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LA POLITICA E IL SALONE: UNA LETTERA SULLA VITTORIA

Le sconfitte sono orfane; le vittorie hanno legioni di madri e padri. E adesso che si viaggia verso le centomila presenze la corsa è a intestarsi maternità e paternità della vittoria del Salone del Libro.
La pole position è occupata dai politici. Alcuni, quelli torinesi, meriti ne hanno davvero, perché una volta hanno fatto squadra: Chiamparino e Parigi da una parte, il sindaco e Appendino dall'altra, sono riusciti a difendere la città senza scannarsi fra di loro - almeno in pubblico.
Insieme hanno respinto i tentativi milanesi e romani di umiliare e annichilire il Salone costringendolo a un abbraccio mortifero con la proterva e scombiccherata avventura della banda Mondazzoli-Gems.
Il Chiampa ci ha messo il suo peso e la sua esperienza politica, nonché una bella paccata di soldi: un milione e duecentomila euro fra contributo (600 mila), buono-libro per gli studenti (200 mila), plateatico dello stand regionale (120 mila), attività varie, tipo il concerto di Patti Smith (40 mila) e finanziamenti vari per single iniziative, dallo stand dei piccoli editori a Nati per Leggere, da Lingua Madre all'Ibf. E adesso la Regione tenterà di ricapitalizzare la Fondazione per il Libro versandoci dentro un'altra milionata e mezza di euro. Se li trova.
Al sindaco e Appendino va reso onore soprattutto per aver ottenuto dalla Gl Events, nel giro di un pomeriggio, il taglio del canone d'affitto del Lingotto da un milione e duecentomila a seicentomila euro. Altro loro titolo di merito è aver scovato in Giuseppe Ferrari un segretario generale della Fondazione che ha lavorato come meglio non si poteva sperare. Poi - la conoscete, no? - Chiarabella è una filona matricolata: in questi giorni visita ad uno ad uno gli stand, per salutare e ringraziare tutti gli espositori. Mi riferisce la sua corte che ha una piantina del Salone dove si segna via via gli stand già visitati.
Ma, soprattutto, la politica locale merita un plauso perché ha azzeccato le nomine, senza bandi farlocchi e senza scene da mercato del pesce: oltre a Ferrari, anche Mario Montalcini, Nicola Lagioia e Massimo Bray si sono dimostrati all'altezza della mission impossible, e l'hanno resa possibile. Chapeau a loro e alla loro squadra, e chapeau a chi li ha scelti.
Pessima invece la politica romana. Il comportamento di Franceschini nell'intera vicenda è a dir poco inqualificabile. Ondivago e ambiguo fin dall'inizio. Non mi va neppure di parlarne. Selezionate l'etichetta "Dario Franceschini" e leggetevi i post di un anno vissuto pericolosamente. Scommetto che anche nei prossimi giorni e mesi Francis continuerà a scassarci il cazzo con la fanfeluca della "collaborazione" pelosa con Milano.
Adesso, però, più che le prossime e certamente inconsulte mosse dei milanesi, mi preoccupa la gestione del successo da parte dei nostri zuavi. Mi pare di aver capito che un piano (sensato?) lo hanno: il rischio è che, superata l'emergenza, ciascuno vada per la sua strada, inseguendo i suoi piccoli commerci bottegai. A cominciare dalla distribuzione degli strapuntini agli amichetti della parrocchietta. Mi risulta già almeno un tentativo ad opera, oltretutto, di quelli che certe cose per principio non le fanno. L'operazione è stata elegantemente stoppata dalla Fondazione per il Libro, che oggi è persino in grado di dire qualche educato "no" a lorsignori. Ma il futuro si profila periglioso. Mi sa che nei prossimi mesi andremo a ridere.

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