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SALONE DEL LIBRO: LA RICETTA DELLO SPEZZATINO

Ieri sono andato, come un sacco di torinesi, a Portici di Carta. E ho incontrato Mario Montalcini, il vicepresidente vicario della Fondazione per il Libro. L'ho incontrato ai giardini Sambuy. Ho pensato fosse lì per l'inaugurazione degli incontri letterari al gazebo. In realtà, Mario era lì perché portava a spasso il cane. Il cane è in realtà una cagnolina molto simpatica che si chiama Molly. Ho domandato a Mario se avrebbe poi partecipato a qualche appuntamento di Portici di Carta. Portici di Carta è organizzato dal Salone del Libro, cioé dalla Fondazione per il Libro, quindi la domanda mi sembrava tanto pertinente da sfiorare la banalità.
Mario mi ha risposto che aveva altri programmi. Io gli ho presentato il mio amico ottimo Rocco, che mi accompagnava nella passeggiata a Portici di Carta, e abbiamo scambiato due parole sul tempo. In effetti oggi era una giornata di sole glorioso. Poi Mario se n'è andato con Molly, e io ho ripreso la passeggiata letteraria con Rocco. 

La notizia di giornata: Montalcini porta a spasso il cane

Andare a passeggio con Rocco implica diverse soste per i selfies. Così, di selfie in selfie e di sosta in sosta, io ho potuto seguire il filo dei miei pensieri.
Mi sono convinto che, se avessi scritto qualcosa su Portici di Carta, la notizia era quella: Mario Montalcini nel primo giorno di Portici di Carta anziché andare all'inaugurazione con gli assessori e il presidente Bray, ha portato a spasso Molly. Posso capire che uno non smanii per partecipare a cerimonie pallose e a dibattiti letterari; però ciò è stravagante se l'interessato è il vicepresidente vicario dell'ente organizzatori delle cerimonie e dei dibattiti. E Montalcini ha sempre avuti ben chiari i doveri del suo ruolo. Sicché mi è nato il sospetto che Mario Montalcini avesse qualche buon motivo per non esserci. Ma quale motivo? Per capirlo ho messo insieme i dati di fatto a mia conoscenza.
Dunque: per la Fondazione per il Libro si profila un futuro difficile, il 19 ottobre l'Assemblea dei Soci prenderà atto del piano industriale e del nuovo valore del marchio e potrebbe arrivare (anzi, arriverà) a decisioni pesanti. La Fondazione potrebbe essere smembrata. Sciolta, liquidata. L'incarico di organizzare il Salone verrebbe affidato ad altri. 
Mario Montalcini di professione è un commercialista, esperto in amministrazione aziendale e in procedure di fallimento e liquidazione. Ciò suscitò facili ironie e cupe illazioni un anno fa, quando il Salone, preso di sprovvista dalla scisma milanese, era sull'orlo del baratro; e Montalcini fu chiamato dalla politica a reggere la presidenza pro-tempore mentre Bray sfogliava la margherita.
Quella volta andò bene, non ci fu nessuna liquidazione, Montalcini si rivelò una scelta azzeccata e con lui il Salone ritrovò lo slancio che l'avrebbe condotto alla splendida edizione del trentennale.
Però Mario Montalcini resta un commercialista specializzato in fallimenti e liquidazioni. E oggi, quando mi sono stupito per la sua assenza a Portici di Carta, mi ha detto che il suo mestiere non è apparire, lui deve fare la sua parte e la farà. Una frase in apparenza banale. Però aveva l'aria di chi preferisce portare a spasso il cane.
Io conosco abbastanza Mario Montalcini e lo considero una persona per bene. Le persone per bene, se il dovere le costringe a fare qualcosa di molto doloroso al prossimo, non ne sono felici: quindi evitano l'ipocrisia di fingere, e rifuggono alle occasioni che imporrebbero una maschera.

Lo spezzatino della Fondazione per il Libro

Così, di selfie in selfie, mi sono convinto che il piano per il dopo-Fondazione è già ben chiaro nelle "menti" della politica. Si chiama spezzatino. E Montalcini dovrebbe ricorrere alle sue competenze professionali.
Vi do la ricetta dello spezzatino come me la sono ricostruita. Intanto la Fondazione scompare: non so come, la via più logica è metterla in liquidazione, però non è una faccenda che risolvi in quattro e quattr'otto, una liquidazione può richiedere anni. Ma sono sicuro che troveranno il modo. 
Fatta fuori la Fondazione per il Libro, i suoi compiti - e pure il personale - vengono spartiti fra Fondazione Cultura (come volevasi dimostrare...) e Circolo dei Lettori.

