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IL CORO DEI LONGOBARDI. UNA PACATA RIFLESSIONE SULLO STATO DELLE COSE

Il politico guarda alle prossime elezioni,
lo statista alla prossima generazione (J.F. Clarke)
Statisti? Li abbiamo finiti, dottò! (Pino il pizzicagnolo)

Adesso che m'è sbollito un po' l'incazzo, posso tentare una riflessione più serena sul bilancio della giunta Appendino che prevede per il 2017 un taglio di 5,8 milioni ai fondi per la cultura; fondi che così precipitano all'insostenibile cifra di 15 milioni, poco più dell'uno per cento della spesa del Comune di Torino.  Ci andranno di mezzo anche enti che credevano di aver già toccato il fondo dell'abisso delle "sforbiciate". Tipo: lo Stabile scende ancora, da 3,5 a 2,5 milioni, alla faccia delle certezze sbandierate non più tardi di quattro mesi fa dal direttore Fonsatti; mentre il Regio fortunello perde altri 200 mila euro calando da 4 milioni a 3,8. E via segando: tolgono un milione e 200 mila al Museo del Cinema, un milione e ottocentomila ai Musei civici, 300 mila (cioé l'intero finanziamento) al Polo del 900. Attila non avrebbe saputo far peggio. Per non farsi mancare nulla, un taglio di due milioni e centomila viene inferto anche al Turismo, la cui dotazione rispetto al 2016 scende da 5,8 a 3,7 milioni. Genialata, in una città che sul turismo cominciava a costruire un discreto business. 
In compenso aumentano i soldi per strade, scuole e  verde pubblico: 37 milioni, di cui 12 per la manutenzione ordinaria.
Che cosa è successo? E che cosa succederà?
Non è successo niente. Si è soltanto certificato quanto già evidente: nell'ottica dell'amministrazione civica, strade, scuole e verde pubblico sono più importanti della cultura. Opinione peraltro condivisa dalla maggioranza degli amministrati: alcuni perché onestamente convinti che quella sia la giusta scala di valori; altri - secondo attendibili statistiche all'incirca la metà della popolazione - perché la cultura non è presente nella loro vita. Questi ultimi non frequentano teatri, cinema e concerti, né leggono libri. E stanno benissimo così. Molti ne vanno fieri. Invece s'incavolano come bufali cafri - e giustamente - se nello spartitraffico davanti a casa c'è l'erba alta, se le strade sono piene di buche, se all'asilo non trovano un posto per il bambino. E di questo si ricordano al momento di votare. 
Ma pure quella minoranza di amministrati che usufruisce dell'offerta culturale della città e ne è soddisfatta, s'incavola per l'erba alta, le buche e la penuria d'asili; e al momento di votare di questo si ricordano, e se ne sbattono dell'offerta culturale, che danno per scontata e dovuta.
Infine, i lavoratori del settore cultura, i più direttamente interessati: anche loro s'incavolano per erba alta, buche e asili; e spesso non sono neppure soddisfatti dell'offerta culturale, che a loro avviso non è mai sufficiente o ben calibrata, perché non corrisponde alla loro personale idea di offerta culturale sufficiente e ben calibrata: ogni singolo lavoratore del settore cultura considera sufficiente e ben calibrata soltanto un'offerta culturale che ponga al centro a sua propria visione, e possibilmente la sua propria attività, che è l'unica degna di rispetto mentre tutte le altre fanno schifo e/o sono delle truffe/puttanate/banalità. Per questo motivo i lavoratori del settore cultura non fanno lobby e il loro peso elettorale è inesistente. Il lavoratore del settore cultura non vota quasi mai per chi ha governato la cultura nell'amministrazione uscente. Vuoi che si senta ingiustamente danneggiato da quel politico, vuoi che ne sia stato beneficiato. Anche in questo secondo caso, infatti, il lavoratore del settore cultura per un vezzo tipico della categoria voterà il suo candidato di bandiera, convinto che a votare il suo benefattore ci penserà qualcun altro. Le trombature di tanti assessori alla Cultura sono lì a dimostrarlo storicamente.
Alla luce di quanto suesposto, tenuto conto dell'aforisma di James F. Clarke ("il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alla prossima generazione"), e considerato che qui gli statisti li abbiamo finiti da mo', fatevi una domanda e datevi una risposta: un amministratore pubblico, dovendo scegliere fra finanziare verde-parchi-scuole, oppure la cultura, che cosa finanzierà?
Se la cultura va a ramengo se ne accorgono quattro gatti, e pochissimi si lamentano. Ma provati a lasciare troppo a lungo una buca in mezzo alla strada, e si scatena l'inferno. E non importa se la prossima generazione sarà una generazione disastrata: la prossima generazione non vota alle prossime elezioni.
Questi concetti li avevo esposti già in epoca non sospetta, il 20 giugno scorso, all'indomani della vittoria di Chiara Appendino. Non era difficile prevedere che cosa sarebbe accaduto. E infatti è accaduto.
Eppure ciò lascia costernati e sorpresi molti lavoratori del settore cultura e molti fruitori dell'offerta culturali, i quali vagheggiavano l'inizio di una nuova e progressiva era per la cultura torinese. 
Per quale motivo costoro adesso si costernano e si sorprendono? Per approfondire la questione preferisco affidarmi a qualcuno molto più intelligente di me: quel tal Sandro, autor d'un romanzetto dove si parla di promessi sposi. 
Don Lisander Manzoni ricostruisce i recenti avvenimenti torinesi in un saggio poetico intitolato "Coro dei Longobardi", che vado immediatamente a citare e commentare. A qualcuno di voi non suonerà nuovo. Comincia così: 

Dagli atrj muscosi, dai fori cadenti
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.

