Christillin e i direttori di Pompei, Osanna, e dell'Egizio, Greco |
D'altra parte, il business è florido. Dall'inaugurazione del 1° aprile scorso siamo a 880 mila visitatori: chiudere con un milione di presenze i primi dodici mesi del "nuovo corso" sembra un obiettivo ragionevole, se considerate che il 27 marzo è Pasqua. Tanto più che adesso andare all'Egizio è d'obbligo, perché c'è da vedere una mostra memorabile.
Questo è solo un inizio
Cinquecento pezzi, molti dal Sud. E nessuno protesta
Ma non 'sto a strologarmi più di tanto: adesso, e fino al 4 settembre, c'è questa, di mostra, e vi assicuro che è super. Sono oltre 300 pezzi; più della metà in prestito da una ventina di altri musei, in primis Pompei e l'Archeologico di Napoli. E - fa notare divertito Greco - nessuno si è sdraiato davanti al portone dell'Egizio per impedire che le casse entrassero. I canai li riservano a quelle in uscita, nella - peraltro ancora remota - eventualità che l'Egizio apra una succursale a Catania. Boh.Una Grande Mostra
All'Egizio la segnaletica antinfortunistica è in stile |
Ciò non è poco, né poco importante. Troppo spesso da noi le grandi mostre (con le minuscole) arrivano già confezionate. Le importiamo e basta. Alcune, come quella di Matisse in corso a Palazzo Chiablese, hanno un senso logico, aiutano a capire, lasciano qualcosa al visitatore. Altre, invece, sono operazioni in cui la curatela è un optional: assemblaggi di opere più o meno celebri ottenute da musei (come quello d'Orsay) che in cambio del prestito incassano un affitto che usano per finanziarsi le loro, di mostre. Quelle belle, ma anche utili. Con un'anima e un filo logico.
Che cos'è una Grande Mostra
"Apollo Milani" dal Museo Archeologico di Firenze: è in mostra all'Egizio |
Una dichiarazione di resa
Non credo che uno come Cogeval firmerebbe mai in proprio una mostra intitolata "Monet", con un sottotitolo banale come "Dalle collezioni del Musée d'Orsay". Non lo farebbe perché quel titolo e quel sottotitolo in realtà sono un'ammissione e una resa: "Non fatevi illusioni - dicono - non abbiamo niente da raccontarvi. Accorrete numerosi semplicemente perché ci sono i quadri di un pittore così famoso che lo conoscono tutti, almeno di nome". I capolavori ci sono, ma spesso non c'è un senso: i quadri vengono esposti in ordine cronologico, o per soggetti: i paesaggi, i ritratti, le nature morte... Sai che immane sforzo curatoriale.E vi voglio dire questo: se anche riunissimo i cento quadri più celebri del mondo, dalla "Maestà" di Duccio a "Guernica", dalla "Gioconda" all'"Urlo", ma senza dargli un senso, senza costruire una narrazione, senza condurre il visitatore a nuove scoperte, a una nuova visione, non faremmo una Grande Mostra. Faremmo un baraccone culturale. Venderemmo tanti biglietti e tanti gadget. Ma non renderemmo un vero servizio al pubblico. E forse non sarebbe neppure un megasuccesso internazionale.
La provincia culturale
Ci pensavo guardando i dati diffusi giustappunto a proposito di "Monet" alla Gam: la più visitata d'Italia, vista da 313 mila persone. In gran parte però piemontesi, e con appena un 3 per cento di presenze straniere. Insomma, i risultati ci sono, ma non facciamo il salto di qualità definitivo. E rischiamo di scivolare nella provincia culturale. Una provincia dove un amministratore locale di seconda fila può imbastire una polemica contro quella che è una pratica propria di tutti i musei importanti. E può farlo perché manca egli stesso - così come molti suoi interlocutori - degli strumenti valutativi minimi per affrontare correttamente la questione; è egli stesso la riprova del fallimento di una politica culturale che non è riuscita a darglieli, quegli strumenti. Ma qui il discorso si svia, e si fa troppo lungo. Magari un'altra volta.Torniamo alle mostre necessarie e a quelle inutili.
Affresco dal tempio di Iside a Pompei, in mostra al Museo Egizio |
Prima vi ho citato, come esempio positivo, la mostra di Matisse a Palazzo Chiablese. Quella sì, mi ha dato qualcosa: mi ha spiegato molto sulla storia dell'arte e i rapporti fra i grandi artisti del Novecento. Di Monet ricordo tanti bei quadri: ma nulla che già non sapessi prima di entrare alla Gam.
Non mancano i soldi, mancano i cervelli
Qualcuno obietterà che non ci sono i soldi per le Grandi Mostre. No, ragazzi: non sono i soldi che mancano. Mancano i cervelli. Mancano i curatori veri. E manca la voglia di andare oltre il semplice conteggio dei visitatori, le code da fotografare per i giornali, la prosopopea dell'Evento fine a se stesso.Portare a Torino capolavori da mezzo mondo è senz'altro importante e meritorio, però non basta. Il visitatore dovrebbe uscire dalla mostra con qualcosa che non sia il semplice piacere voyeuristico di aver ammirato con i propri occhi un dipinto famoso di cui continuerà a non sapere nulla, se non che esiste davvero e non è soltanto una fotografia su un libro.
Ecco: sono convinto che "Il Nilo a Pompei" sia una di quelle Grandi Mostre che vorrei. Una mostra "necessaria". Perché "Il Nilo a Pompei" è un'idea: un progetto originale, maturato da chi sa e ha voglia di raccontare.
Andateci, e mi ringrazierete. E se vi avanzano 22 euro, prendetevi pure il catalogo. Vale molto più del suo prezzo.
Tutte giustissime e condivisibili osservazioni, tranne per quel "No, ragazzi: non sono i soldi che mancano. Mancano i cervelli. Mancano i curatori veri".
RispondiEliminaI soldi invece mancano, magari non tanto quanto vogliono farci credere ma mancano eccome; non tutti i musei possono sognare ingressi e incassi come il Museo Egizio, che in Italia è più l'eccezione che la regola. Il problema vero è che i (pochi) soldi che ci sono vengono spesso destinati a “capitoli di spesa” quantomeno opinabili invece di investirli nella creazione di vere mostre – grandi o piccole che siano.
Sul fatto che nel Paese manchino i cervelli non ci piove, ma forse scarseggiano più in altri ambiti che in quello curatoriale. Come può un curatore vero lavorare con scarse risorse e con limitata autonomia sia organizzativa sia scientifica, mentre a chi decide davvero interessa solo incrementare il dato quantitativo degli ingressi e non la qualità/serietà/originalità dell'offerta?
I problemi stanno nei gradini superiori del processo decisionale, parola di curatore. Se curatore vero non ho modo di saperlo, ma frustrato di sicuro.