La spartizione: cosa farà il Circolo, cosa la Fondazione Cultura

Logica vuole che la Fondazione Cultura si occupi della parte organizzativa e commerciale: in fondo, è quello che già accade con i vari festival municipali. La Fondazione Cultura ha la struttura giuridica, e il know how, per indire gare d'appalto, stipulare contratti, pagare cachet, reperire sponsor. Almeno, questo mi pare faccia. Ho il sospetto che invece non sia fortissima sui contenuti: è vero che ha allestito, ad esempio, il cartellone di Estate Reale; ma onestamente non mi pare una formidabile credenziale; e c'è ancora una differenza fra ingaggiare qualche cantante e ballerino, e tenere i contatti con il mondo editoriale italiano e straniero. Ci vuole, come dire?, una certa familiarità con la materia. 
Per cui, sempre seguendo la logica, sarà il Circolo dei Lettori a incaricarsi dei contenuti, delle scelte culturali, della progettazione del palinsesto. Almeno al Circolo sanno di che cosa si sta parlando. Ho detto e ripeto che c'è una differenza abissale fra il lavoro del Circolo e quello del Salone. Però giocano lo stesso gioco, benché su campi differenti; e in ogni caso al Circolo finirebbero i dipendenti della Fondazione che finora si sono occupati del palinsesto - bene, direi.

Ipotesi stravagante: l'inversione dei ruoli

Però a Torino la logica non sempre prevale. Sono quindi disposto a prendere come ipotesi anche l'inversione dei ruoli, con il Circolo che si occupa di scartoffie e la Fondazione Cultura che sceglie i contenuti. Lo so che è un'eventualità che va oltre l'assurdo, ma per gli autentici retroscenisti estremi è un'eventualità appassionante: poiché il Circolo è solo della Regione, mentre la Fondazione Cultura è solo del Comune, sarebbe il Comune a decidere i contenuti - e quindi, volendo, la "linea" - del Salone. La segretaria generale della Fondazione Cultura, Angela Larotella, dopo essere arrivata a un passo dal patibolo oggi è in totale corrispondenza d'amorosi intenti con Chiarabella: sarebbe un idillio.
A ruoli invertiti, credo che la Regione avrebbe minore influenza, per il semplice motivo che il Circolo ha già una sua linea editoriale, e una dirigenza in grado di gestirla in proprio. 
Ho provato a sottoporre la strampalata ipotesi a un'amica mia in Regione: non mi ha risposto con una risata e neppure con una smentita, si è limitata a dire "alla fine ci metteremo d'accordo, come sempre". E io mi sono convinto che l'idea è meno strampalata di quanto sembri a me che sono un'anima semplice.

Un marchio a prezzo di saldo: pregusto l'affarone 

Ma di selfie in selfie le mie povere cellulette grige continuavano a lavorare. E mi sono sorti dei dubbi.
Il primo riguarda la nuova valutazione del marchio del Salone. Ora, sapete bene che io per primo non credevo alla stima del 2014, quella di 1.383.000 euro residui al netto degli ammortamenti (la perizia, nel 2009, aveva fissato il valore a un milione ottocentomila). Mi sembrava una cifra esagerata, anche per quei tempi di Salone trionfante e non ancora sfiorato dagli scandali. Ma adesso è saltato fuori che adesso il marchio varrebbe poco più di centomila euro, massimo trecento tenendo conto della buona performance di quest'anno. 
Io faccio fatica a capire. Bisognerà vedere le carte, certo. Però mi ricordo che il marchio del Premio Grinzane Cavour - se capite di che cosa sto parlando - fu venduto senza problemi per 350 mila euro. Io non sono un commercialista o un esperto di rating o di alta finanza, ma mi sembra che le condizioni attuali del Salone del Libro non siano neppure lontanamente paragonabili a quelle in cui versava il Premio Grinzane. 
Ad ogni modo: se davvero decidono che il marchio del Salone vale centomila euro, io chiedo un mutuo e me lo compero e il giorno dopo lo rivendo ai milanesi a seicentomila, che mi pare un prezzo equo. Ho giusto bisogno di tirar su in fretta mezzo milione di euro per le piccole spese.

Chi ha commissionato la perizia del 2009?

Ciò che mi colpisce, in questa vicenda, è la narrazione che se ne fa, e che passa senza verifiche. Ad esempio: tutti - me compreso - hanno sempre scritto che la stima del marchio venne "commissionata da Picchioni" nel 2009 e gonfiata "per sanare il bilancio". Circostanza che Picchioni ha sempre negato. Sulla vicenda c'è un'inchiesta della magistratura, e quindi le sentenze le lascio ai giudici. Fonti credibili e terze mi ricordano però che non fu Picchioni, bensì la Camera di Commercio a commissionare la perizia nel 2009. La questione va quindi approfondita. Dubito però che Picchioni, pur nei giorni del suo massimo splendore, avesse la forza per indurre un advisor che lavorava non per lui, bensì per la Camera di Commercio, a taroccare una perizia.

Ma quanti sono i cattivoni?