In questa strofa l'Autore descrive un sentimento diffuso nella Torino agli inizi del 2016. Il sindaco in carica, Piero "Desiderio" Fassino, ha incentrato la sua politica di governo sulla cultura, con varie contraddizioni: ha lanciato nuovi festival a muzzo ma ne ha lasciati morire altri; ha sostenuto le grandi istituzioni ma ha dovuto ridurre i finanziamenti; ha creato una governance in genere efficiente ma a numero chiuso. Chi non è riuscito a ottenere la benedizione fassiniana è inacidito e frustrato da anni di sfiga: gli aspiranti addetti alla cultura senza reali prospettive gemono sotto il tallone del "sistema". Ma s'avverte in città un tramestìo che fa rizzare le orecchie al popolo degli esclusi: la franca Appendino vuole spodestare il longobardo Fassino. E il popolo degli esclusi si accende di grandi speranze:

Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce dei padri la fiera virtù;
Nei guardi, nei volti, confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d’un tempo che fu.
S’aduna voglioso, si sperde tremante;
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
Dei crudi signori la turba diffusa,
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ho già descritto l'atteggiamento dell'elettorato nei confronti della cultura. Ma mi ripeto a beneficio di chi ha saltato la prima parte. C'è chi si sente escluso dal "sistema" e spera in un rivolgimento che valorizzi le sue misconosciute capacità. Poi ci sono i fruitori di cultura, per loro stessa natura ipercritici: molti, in quell'inizio di 2016, sono insoddisfatti di Fassino e del suo partito. Ma la stragrande maggioranza della popolazione della cultura se ne strafotte: pensa ai suoi interessi senza domandarsi se Fassino abbia fatto bene o male in ambito culturale. Costoro non approfittano dell'offerta culturale della città: non perché gli sembra inaccessibile, ma semplicemente perché il sabato pomeriggio preferiscono andare alle Gru. E giudicano i sindaci in base alla quantità di buche per strada e di spacciatori all'angolo.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar:
E quivi, deposta l’usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo, frugando,
Da ritta da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d’ignoto contento,
Con l’agile speme precorre l’evento,
E sogna la fine del duro servir.

Alle elezioni gli esclusi che sperano in un capovolgimento dei loro destini votano in massa per Appendino, molti fruitori di cultura ipercritici votano contro Fassino, e il resto della popolazione vota in base ai propri bisogni e convinzioni fregandosene delle politiche culturali. I nuovi padroni prendono il potere. Con agile speme, gli esclusi fanno grandi sogni: sognano che la nuova amministrazione valorizzi i loro talenti e investa a piene mani sulla cultura "vera", che poi sarebbe quella che producono loro. Manzoni però la sa lunga:

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioje dei prandj festosi,
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.


In questa e in altre strofe che non trascrivo per non farla lunga, l'Autore descrive i disagi che affronta chi si lancia alla conquista del potere. Infine, il Manzoni scopre le sue carte:

E il premio sperato, promesso a quei forti
Sarebbe o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.



Eh sì, questa è l'amara lezione del Manzoni: davvero pensavate, illusi lavoratori della cultura, che i nuovi padroni si sbattessero tanto per la vostra bella faccia? Per togliervi le pezze dal culo? Col rischio di perdere il cadreghino al prossimo giro? Il potere, belli miei, non cambia le sue logiche. Però impara dagli errori del potere che l'ha preceduto. Questi di adesso hanno capito ciò che non aveva capito Fassino: il consenso vero, quello che ti garantisce la maggioranza nelle urne, oggi non te lo guadagni con le stagioni d'opera, bensì togliendo le buche dalle strade. E quindi, se i soldi scarseggiano e devi scegliere tra finanziare la cultura o finanziare la manutenzione delle strade, che cosa fai? Il culturame può attendere. E nel caso morire. Al limite distribuiranno qualche migliaio di euro con bandi pulciosetti, giusto per garantire la sopravvivenza ai più bisognosi. A questo punto resta ancora un nodo da sciogliere: quello del "sistema". Tanti esclusi si aspettavano che il nuovo potere facesse carne di porco delle vecchie governance e largisse agli esclusi di un tempo i riconoscimenti e i benefici che quello antico aveva negato. Ma non funziona così, ci avverte il Manzoni. Cane non morde cane, il potere ha dinamiche interne dalle quali gli esclusi resteranno esclusi. Perché divisi, chiusi nei loro egoismi autoreferenziali. Senza strategie, senza orgoglio. Senza pubblico. O banalmente senza talento.

Il forte si mesce col vinto nemico;
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.

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