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IL JAZZ FESTIVAL VA CON IL SALONE, MA A SUA INSAPUTA

Nel 2017 Natale cadrà il 20 di maggio, durante il trentesimo Salone del Libro, in programma dal 18 al 22. L'astuta strategia di spostare nel periodo di Quel-Che-Resta-Di-Librolandia una delle festività più attese dell'anno, con turisti da tutta Italia che arrivano per visitare Torino, è stata partorita dagli abili generali del Superassessorato per rintuzzare la concorrenza della Fabbrica del Libro e garantire al loro Salone un pubblico eccezionale.
Il Papa non è ancora stato avvisato, ma nei prossimi giorni sarà convocato in via Meucci per ricevere le istruzioni del caso. Si potrà trattare sull'Epifania.

Ok, non ci credete. Difficile fregarvi, a voi. Io invece stentavo a credere ai miei occhi stamattina. Apro La Stampa e leggo:
 "Il Festival Jazz insieme con il Salone del Libro. La rassegna musicale trasloca a maggio e andrà in scena negli stessi giorni della kermesse dell’editoria"
Notiziona. Applausi all'autore. Però notiziona stupefacente. Ma dai: dovunque sento dire che il Festival non si farà più, quelli del Tjf non sanno neppure di che morte morire, aspettano da settimane un incontro in Comune... E invece, guarda te. E' risorto dai morti.

Cavolo, penso, il Superassessorato funziona: in quattro e quattr'otto hanno convocato gli organizzatori, hanno deciso di cambiare le date, magari avranno pure trovato gli artisti liberi in quel periodo... Sono proprio bravi. Onore al merito.

Spostati a loro insaputa

Rinfrancato dalla prova d'efficienza dei miei stipendiati, cerco i responsabili del Tjf per congratularmi dello scampato pericolo. Non sono un estimatore della manifestazione, questo si sa: ma so essere cavalleresco. E poi, in tempi di grande estinzione, qualsiasi cosa si salvi mi sta bene.
Becco il direttore della sezione Fringe, lo stimato musicista torinese Furio Di Castri. Sorpresa: non sa nulla dello spostamento e del gemellaggio con il fu Salone. Non ha letto il giornale, la notizia gliela do io. Cade dal pero. Nessuno ci ha chiamati, mi dice, nessuno s'è fatto sentire. Ancora aspettano una convocazione. Ma non basta. Anche il direttore Stefano Zenni è all'oscuro. Mistero birmano. Che poi, immagino, a loro starebbe pure bene, lo spostamento. Spostarsi è sempre meglio che morire. Ma dirglielo, no?

Addà passà 'a nuttata

Rileggo l'articolo. E' evidente che c'è sotto qualcosa di concreto, il cronista non può essersi inventato tutto, e non credo molto alla comoda scappatoia del "giornalista che fraintende". E' altrettanto evidente che l'indiscrezione esce dal Comune: la Regione non è neppure citata. Per saperne di più sono tentato di chiamare la Leon, poi lascio perdere. Mi risponderebbe che sta studiando il fascicolo, e poi non è farina del suo sacco. Dev'essere stato l'altro. Vabbé, che importanza ha? Ormai è la prassi gestionale dell'agonia Salone: ogni tanto butti lì una cazzata per dare aria ai denti, vedi l'effetto che fa, e un altro giorno è andato. Prima o poi addà passà 'a nuttata.

Carriera di un Festival: da modello negativo a salvatore della patria

Questa del Jazz Festival però è proprio garula. Ma come? Quello stesso Festival che meno di un anno fa la candidata sindaco Appendino bollava come esempio negativo della “logica del grande evento che non ha ricadute sul territorio”, adesso mi diventa, cito l'odierno articolo della Stampa, “uno degli eventi più seguiti dell’anno con turisti da tutta Italia che arrivano a Torino per ascoltare i grandi musicisti”? Una risorsa tanto salvifica da affidarle le pericolanti sorti del morituro Salone?
Vabbé che non nutro soverchia stima dei tizi squinternati che manteniamo per il nostro disdoro. Però è deprimente: qui i culi sono nuovi, ma i cervelli sono come quelli di prima. Latitanti.

Tre passi nel delirio

Nel disperato tentativo di trovare un metodo in questa follia, azzardo tre ipotesi.

1) Giordana ha partorito la bella idea, e l'ha data per fatta. Informarne i responsabili del Festival non era a suo avviso un'opzione imprescindibile. Posso voglio e comando. O magari ci sta semplicemente pensando, com'è suo dovere di Superassessore. Allora è una questione di metodo. L'idea di per sé può anche avere un senso, ammesso che davvero ci sforziamo a trovarlo, e non siamo troppo fiscali sulla coerenza. Ma in genere, per qualsiasi operazione, compreso cambiare lo scarico del rubinetto, viene considerata una pratica vantaggiosa - oltre che cortese - consultare le persone competenti. Segnalo inoltre che dare una voce a chi vogliamo coinvolgere nelle nostre pensate è considerato il minimo sindacale delle buone maniere, perlomeno dai tempi dell'estinzione dei Neanderthal.

2) Trattasi di machiavellico inghippo per liberarsi del Torino Jazz Festival. Abbini il Tjf 
al derelitto Salone del Libro che con ogni probabilità si dissolverà nel nulla subito dopo la mesta edizione del trentennale; e così facendo condanni il Festival allo stesso infausto destino. Era un tipico supplizio dei romani: legavano il condannato a un cadavere, e lasciavano che la Natura e la decomposizione facessero il loro corso. Se preferite una metafora meno splatter, c'è il detto “mettere insieme la fame con la sete”. 

3) E' un cazzeggio. Capita. Hai davanti un giornalista, hai finito il tuo repertorio di barzellette, la conversazione langue e tu per farti bello butti lì la prima fregnaccia che ti passa per le stanze dove di solito alloggiano i neuroni. Chettefrega? Domani sarà dimenticata, e fra dieci giorni potrai dire l'esatto contrario, tanto figurati se c'è qualcuno che te lo fa notare.

E qui, signori belli, vi sbagliate.
Vai alla seconda puntata: "Il Tjf è passato di mano?"

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