Luca Poma, storico sostenitore del Tglff |
Ieri ho riportato in un post la conversazione a mezzo Facebook tra Irene Dionisio e Luca Poma a proposito di Lovers: il dialogo riguardava principalmente la questione delle presenze al Festival. In effetti l'impressione è che il pubblico sia meno numeroso rispetto al passato, benché dal Festival arrivino affermazioni rassicuranti. Ieri pomeriggio, domenica 18, ho dato un'occhiata di persona al Massimo: per il doc delle 16 in Sala 1 eravamo in 22, alla proiezione delle 17,45 una settantina. Ho sbirciato pure in Sala 2 e 3, durante le proiezioni delle 18: rispettivamente 35 e 15 spettatori. In serata, però, mi dicono che le cose sono andate meglio. Di certo metà giugno non è il periodo ideale per convincere la gente a chiudersi in un cinema, ma io spero che il bilancio finale sia soddisfacente. E che venga comunicato presto e correttamente (non come è successo con Narrazioni Jazz, tanto per capirsi...).
Ad ogni modo: il tema delle presenze è assai limitativo, e sul Festival si impongono ragionamenti più ponderati e a largo raggio. In questi giorni sui social se ne discute molto: a mo' d'esempio vi linko il post di uno storico collaboratore del Tff, Luca Andreotti (Aggiornamento: mi scuso con i lettori, ma da oggi, 22 giugno 2017, il link al post di Luca Andreotti non è più attivo. Il post è scomparso dalla bacheca di Andreotti che è, lo ricordo a titolo di cronaca, dipendente del Museo del Cinema).
E quindi sono contento - giornalisticamente parlando - perché stamattina Luca Poma ha ritenuto di inviarmi una lunga lettera in cui affronta con grande passione e spunti interessanti le varie questioni che riguardano il presente e il futuro del Festival. E' per me un dovere, oltre che un piacere, pubblicarla integralmente.
E quindi sono contento - giornalisticamente parlando - perché stamattina Luca Poma ha ritenuto di inviarmi una lunga lettera in cui affronta con grande passione e spunti interessanti le varie questioni che riguardano il presente e il futuro del Festival. E' per me un dovere, oltre che un piacere, pubblicarla integralmente.
Anche la direttrice di Lovers Irene Dionisio l'altro giorno mi ha detto che, finito il Festival, mi scriverà. E per me sarà un dovere e un piacere dare spazio anche a lei.
Aggiungo che mi piace e mi consola vedere tanta passione intorno a un festival come Lovers. L'encefalogramma di questa città non è ancora piatto.
Ma adesso bando alle ciance: mi faccio da parte e cedo la parola al mio ospite.
Ma adesso bando alle ciance: mi faccio da parte e cedo la parola al mio ospite.
La lettera di Luca Poma
Caro Gabriele,
ti dico simpaticamente che, se avessi saputo che avresti ricavato un articolo sul Festival dalla discussione tra me e Irene Dionisio, sarei stato (forse) meno
“informale” nei miei post di commento su Facebook… ma ben venga
comunque, so che sei “indomabile” e sai che ti stimo anche e
soprattutto per questo.
I numeri contano? Pensandoci bene, sì e no:
nel senso che – come tu giustamente sottendevi nel tuo articolo -
ci sono manifestazioni straordinarie che sono destinate a un pubblico
ristretto, e manifestazioni che fanno oceani e che non valgono nulla.
Diciamo però che i numeri sono un termometro importante: io mi
occupo di comunicazione, e non di organizzazione di eventi culturali,
ma sfido chiunque a smentire il fatto che una proposta culturale
vince e fa davvero l’en plein quando riesce nell’intento di
coinvolgere buone masse di pubblico mantenendo un ottimo profilo
qualitativo (vedasi Mostra del Cinema di Venezia, profilo
altissimo ma sale sempre piene).
Così era il Tglff in passato: che
bello vedere quelle code oceaniche fuori, e poi film di indubbia
qualità in sala… Quest’anno? Secondo me (e non solo secondo me,
questo si dice spesso all’uscita delle proiezioni) troppo poco
“pop”, come ho detto: che errore sarebbe richiudere il festival
in se stesso, riservandolo solo “al pubblico che ne sa e ne
capisce…”. Perché questo non è un Festival qualunque: ha anche
una missione “politica” in senso alto, fin dalle origini, e non
basta proiettare “bei film” (cinematograficamente parlando) ma
bisogna portare tanta gente a vederli, specialmente nuove
generazioni, per far apprezzare quanto sia normale essere “diversi”…
Quindi è in gioco una “visione” del Festival che va al di
là dei numeri più alti o più bassi di questa o quell’altra
edizione; se fa questo ragionamento, il Festival, appunto, vince.
