Una scena di "Gipo, lo zingaro di Barriera": un film che racconta un artista torinese, ed esalta l'orgoglio della barriera |
scusa se uso il confidenziale "tu", ma mi rivolgo alla giovane intelligente e per bene che rispetto, più che alla figura istituzionale che oggi rappresenti.
So che alcune tue pessime compagnie ti hanno insufflato l'erronea convizione che io ti perseguiti per partito preso; ahiloro, quei poveretti credono che i giornalisti debbano essere lacché del potere, o nel peggiore dei casi simpatizzanti e fiancheggiatori, anziché implacabili controllori come impongono la nostra etica professionale e un minimo di umana dignità.
Per questo motivo preferisco scrivere, anziché all'istituzione male accompagnata, alla donna con la quale mi sento invece di condividere molto. Siamo, per retaggio famigliare e doti proprie, due persone ben nate e bene educate; sappiamo comportarci come suggeriscono le circostanze sociali, e se talora la vita ci obbliga a rapportarci con la canaglia, o peggio con chi non sa stare al mondo, lo facciamo perché quello è il nostro destino e il nostro dovere: parlare con le folle mantenendo la nostra virtù, e passeggiare con i re senza perdere il senso comune.
Dunque credo che possiamo intenderci.
Mi sono avventurato in questa lunga premessa perché vorrei darti un consiglio amicale, e desidero fugare il sospetto che anche stavolta io ti stia prendendo per i fondelli, come è mio diritto costituzionale e come spesso gli eventi mi sollecitano a fare.
No, senza scherzi: stavolta è un suggerimento serio, da pari a pari. Ti scrivo perché sono anch'io un torinese, affezionato alla sua città; e perché so che mi leggerai, anche se dici che manco ti degni di leggermi. Ma noi sappiamo che non è così, vero Chiaretta?
Dunque, se vuoi ascoltare un suggerimento da amico, vai al Torino Film Festival a vedere "Gipo, lo zingaro di Barriera". Io l'ho beccato all'anteprima al Classico, ma oggi pomeriggio lo danno al Massimo e anche se ci sarà il sold out credo che uno strapuntino te lo tengano, con un minimo di preavviso.
Dammi retta, vacci. Intanto è un ottimo film, ben girato e intelligente; un film autofinanziato, nato sul territorio, sostenuto da Film Commission; e racconta Gipo Farassino, una figura d'uomo e d'artista molto significativa per la nostra città. Quindi dovresti vederlo anche soltanto perché sei persona di buon gusto, nonché il sindaco eletto dai torinesi.
Ma ciò che più mi ha colpito, di quel film, ciò che mi spinge a scriverti questo post così disgustosamente buonista, è che guardandolo ho pensato a te, e ai tuoi assessori e consiglieri; ho pensato alle tante parole e alle finora scarse opere per il "riscatto delle periferie". E in quel film ho trovato una piccola risposta, perché ci ricorda che a Torino una volta non c'erano "periferie": c'erano - e in parte ancora ci sono - le "barriere". Barriera, a Torino, non è un eufemismo per definire il degrado e l'abbandono. Barriera è una parola che in sé racchiude un mondo, un "ecosistema" come dite oggi voi politici. Le barriere si portano dentro storie di uomini e donne, storie di lavoro e di dignità. Le barriere erano un tempo, e devono tornare ad essere, comunità. Le barriere erano orgoglio operaio. Le barriere sono la nostra storia.
Gipo era orgoglioso di essere un figlio della Barriera di Milano. Un "barrierante", si è definito per l'intera esistenza, e lo considerava un titolo di suprema nobiltà. Il film questo racconta: l'orgogliosa dignità della gente di barriera.
Il "riscatto delle periferie" passa certo da interventi politici, economici, sociali e culturali: mi auguro che voi sappiate quali, e come attuarli. Ma, prima di qualsiasi politica, è essenziale ricostruire il senso di appartenenza. Quell'orgogliosa dignità, appunto, che il film trasmette con forza emozionante; al punto che, vedendolo, almeno per un istante mi sono scoperto a rimpiangere di essere - come te - un borghese, nato senza merito e cresciuto senza privazioni in una famiglia borghese, in un quartiere borghese, in una bella casa borghese; e di non aver mai avuto il gabinetto sul balcone. Hai presente "El 6 'd via Coni"? Quello.
Ecco, Chiara, il mio affettuoso consiglio. Guardati "Gipo, lo zingaro di Barriera". E poi fallo vedere. Volete portare il Torino Film Festival nelle periferie? Benissimo, potete cominciare già oggi: prendete quel film e andate a proiettarlo in barriera. A cominciare da Barriera di Milano. C'è un tuo consigliere che, a sentirlo in Commissione, pare sia un esperto di cinema decentrati: bene, digli di darti un elenco delle sale dove proiettare il film; e se le sale non ci sono, o non bastano, proiettatelo nei circoli, nelle bocciofile, nei saloni parrocchiali, dove capita. Fate un po' di copie e distribuitele nelle famiglie. Cosicché chi vive in barriera possa specchiarsi in quella storia, riconoscere le proprie radici, ritrovare quell'antico orgoglio perduto. Per usare un'altra espressione cara a voi politici, e che spesso purtroppo nasconde il vuoto delle idee, sarebbe una meravigliosa "operazione identitaria": con il vantaggio che, in questo caso, non si tratterebbe di un mero flatus vocis, bensì di qualcosa di molto concreto, molto serio e molto utile.
Tutto qui. E' una piccolissima cosa, lo riconosco. Ma anche un viaggio di mille chilometri comincia con un passo. Provarci costa poco. Io, al posto tuo, lo farei. Che ci perdi? Se non altro, non potranno rinfacciarti che l'aveva già pensata Fassino.
Ti saluto. Adesso torniamo ai nostri dolorosi ruoli. Sono sicuro che mi regalerai tanti altri bei momenti e che i lunghi anni che, spero, ci aspettano saranno di grande e reciproca soddisfazione. Con la certezza che le rispettive parti in commedia non inficeranno mai la personale simpatia, credimi affettuosamente tuo
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