Con riferimento al mio post sul crollo dei visitatori dei musei civici nei giorni del ponte, uno stronzetto mi scrive: "La programmazione delle mostre è stata fatta l'anno scorso e non le fa certamente il sindaco. fatti furbo".
Non ricambio allo stronzetto l'invito a farsi furbo, impresa per lui certamente inaffrontabile. Ma invito coloro che stronzetti non sono a rileggersi il post. Io faccio il giornalista, raccolgo dati e li valuto in base alla realtà fattuale, e non a esigenze di propaganda o denigrazione. Difatti non addosso al sindaco di Torino attuale la responsabilità dell'indiscutibile flop dei musei civici nel ponte dell'Immacolata. E mi dà pure fastidio che molti abbiano utilizzato il post a tale scopo.
E' vero, ho pubblicato con particolare piacere la foto di Appendino con lo sciagurato cartello sulle code nei musei: mi piace ricordare a chi vuole assumersi responsabilità pubbliche che prima di parlare o agitare cartelli è sempre preferibile accendere il cervello; e a meno di non chiamarsi Bob Dylan, 'sta gag dei cartelli rischia di risolversi in una puttanata.
Però le responsabilità di Appendino non riguardano la mancanza di una grande mostra a Torino nel periodo delle Feste.
Chi decide la politica espositiva di un museo è il direttore. Nel caso dei musei civici, è auspicabile che ciò avvenga in sintonia con la presidenza della Fondazione Musei. E che tramite la Fondazione l'ente pubblico garantisca i mezzi economici - con fondi propri o sponsorizzazioni - per raggiungere gli obiettivi concordati.
Di sicuro ciò è mancato negli ultimi mesi della presidenza Asproni, e ancor più adesso che da troppo tempo la Fondazione è priva di un presidente, e dunque senza guida. Di ciò la responsabilità va addebitata al Comune, che ritarda la nomina. E magari, già che ci sono, rinnovino pure il Comitato scientifico.
Quanto alla direzione, appare sempre più chiaro che Carolyn Christov Bakargiev, direttrice della Gam e del negletto Castello di Rivoli, non ha fra le priorità un progetto espositivo che garantisca un forte afflusso di pubblico. Carolyn Christov Bakargiev è un'autorità nel campo dell'arte contemporanea, ha all'attivo numerosi successi, dispone di solide relazioni internazionali, possiede gusto e cultura da vendere. Ma il marketing mi sembra l'ultimo dei suoi pensieri. Le sue mostre (penso a "Organismi", soprattutto) non sono pensate per piacere al pubblico, bensì agli stakeholders dell'arte contemporanea. In parole povere, se la sona e se la canta. Ciò ha una dignità artistica e scientifica, senza dubbio. Però non aspettatevi le code all'ingresso. Quest'inverno, poi, la mostra di punta della Gam è Carol Rama: grandissima artista, retrospettiva splendida. Ma non è pop, Carol Rama: e quindi in due mesi ha attirato soltanto 20 mila persone. E' l'ennesima prova che il nome blockbuster fa la differenza. Non dico che sia un bene. Dico che è così.
Come vedete il problema è complesso. E la scarsità di fondi è solo in parte una giustificazione per tale stato di cose.
Non è un caso se, nella sfida di fondo classifica fra i musei della Fondazione, nel ponte dell'Immacolata Palazzo Madama sia riuscito a racimolare più della metà dei visitatori totali (4200 su 8250), contro i miserrimi 1300 della Gam. Il direttore di Palazzo Madama, Guido Curto, non disponendo dei mezzi economici per una grande mostra, s'ingegna di tenere viva l'attenzione del pubblico con mostrine a basso costo ma curiose e interessanti, sfruttando le collezioni e ricorrendo a pochi prestiti mirati. Sicché riescono a conquistare un minimo di attenzione da parte del pubblico.
Alla Gam le proposte di mini-mostre non mancano: ma le esposizioni della Wunderkammer sono troppo risicate, talora cervellotiche, e soprattutto promosse poco e male.
Sospetto un problema di comunicazione.
Ciò che colpisce, però, è il diverso andamento dei musei torinesi in un ponte dell'Immacolata che ha visto comunque la città piena di turisti. Mentre i musei della Fondazione (Palazzo Madama, Gam, Mao e Borgo Medievale) affondavano, l'Egizio, il Museo del Cinema e la Reggia di Venaria facevano i numeri a colori.
Dall'8 all'11 dicembre l'Egizio ha totalizzato 21.433 presenze, la Mole 14.500, e Venaria addirittura 27.944. Non c'è nulla di casuale in questo, né un complotto ai danni della giunta comunale torinese.
Venaria non ha collezioni proprie di grande richiamo, ma gode della rendita di posizione dovuta alla notorietà nonché allo splendore architettonico dell'edificio e dei giardini; inoltre in questi giorni proponeva varie proposte espositive, in primis l'eccellente mostra dei Bruegel, ovvero un nome di forte richiamo presso il pubblico appena appena un po' acculturato.
L'Egizio e il Museo del Cinema invece non offrono in questo periodo mostre blockbuster; non ne hanno bisogno, la loro forza sta nell'unicità. Sono, nei loro settori, i più importanti musei italiani, tra i più importanti al mondo; e le loro collezioni sono di per sé attrattive: perché sono il top nel settore.