Quest’anno lo sta facendo meno che in passato, anche a causa del
caldo asfissiante e della sciagurata scelta del Comune di farlo nel
weekend del Pride, il bel Pride Torinese che però ha fatto perdere
al Festival una giornata di afflusso nelle sale, preziosa anche per
staccare biglietti e rifarsi dei costi pareggiando i conti,
magistralmente tenuti dall’inossidabile e preziosissimo Piero
Valetto.
Quindi sì, i numeri contano, ma il “tema” non sono solo
i numeri.
C’è quel sapore amaro di un’istituzione comunale che ha fatto passare il messaggio “noi abbiamo il nostro progetto” (che si può leggere anche come “ora il Festival è cosa nostra”, e prova ne sia che questa Amministrazione comunale - tanto attenta ai bandi e alla meritocrazia (beh, attenta a corrente alternata, direi... NdG) - Canino non lo ha non dico convocato, ma neppure interpellato, anche solo telefonicamente); di un’istituzione regionale che – nonostante sia stata a più riprese sollecitata, non ha ritenuto di scendere in campo per difendere un format obiettivamente di successo (leggasi: “abbiamo cose più importanti sulle quali dialogare/scontrarci con il Comune, per il Festival gay non val la pena”), e degli stessi giovani Glbt del Movimento 5 Stelle, sollecitati tramite l’attivista M5S Sergio Parrinello, che non hanno ritenuto di fare quadrato per richiedere a gran voce di “discutere apertamente” di quale tipo di futuro garantire al Festival (e facile scontrarsi con chi comanda se si è all’opposizione, è difficile trovare gli attributi per farlo quando chi comanda è del tuo stesso partito politico…).
C’è quel sapore amaro di un’istituzione comunale che ha fatto passare il messaggio “noi abbiamo il nostro progetto” (che si può leggere anche come “ora il Festival è cosa nostra”, e prova ne sia che questa Amministrazione comunale - tanto attenta ai bandi e alla meritocrazia (beh, attenta a corrente alternata, direi... NdG) - Canino non lo ha non dico convocato, ma neppure interpellato, anche solo telefonicamente); di un’istituzione regionale che – nonostante sia stata a più riprese sollecitata, non ha ritenuto di scendere in campo per difendere un format obiettivamente di successo (leggasi: “abbiamo cose più importanti sulle quali dialogare/scontrarci con il Comune, per il Festival gay non val la pena”), e degli stessi giovani Glbt del Movimento 5 Stelle, sollecitati tramite l’attivista M5S Sergio Parrinello, che non hanno ritenuto di fare quadrato per richiedere a gran voce di “discutere apertamente” di quale tipo di futuro garantire al Festival (e facile scontrarsi con chi comanda se si è all’opposizione, è difficile trovare gli attributi per farlo quando chi comanda è del tuo stesso partito politico…).
Poi c’è
il tema di vecchi collaboratori come Alessandro Golinelli, fatto
fuori dopo anni e anni di appassionata dedizione al progetto del
Festival, o altri come Angelo Acerbi, recuperati in extremis e forse
non pazzescamente motivati, con il risultato – in nome di un
malinteso senso di rinnovamento, che pure era necessario - di aver
incrinato un gruppo storico che da sempre era vincente.
Giovanni Minerba, da direttore a presidente |
Inoltre c’è
il tema del presidente Giovanni Minerba, che una proposta forse
“artigianale” che tu stesso hai richiamato (quella che prevedevaFabio Canino come direttore artistico) avrebbe voluto presidente a
vita, unico modo per garantire veramente il salvataggio della memoria
storica del Festival e per dare riconoscimento a un percorso
impegnativo di oltre un trentennio, e che il Comune di Torino ha
invece mantenuto in gioco con un contratto di soli 2 anni (della
serie “poi vedremo se ci saranno soldi”… il che a casa mia vuol
dire “tra 2 anni gli diamo il benservito”…).
