Giovanni Quaglia è presidente della Fondazione Crt dal febbraio 2017 |
Quaglia ha spiegato di averne già parlato con il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino e con la sindaca Chiara Appendino, ma che per ora non c'è nulla di definito, nè incontri in programma. Circa il futuro presidente, che verrà individuato con il bando regionale in corso, Quaglia auspica sia "un manager di comprovate capacità". "Il Salone è un evento complesso - dice Quaglia - che ha bisogno di un vero manager, e al contempo di una persona di grande cultura. Se si trova una figura che abbia entrambe queste capacità bene, altrimenti si potrebbe anche pensare a due persone che lavorino fianco a fianco".
Quaglia non usa le parole a caso: e tutto il suo intervento contiene un sottotesto molto esplicito, pur nella felpatezza della forma.
Lo vado ripetendo ormai da tempo. La politica pianta soltanto casini, e le fondazioni bancarie ci mettono i soldi per rimediare: ma alla fine si sono rotte le scatole e vogliono guidare loro, visto e considerato che adesso al volante c'è Paperoga.
Detto in termini più diplomatici, le fondazioni bancarie - in maniera più convinta e scoperta, direi, Fondazione Crt - puntano ad andare oltre il riduttivo ruolo di "bancomat" che negli anni gli ha attribuito la politica, per incidere di più e assumersi maggiori responsabilità. Questa linea d'intervento è sempre più evidente: all'inizio di quest'anno l'ho descritta in un articolo sul Corriere, ma vi suggerisco anche di sfogliare almeno le pagine conclusive di un libro, "La forza della società", che Quaglia ha pubblicato proprio un paio di mesi fa. Non casualmente, credo.
Già in occasione dell'ultimo, ennesimo intervento "miracoloso" per tappare il buco del Regio, il presidente di Fondazione Crt era stato più che esplicito: “Vogliamo essere chiamati non ex post, ma ex ante, quando si costruisce un percorso e si definisce un budget. In generale, è importante che le realtà culturali siano gestite come imprese, con iniziative compatibili con il proprio budget”. L'impegno per riacquisire il marchio del Salone del Libro non sarà quindi incondizionato, né a fondo perduto. A occhio direi che le fondazioni non intendano sostituirsi alla politica nel governo del Salone, ma di sicuro pretenderanno di esercitare un ruolo più incisivo di garanzia e supporto: per spiegare come lo immagino io, quel ruolo, userei la metafora della vigilatrice d'infanzia in un asilo di bambini problematici.
D'altronde, come scrivevo ancora l'altro giorno, stiamo affrontanto soltanto l'ultima di una interminabile sequela di crisi del Salone, riconducibili tutte in una maniera o nell'altra ai maneggi, alla dabbenaggine, alla voracità o alla faciloneria della politica: il che dimostra - semmai ancora non si fosse capito - che gli enti locali, da soli, non sono in grado di gestire un meccanismo tanto complesso e delicato. E l'impegno delle fondazioni bancarie potrebbe rappresentare una ragionevole alternativa all'intervento nel Salone di un "privato puro".
Di sicuro l'impresa non sarà facile: già adesso, prima ancora di aver trovato un presidente per Circolo e Salone, firmato un contratto al direttore, garantito i dipendenti, riconquistato il marchio e pagati i creditori, i nostri statisti si baloccano su ipotesi di governance futura del Salone, coniando formule vieppiù suggestive - "Comitato scientifico", "Cabina di regia", manca soltanto il Club delle Giovani Marmotte ma prima o poi qualcuno lo tira fuori - che gli assicurino l'orticello, la parte in commedia e il diritto di ficcare il peperone e arrecare danni anche al Salone che (forse, speriamo, può darsi) verrà.
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