La sala grande del Massimo ieri sera durante la proiezione di "Aline", il film di chiusura |
Il trentanovesimo Torino Film Festival si è chiuso sabato scorso, ieri sono stati proiettati i film vincitori, ma finora - contrariamente alla consuetudine - il Museo del Cinema non ha comunicato i dati sulle presenze e gli incassi complessivi della manifestazione. Dati che rivestono un particolare interesse, dopo il deludente esito del primo weekend festivaliero e le oneste ammissioni del presidente Ghigo e del direttore del Tff Francia di Celle che hanno riconosciuto le criticità di questa prima edizione post-covid, ripromettendosi di porvi rimedio l'anno prossimo. Ghigo si spinge a dichiarare che quello del 2022 "sarà certamente un Tff indimenticabile". Fin troppa grazia, presidente: basterà un Tff che ci faccia ricordare quelli del passato.
Mimmo De Gaetano, invece, dichiara compiaciuto che "rispetto a due anni fa è cresciuta la sinergia fra Tff e Museo".
Mah. Se fossi io il direttore del Museo del Cinema, mica menerei gran vanto, di 'ste sinergie. Sabato me ne sono rimasto a casa a curarmi il raffreddore, ma dall'ultima notte del Festival mi sono arrivati immagini e dati (170 biglietti venduti per il film di chiusura) che non autorizzano eccessivi trionfalismi. La sala grande del Massimo piuttosto sguarnita di spettatori è l'ultima certificazione di un Tff in cui qualcosa non ha funzionato, e non ha funzionato proprio sul versante delle sinergie con il Museo. Museo che in teoria dovrebbe essere il patrono - e non solo il padrone - del Festival, il motore che fornisce all'evento risorse (soldi), visibilità (pubblicità) ed efficienza (tipo agevolare, o almeno non complicare, l'acquisto dei biglietti...).
Per finire, vorrei raccontare una storiella a beneficio di chi tiene i cordoni della borsa di un Festival sempre più al verde (diciamocelo chiaro: non organizzare neppure un piccolo brindisi finale per ospiti, giuria e premiati non è un risparmio virtuoso, è la poveracciata di chi non può permettersi neppure qualche bottiglia di spumantino).
La storiella che voglio raccontare è vecchia come il cucco, ma descrive alla perfezione le politiche attuate negli ultimi anni nei confronti del Torino Film Festival e, più in generale, delle principali realtà culturali della città. Eccola. C'era una volta un contadino che voleva risparmiare sulla biada del suo asino: iniziò a diminuirgli la razione un po' alla volta, e l'asino continuava a lavorare. Il contadino, felicissimo, azzerò del tutto la razione di biada. L'indomani l'asino morì di fame, e il contadino esclamò: "Come sono sfortunato! L'asino è morto proprio adesso che aveva imparato a non mangiare".
Mah. Se fossi io il direttore del Museo del Cinema, mica menerei gran vanto, di 'ste sinergie. Sabato me ne sono rimasto a casa a curarmi il raffreddore, ma dall'ultima notte del Festival mi sono arrivati immagini e dati (170 biglietti venduti per il film di chiusura) che non autorizzano eccessivi trionfalismi. La sala grande del Massimo piuttosto sguarnita di spettatori è l'ultima certificazione di un Tff in cui qualcosa non ha funzionato, e non ha funzionato proprio sul versante delle sinergie con il Museo. Museo che in teoria dovrebbe essere il patrono - e non solo il padrone - del Festival, il motore che fornisce all'evento risorse (soldi), visibilità (pubblicità) ed efficienza (tipo agevolare, o almeno non complicare, l'acquisto dei biglietti...).
Per finire, vorrei raccontare una storiella a beneficio di chi tiene i cordoni della borsa di un Festival sempre più al verde (diciamocelo chiaro: non organizzare neppure un piccolo brindisi finale per ospiti, giuria e premiati non è un risparmio virtuoso, è la poveracciata di chi non può permettersi neppure qualche bottiglia di spumantino).
La storiella che voglio raccontare è vecchia come il cucco, ma descrive alla perfezione le politiche attuate negli ultimi anni nei confronti del Torino Film Festival e, più in generale, delle principali realtà culturali della città. Eccola. C'era una volta un contadino che voleva risparmiare sulla biada del suo asino: iniziò a diminuirgli la razione un po' alla volta, e l'asino continuava a lavorare. Il contadino, felicissimo, azzerò del tutto la razione di biada. L'indomani l'asino morì di fame, e il contadino esclamò: "Come sono sfortunato! L'asino è morto proprio adesso che aveva imparato a non mangiare".
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