Ancora, c’è il
tema dei finanziamenti pubblici in proporzione eccessiva versus
cronica carenza di sponsor: non fa chic finanziare i gay, pensano in
molte aziende, in Italia, salvo poi – come Fca/Fiat - mandare in
giro nei Pride in Spagna e Olanda 500 pittate di rosa glitter (Dal bilancio consuntivo 2016 del Museo del Cinema risulta che Cinema Gay ha raggranellato appena 18.246 euro di sponsorizzazioni, contro i 262.322 del Tff e i 165.086 di CinemAmbiente, NdG).
Poi c’è il tema – apertissimo - della “sensibilità politica”,
perché è vero è che un eterosessuale può ben avere un ruolo
centrale in un festival gay - ci mancherebbe il razzismo al
contrario! - ma c’è da chiedersi - al di là del personale
orientamento sessuale, che è de tutto ininfluente - qual è la storia di questi eterosessuali nel movimento Glbt, perché il
rischio è di perdere le motivazioni vere di “resistenza culturale”
che questo Festival l’hanno animato e delle quali un etero (o
meglio: un etero mai prima d’ora impegnato nel movimento Glbt) è
ovviamente privo.
Vedi quanti temi importanti ci
sarebbero stati (e ci sarebbero) da discutere, per il Festival del
futuro, oltre ai numeri…? Tutti temi che poi – se ben affrontati
e risolti - alla fin fine forse i numeri (le presenze in sala)
contribuiscono anche a farli…
Concludo: sarebbe
stato meglio lo scenario con Canino direttore e Minerba presidente a
vita? Diciamo che quello scenario, faticosamente “cucito”,
avrebbe avuto dei vantaggi, stante le relazioni nazionali e non solo
che Canino avrebbe potuto mettere in campo: ma tutto si è infranto
malamente, stante la forte e inspiegabile accellerazione data dalla
Giunta comunale con la vergognosa e ridicola “cacciata” dal ruolo di direttore del Museo del Cinema - dal quale anche il Festival dipende - di Alberto Barbera (ma era davvero quello il primo problema da risolvere appena entrati in carica…? Mah…). Barbera: uomo dal curriculum straordinario e professionista serissimo, colpevole – come Canino, come Alessandro Bianchi, etc. – del gravissimo reato di avere una “sensibilità progressista” (avesse avuto materialmente la tessera del Pd, non oso pensare… sangue in piazza, immagino…). Accelerazione che ha comportato – a causa dell’insofferenza provincialotta del Comune anche solo a discutere una proposta di rinnovamento del Festival nata dal basso, da collaboratori e sostenitori (con l’aggravante del “…cosa vuole questo Fabio Canino che viene da Roma…?) – lungaggini infinite per trovare un nuovo direttore del Festival. La direttrice di Lovers è la regista Irene Dionisio |
Ora un direttore c’è,
in prima linea, ed è Irene Dionisio. Che ci sta mettendo passione,
fatica, impegno… che ha teso delle (nuove e importanti) relazioni
sul territorio, che – foss’anche solo per il limite anagrafico,
non avendo 25 anni di professione alle spalle – non può contare
sulle relazioni di Fabio Canino ma comunque ha credibilità (non
poca, affatto, per l’età che ha) e ce la sta mettendo tutta.
Il
Festival sarebbe potuto essere migliore, quest’anno? Forse sì, se ad esempio chi doveva decidere non avesse perso 8 mesi, ignorando la
voce disperata degli “affezionati” del Festival come il
sottoscritto che - pur non contando nulla - dicevano “non c’è
tempo, non c’è tempo…”. E che doveva fare, questa Irene, i
miracoli….? Forse ne ha già fatti abbastanza, con soli 3
mesi di tempo per costruire una proposta…
Speriamo allora che
questa edizione si concluda nel miglior modo possibile, e che la
prossima edizione riesca a fare un miglior “tuning”, equilibrando in modo più efficace l’aspetto “pop” e il lato intellettuale,
e “includendo” molto ma molto di più la comunità Glbt (che –
è opportuno ricordarlo – non si riduce alla sola Arci Gay),
ascoltando idee e proposte, e poi facendo una sintesi efficace.
Perché – care Autorità – questo, casomai non l’aveste capito,
non un Festival “vostro”: è il Festival di tutti.
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