Più in generale: la narrazione della leggenda nera descrive Picchioni come un satrapo folle e onnipotente che in perfetta solitudine ha portato il Salone allo sprofondo per folle megalomania. La fonte primaria di questa narrazione è la politica. La stessa politica che ha più volte confermato l'incarico a Picchioni, che interloquiva e ne combinava più di Bertoldo in Francia, che vedeva i bilanci di Picchioni e dettava le regole a Picchioni, in primis il dogma che "dal Lingotto non si esce".
Io tifo per i giudici, e non ho particolare simpatia né per Picchioni, né per i politici. Quindi non credo a scatola chiusa a Picchioni. Ma neppure ai politici. Soprattutto quando mi raccontano storie che puzzano d'ipocrisia, se non peggio: storie che sono la specialità di Torino più dei giandujotti, come insegna la vicenda di Soria. Quella del Picchioni Cattivone Unico andate a raccontarla ai vostri pargoletti; ma che siano piccini piccini, sennò anche loro vi mandano a cagare.

Liquidazione: i debitori della Fondazione possono pagare?

Secondo problema. La Fondazione dev'essere liquidata? Benissimo. Ma qualsiasi liquidatore, come prima mossa, provvede a esigere i crediti e pagare i debiti. Ora, è vero che la Fondazione è carica di debiti verso i fornitori: la cifra precisa non la so per certo, ma potrebbe arrivare ai due milioni. 
Però la Fondazione ha anche ingenti crediti: soprattutto soldi che il Comune e la Regione sono tenuti a versare, come contributi o a pagamento di specifiche iniziative commissionate al Salone. Soldi che la Fondazione aspetta da tempo, anche da anni. Un liquidatore andrebbe subito a esigere quei crediti. Comune e Regione hanno quei soldi in cassa? Se li hanno, perché non li hanno versati, risolvendo così la crisi di liquidità della Fondazione? E se non li hanno, come pensano di recuperarli per soddisfare le richieste del liquidatore? 
Io non sono un esperto, e loro sì: però in ultima analisi il conto lo pago io, e pertanto gradirei che mi spiegassero, in termini comprensibili e a stretto giro di posta, come stanno esattamente le cose. Anzi, mi auguro che me le spieghi un magistrato: senza offesa, ma mi fido di più.

Piatto ricco per i milanesi

Ultima perplessità: questa vicenda fa il gioco dei milanesi, che dopo il flop dell'anno scorso si sono ricompattati. Curioso: Il Salone ha vinto, e Torino s'è subito impegnato a lavorare per la sconfitta. Tempo di Libri ha perso, e Milano sta lavorando per vincere: l'Aie ha mandato a casa l'inane Motta e si è presa come presidente l'astuto Ricardo Franco Levi; ha scelto un direttore vero, Andrea Kerbaker, stimatissimo uomo di cultura; ha anticipato di due mesi la data della seconda edizione; ha abbandonato l'insostenibile location di Rho per andare al Portello. Inoltre ha continuato la campagna acquisti in area torinese. Il nuovo ufficio stampa di Tempo di Libri è Ex Libris di Carmen Novella, che lavorò per il Salone di Guido Accornero e che di recente ha curato la comunicazione del Circolo dei Lettori. Inoltre tra i responsabili dei rapporti con gli editori troviamo due ex collaboratrici del Salone, Pamela Tarantino e Emanuela Riccio: quest'ultima è la moglie di Michele Coppola, l'ex assessore alla Cultura della Regione che adesso cura i beni culturali di Intesa Sanpaolo e rappresenta l'istituto bancario milanese nell'Assemblea dei Soci della Fondazione per il Libro di Torino. Intesa Sanpaolo dopo l'uscita del MiBACT è infatti rimasta il terzo socio superstite della Fondazione, insieme con la Regione Piemonte e il Comune di Torino.

Commenti

  1. Ho letto con estrema attenzione e con grande interesse il suo post di oggi, soprattutto dopo aver visto su giornali torinesi ipotesi veramente "strampalate"sulla valutazione del marchio e sulla " paternità" assoluta di tale valutazione.
    Sul fatto che oggi il marchio abbia una diversa valutazione, dopo una miriade di situazioni avverse non ci sono dubbi e non occorre essere esperti per comprenderlo.
    Che la politica torinese ( o il sistema Torino?) fosse pesantemente responsabile di molti guai del Salone non avevo dubbi come ebbi già modo di esprimere in un commento su un suo post. Evidentemente le parole del Direttore Ernesto Ferrero: " Fummo costretti ad un contratto capestro" non furono mai prese in seria considerazione. Eppure le vicende successive, con il dimezzamento "dell'affitto", avrebbero meritato un diverso approfondimento. Ma , una volta trovato il capro espiatorio...è più facile proseguire sulla solita via.
    Concordo quasi totalmente con quanto ha scritto. Quasi...perché, personalmente, non ripongo tutta questa grande fiducia nella Magistratura. Infatti non riesco a spiegarmi come mai per uno stesso presunto reato ( calunnia), commesso secondo l'accusa nei confronti di uno stesso individuo, una persona sia stata, e per ben due volte, assolta e un'altra ( seppure in primo grado) condannata.
    Del resto, anche i Magistrati sono persone e, come tutti, non posseggono il dogma dell'infallibilità. Nonostante questo mio pessimismo, spero che venga fatta chiarezza.
    Desidero esprimere un ultimo pensiero: credo che il Salone del Libro si stia trasformando in "qualcos'altro",forse migliore e più adatto ai tempi, ma sicuramente in qualcosa di diverso.

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