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ROBERTO VECCHIONI, IL CONCERTO E L'ALBUM

Stasera al teatro Colosseo c'è Roberto Vecchioni. Io ci vado. E ho provato a spiegare perché in un articolo che è uscito domenica sulla Stampa. Lo ripubblico qui, con un  titolo mio e un paio di foto che ho tirato fuori dal file dei ricordi.

Noi non apparteniamo più



La copertina di "Io non appartengo più"
L’altra sera Roberto Vecchioni mi ha chiamato per invitarmi al concerto di martedì al Colosseo. Con Roberto ci conosciamo da tanti (troppi…) anni, posso dire che siamo amici, ma non ricordo che sia mai successo prima. Che mi chiamasse per invitarmi al concerto, voglio dire.In fondo, sa benissimo che, se sono in città, ci vado. Così ho capito quanto Roberto creda in “Io non appartengo più”, l’album appena uscito, e il tour che il 26 lo porta a Torino. Ci crede, ne è convinto ed entusiasta, al punto di telefonare a un amico per dirgli “mi raccomando, vieni, non perderti il concerto, ne vale la pena”. Roberto è un entusiasta, innamorato della vita e del suo lavoro: però è anche uno che sa prendere le distanze, sa valutarsi. E dunque passo il consiglio a chi legge. Non perdetevi il concerto. Comincia alle 21, organizza Metropolis, i biglietti costano da 29,60 a 50 euro, la band è quella storica, con il mitico Lucio “Violino” Fabbri.
Con Roberto a Vinchio nel 2005. Nonostante le apparenze, sono io che sto premiandolo con l'inutile targa, non il contrario

L’album è davvero bello: dodici canzoni “necessarie”, intanto perché non ce n’è manco una messa lì a far numero, come spesso accade negli album. E poi perché tutte insieme raccontano una storia, una tappa nell’esistenza di un uomo che contempla l’autunno della vita. Senza rinunciare a “scrivere e lottare”, come cantava un secolo fa in “Velasquez”. Anche se in copertina c’è lui su un ring, seduto, come un pugile stanco, e “Io non appartengo più” è un titolo che può far pensare a una resa. Invece no. E’ una dichiarazione d’indipendenza dalle miserie del mondo. “Mi sono accorto che questo sentimento di non appartenenza oggi è comune a molti – spiega Vecchioni. -  Ma non va vissuto in negativo: bisogna lasciare una luce in fondo alla notte. Credo nei giovani: sono migliori di come li raccontano. Meritano fiducia, dobbiamo dargliela. Io posso farlo con le parole: ma chi ci governa deve farlo con atti concreti”. Eccolo lì, il Vecchioni di sempre. Scrivere e lottare. C’è ad esempio “Due madri”, canzone che parte da una vicenda personalissima, quella della figlia Francesca e della sua compagna che scelgono la maternità: “Però nella canzone io dico ai giovani: prendetemi per mano e andiamo, comunque vada andiamo avanti, purché si vada”. Indica una strada, insomma. Come in “Esodo”, altra canzone importante. “Quel brano è la chiave di lettura dell’album e la possibile premessa del prossimo. I giovani devono salvare l’eredità dei classici, perché non si va da nessuna parte senza passato, senza storia, senza le basi eterne: però a loro spetta di scrivere i nuovi libri. E ce la faranno: l’uomo si salva sempre, creando un nuovo umanesimo”.
Ad Asti nel 2010 con Massimo Cotto. Io ho l'aria di disapprovare ciò che dice Roberto. In realtà sto scomodo sulla sedia
Mi rendo conto che questo articolo sta diventando molto serio. Quando si scrive di Vecchioni, può capitare. Lui è uno che certi temi non ha timore di affrontarli. La morte, ad esempio. “Non mi fa paura – dice Roberto – ma devi farci i conti”. Ecco, tenete presente che queste ed altre cose ce le siamo dette in pubblico un mesetto fa, alla Feltrinelli di Porta Nuova, alla presentazione dell’album. Credeteci o no è stato un pomeriggio molto divertente: io ero passato per un salutino, Roberto era accompagnato da due altri cari amici, Giorgio Faletti e il giornalista Massimo Cotto. Mi vede e mi sequestra. “dai, vieni anche tu a parlare”, io gli obietto che non avevo ancora sentito il disco, e i tre furfanti all’unisono tagliano corto “meglio, così non dici minchiate”. Insomma, siamo andati e abbiamo parlato di cose serissime, la fine della vita e l’esistenza di Dio, la poesia classica e le famiglie diverse, la politica e la malattia, con gran leggerezza, ridendo e facendo ridere. Perché eravamo quattro amici al bar, certo; ma soprattutto perché la leggerezza è l’arma segreta di Roberto Vecchioni, un artista che si prende molto sul serio, ma allo stesso tempo sa prendersi per i fondelli. E’ il dono che gli dei fanno ai poeti, presumo.




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