Possiamo paragonare Egizio e Cinema - ovviamente nel proprio campo - agli Uffizi, al Louvre, ai Musei Vaticani: quei rari musei che non hanno necessità di promuoversi tramite mostre e iniziative che attirino il visitatore (anche se nei fatti lo fanno, perché tra le mission di un grande museo ci sono anche le grandi mostre). Non ne hanno necessità perché sono di per se stessi il massimo quanto ad attrattività. Le loro impareggiabili collezioni sono la loro forza. E ciononostante Egizio, Cinema (e pure Venaria) hanno una politica promozionale molto vivace, molto continuativa, molto moderna. Cosa che, ahimé, non posso dire dei musei civici.
Ma la promozione, pur essendo un problema, non è il problema.
Il problema in realtà non può essere definito "problema". E' soltanto un banale dato di fatto: Palazzo Madama non è gli Uffizi, la Gam non è il Guggenheim. Le loro collezioni non sono in grado, da sole, di attrarre le masse.
Badate: io le adoro, le collezioni di Palazzo Madama e della Gam. Più quelle di Palazzo Madama, ma per gusti miei. Ci vado spesso, a Palazzo Madama, per rimirare i miei amati Gandolfino e Macrino d'Alba e Gaudenzio Ferrari. Ma onestamente, vogliamo dircelo? L'unica opera-cult che possiede Palazzo Madama è il "Ritratto" di Antonello da Messina. Palazzo Madama non può sciorinare dipinti celebri a dozzine, come - per dire - gli Uffizi. E prendiamone atto: la gente è fatta così, sta in coda per ore se si tratta di vedere la "Primavera" e "La nascita di Venere" di Botticelli, la "Sacra famiglia" di Michelangelo, la "Madonna del Cardellino" di Raffaello, "L'Annunciazione" di Leonardo, magari pure "L'Adorazione dei Magi" di Gentile da Fabriano e la "Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello. Per quelli si muove da ogni dove. Non per Gandolfino da Roreto. E' un peccato, ma non possiamo farci niente.
Ecco allora che mi preoccupo, quando Francesca Leon e Chiara Appendino dicono che le "mostre blockbuster" si possono anche fare, ma ciò che conta è "valorizzare le collezioni". Certo, anch'io sono d'accordo, le collezioni di Palazzo Madama e della Gam si possono e si devono valorizzare. I direttori già ci provano, come possono e come sanno. Ma se ciò dovesse tradurre, nei fatti, nella rinuncia alle grandi mostre perché "tanto ci sono le collezioni", beh, le signore mi perdonino, ma neppure in cento anni ne verremo fuori.
Finché la critica d'arte non cambierà idea, e non convincerà l'universo mondo che Gaudenzio Ferrari vale ben più di Raffaello, o che Giacomo Grosso è più importante di Manet, dubito che le collezioni dei musei civici torinesi basteranno a garantirci i grandi numeri: grandi numeri che poi, non dimentichiamolo, si traducono in soddisfazione dei turisti, ovvero in un vantaggio anche futuro per l'economia cittadina.
Quindi, tornando agli stronzetti, calma e gesso: a me interessano le strategie culturali, non le risse tra webeti e pidioti. Non mi importa chi le fa, quelle politiche, ma come le fa. Il naufragio dell'Immacolata è stato un campanello d'allarme. Se non si vuole che i flop diventino una consuetudine, sarà bene lasciare da parte i luoghi comuni e le sparate ideologiche, e pensare concretamente a che fare per restare sul mercato. Andate a guardarvi che cosa propone Milano, ora, e capirete che cosa intendo dire.
P. S. A proposito di attrattività: i Dinosauri alla Promotrice nel ponte hanno fatto più di cinquemila visitatori.
P. S. A proposito di attrattività: i Dinosauri alla Promotrice nel ponte hanno fatto più di cinquemila visitatori.
Una cosa, anzi due. Non parli (parla) della Galleria Sabauda, che con tanta pompa era stata inaugurata e che subito è tornata nel suo comodo cono d'ombra. Mi chiedevo se la gestione è del Mibact o ancora della Fondazione Torino Musei... La seconda, più semplice, è che forse i numeri di Palazzo Madama rispetto alla GAM si spiegano con la posizione geografica delle due strutture. Alla GAM "devo" andarci (e qui vale il discorso su mostre di richiamo e cose), a Palazzo Madama posso dare un'occhiata mentre mi godo Torino.
RispondiEliminaCordialità
La Sabauda fa parte dei Musei Reali ed è di competenza del MiBACT. Mi pare goda di discreta salute, compatibilmente con i tempi. Giovedì inagura la quarta mostra in un anno (in genere piccole mostre ma di buon gusto), andrò alla presentazione e poi ne riferirò.
EliminaQuanto alla questione "geografica", può darsi che sia una concausa. Non so dire però quanto significativo. Le faccio un esempio: essere fuori mano per il Castello di Rivoli pare una condanna, per la Reggia di Venaria no. Ma in entrambi i casi i fattori determinanti sono altri.