ne son viste tante di conversioni - dai Grandi Eventi alla Tav, alla Cavallerizza... - sicché ho capito che a Torino nulla è scontato.
Che poi a me, brutta persona, i droni mi facevan schifo quanto i fuochi. Quindi non ho rimpianti. Semmai rimpiangerò il divertimento che mi ha regalato, finché è durata, la tragicommedia del San Giovanni torinese. Ripercorriamola insieme.
Nel primo anno appendiniano, 2017, i fuochi si fanno - anche a quell'epoca, a pochi giorni dal disastro di piazza San Carlo, avevano ben altro per la testa che strologare su San Giovanni - ma Appendino - pensosissima della sicurezza di tutti, gatti compresi - trasforma piazza Vittorio in un bunker con transenne e ingressi ipersorvegliati, per cui la gente se ne resta a casa.
Atto secondo, 2018:  l'avvento glorioso dei droni, purtroppo pochini, appena duecento, che a malapena disegnano in cielo grafiche luminose da Space Invaders, se qualcuno ancora ricorda quel primitivo videogioco. La gente in piazza si sente un pochetto perculata, ma l'indomani in Municipio si celebra il trionfo della tecnologia sul passatismo.
Terzo atto, il 2019: aumentano i droni, però lo spettacolo resta una solenne perculata. Poco male, perché stavolta - anziché il solito e unico e rassegnato sponsor d'ufficio, l'Iren -  vengono sbandierati ben 19 "nuovi sponsor" che hanno creduto nella faraonica impresa accettando di sganciare oltre 700 mila euro per finanziarla. Secondo me gli sventurati sventatelli sono ancora lì che piangono sui loro soldi perduti: prova ne sia che adesso l'unico sponsor è di nuovo l'infelice Iren.
Arriviamo così al penultimo atto, in cui entra in scena il deus ex machina, il personaggio inatteso che stravolge le dinamiche della tragicommedia: è il covid, che nel 2020 trasforma la malconcia festa in un lemure on line. Unica manifestazione esterna è il decantatissimo videomapping sulla Mole che piace tanto al direttore del Museo del Cinema - tant'è che ce lo riammannisce, sempre più tecnologico, pure quest'anno. In compenso nel 2020 decidono di non fare - "per sicurezza" - il farò di San Giovanni. La figura dimmerda è comunque assicurata dall'exploit di un tecnico cialtrone che durante lo spettacolo in diretta streaming dalla Mole filma sotto la gonna la deejay Ema Stockholma. Quell'anno segnò il definitivo trionfo del bon ton torinese nel mondo: trionfo che oggi la vulgata municipale tende a rimuovere, accennando genericamente a una "pausa forzata" dei festeggiamenti nel 2020.
Quinto e ultimo atto. Nell'anno di grazia 2021, secondo del covid, l'emergenza c'è ancora, però cambiano idea sul farò: si vede che nel frattempo è diventato meno contagioso. Tuttavia lo fanno in piazza del Municipio, così controllano meglio che la gente non s'accalchi. Naturalmente rifanno il videomapping sulla Mole, e stavolta con l'aggiunta di ballerini che piroettano su e giù per la cupola: c'è pure, prodigio della tecnologia, un'app per ascoltare il commento sonoro. Non vedo l'ora di scaricarmela, mi pare un must utilissimo e irrinunciabile. Quasi quanto "Immuni".
Per il resto, solito protocollo: pigliano tutto quanto di già programmato accade in questi giorni in città, lo ficcano in uno scatolone con su scritto "San Giovanni", e se lo rivendono come "eventi diffusi", che fa fighissimo. Serviva però una ciliegina sulla torta, e l'ingrato ruolo è toccato a Portici di Carta: la povera manifestazione viene spostata d'urgenza dalla tradizionale sede ottobrina e chiamata a far più splendido e intellettuale l'ultimo San Giovanni di Chiara Appendino, in arte per cinque anni Chiarabella.
Ma Portici di Carta merita più rispetto, me ne occuperò nei prossimi giorni. Oggi mi premeva di chiudere il dossier San Giovanni che per un lustro ci ha fatto ridere e piangere e incazzare, e che già rimpiango. Nessuno sa cosa ci riserva il futuro, quali nuovi eccelsi talenti si affacceranno alla ribalta del gran varietà municipale, con quali gag ci intratterranno e ci perculeranno. Ma finché avrò vita serberò nel cuore il grato ricordo di questi cinque formidabili anni che hanno fatto del mio grigio mestiere uno spasso a colori.
Grazie, e buon San Giovanni a tutti (e a tutte, ça va sans dire). 


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