Forse l'arcano è risolto. E la soluzione è davvero degna delle migliori commedie degli equivoci.
Allora. Il Torino Jazz Festival si farà - forse - anche l'anno prossimo, e in concomitanza con il Salone del Libro: però non sarà quel Torino Jazz Festival. Quello, per intenderci, delle prime cinque edizioni, i cui direttori Stefano Zenni e Furio Di Castri (per il Fringe) stamattina erano all'oscuro dei futuri destini della rassegna immaginati dal Superassessore. Non ne sapevano niente per il semplice motivo che sono stati defenestrati – così sembra - a loro insaputa.
Allora. Il Torino Jazz Festival si farà - forse - anche l'anno prossimo, e in concomitanza con il Salone del Libro: però non sarà quel Torino Jazz Festival. Quello, per intenderci, delle prime cinque edizioni, i cui direttori Stefano Zenni e Furio Di Castri (per il Fringe) stamattina erano all'oscuro dei futuri destini della rassegna immaginati dal Superassessore. Non ne sapevano niente per il semplice motivo che sono stati defenestrati – così sembra - a loro insaputa.
La nuova
amministrazione comunale, e nello specifico il nuovo Superassessore,
non ha mai risposto alle loro richieste di un incontro? Ma è ovvio: ha già
provveduto diversamente. Di recente avrebbe visto il rappresentante di un'altra “cordata”, un "consorzio" che potrebbe realizzare il Torino Jazz Festival 2017 sulla base, pare, di un
vecchio progetto. Quale, non posso dire con certezza. Io ne ricordo uno, piuttosto tradizionalista, caldeggiato - mi pare attorno al 2010/11 - da Chiamparino quand'era ancora sindaco: quando arrivò Fassino venne accantonato a favore di quello che è stato il Tjf come l'abbiamo conosciuto.
A parte la carineria di Chiara nei confronti di zio Chiampa, vediamo cosa potrebbe accadere se si riprenderà quel vecchio progetto. Il "nuovo" Torino Jazz Festival sarebbe più breve (cinque giorni, come il Salone) e meno costoso. Date le premesse economiche, si può supporre che il cartellone non reggerà il confronto con quello che ha allestito Milano per il suo JazzMi. Insomma, c'è da domandarsi se rimarrà “uno degli eventi più seguiti dell’anno con turisti da tutta Italia che arrivano a Torino per ascoltare i grandi musicisti”, o se invece retrocederà a volonterosa rassegna localissima. E in tal caso, interesserà ancora agli attuali sponsor del Tjf, che sulla passata edizione hanno investito circa 800 mila euro? E in caso contrario, quei denari verranno dirottati su altre iniziative, o andranno persi? Ah, saperlo...
Detto questo, il marchio Torino Jazz Festival è
proprietà della Città e quindi l'operazione è del tutto legittima. Forse un po' disinvolta sul piano della buona creanza – non ricordo, a
Torino, altri casi di direttori di festival importanti messi alla
porta senza neppure interpellarli – però inattaccabile sul piano
giuridico.
Non risulta a questo ufficio se la scelta dei nuovi organizzatori del Tjf sarà perfezionata tramite bando pubblico o concorso di
idee - o anche dialogo competitivo. Per me non è un problema. Più di una volta ho affermato che designare un direttore artistico con chiamata diretta è una pratica sensata e non criminale, se ispirata a criteri di merito e non di familismo amorale. Altri però sostengono da tempo il contrario. E tornano alla mente le lapidarie parole della candidata Appendino nell'ormai celeberrima intervista del 10 novembre 2015: "Vogliamo creare una procedura, un sistema che con un bando pubblico decida chi ha idee e titoli che valgono, e chi no".
Va bene, stabiliamo chi stabilisce.
To be continued. Stay tuned.
Torna alla prima puntata: "Il Festival Jazz va con il Salone, ma a sua insaputa"
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