L'APOCALISSE E' QUI, E NON ABBIAMO NIENTE DA METTERCI. POST LUNGO E CATASTROFICO, CON MOLTO WITTGENSTEIN
Albrecht Dürer: "I quattro cavalieri dell'Apocalisse" |
(Ludwig Wittgenstein)
Il nuovo direttore regionale della Cultura, Paola
Casagrande, ha diversi problemi. Uno è più problematico degli altri. Entro la
fine dell’anno deve pagare circa 62 milioni di contributi e stanziamenti vari
già deliberati e firmati. Ma in cassa Paola Casagrande ha meno di 5 milioni.
Questo mi raccontano i più pessimisti fra i bene informati. Non
sono sicuro al cento per cento che sia vero. In quanto pessimisti, forse esagerano
le cifre. Ma temo che nella sostanza non abbiano torto.
Non sarebbe neppure una novità. Il male oscuro della cultura sostenutadai finanziamenti pubblici di Comune e Regione è da tempo questo: somme promesse, deliberate, ma in realtà mai pagate, o pagate con enormi ritardi.
Ritardi che significano un drammatico indebitamento con le banche per i
destinatari di quei soldi virtuali.
Parigi e Wittgenstein
L’operazione-verità di Chiamparino ha rivelato al mondo ciò
che il mondo già sapeva: il debito della Regione è passato dai 900 milioni di euro del 2000 ai 9 miliardi del gennaio 2014. Se la
Regione fosse un’azienda privata, avrebbe già portato i libri
in tribunale per il fallimento.
E se la
Regione non è più in grado di fare fronte neppure alla spesa
sanitaria, ogni ragionamento sui fondi per la cultura diventa ridicolo.
Questo spiega il silenzio dell’assessore Parigi, che molto considerano
disinteresse. In realtà Antonella Parigi, laureata in filosofia, applica la
proposizione 7 di Wittgenstein: “Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si
deve tacere”. Non può dire nulla ai tanti che le chiedono sostegno, conforto e soprattutto
denaro per il semplice motivo che non ha idea di quanto denaro avrà a disposizione. Ammesso e non concesso che ne abbia.
Affinità e divergenze fra i compagni Filura e Chiampa
Il Comune di Torino è nella stessa, pessima situazione
economica. Ma il sindaco Fassino, di persona o per bocca dell’assessore
Braccialarghe, si sforza di apparire rassicurante. Il mantra “la cultura è un asset strategico” viene ripetuto in ogni occasione; di recente associato a un
secondo mantra – “prima di tagliare la cultura ci penseremo cento volte” –
ultimamente modificato in “se tagli ci saranno non saranno lineari”.
Tali rassicurazioni non rassicurano nessuno. Non per
disistima verso Fassino e Braccialarghe; bensì perché tutti sanno che il Comune
non sta meglio della Regione, e la
Regione sta malissimo.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951) |
Insomma, siamo sempre a Wittgenstein: “Non
temere mai di dire cose insensate. Ma ascoltale bene quando le dici”. Mi domando perché Filura preferisca non ascoltare ciò che dice. Azzardo una teoria. La condizione di Fassino è molto diversa da quella del
Chiampa. Chiamparino è all’inizio del mandato, non ha le elezioni dietro l’angolo
(salvo decisioni della magistratura) e soprattutto non sta andando da nessuna
parte: fa il presidente della Regione senza altri obiettivi (per ora). Dunque l’impopolarità delle verità dolorose non lo spaventa. Se ad esempio gli domandano che ne sarà del Torino Film Festival l'anno prossimo, non risponde che sarà più grande e più bello che pria. Risponde che non sa, ma forse non ci sarà l'happy end.
Fassino è invece verso la fine del mandato; fra un anno e mezzo si
vota per il Comune; e forse (ma forse) si ripresenterà, se non centrerà la sua
ambizione massima: la presidenza della Repubblica. Sia che si ricandidi sindaco (io personalmente ne dubito, mi pare stufo marcio), sia che tenti il colpo del Quirinale, Filura non vuole essere lui a dichiarare la sostanziale bancarotta del Comune. E neppure
– nello specifico - addossarsi la responsabilità di seppellire la cultura
a Torino. E’ opinione diffusa che Fassino punti a rinviare quanto più
possibile l’incombente disastro. L’ottimismo di facciata non gli consente di impedirlo, ma di rimuoverlo sì. Sa che il disastro prima o poi
accadrà. E quando accadrà, preferirebbe non essere presente.
La filosofia della pezza (al culo)
Ciò comporta un approccio allo stato delle cose che
definirei “filosofia della pezza”. E qui non c'entra
Wittgenstein, bensì l’edilizia. I problemi vengono affrontati a mano a mano
che si presentano. E le soluzioni sono estemporanee. E’ la mentalità di chi,
anziché prendere atto che la casa è in rovina e urge abbatterla per non
rischiare che gli crolli in testa, preferisce tenerla in piedi alla bell’e
meglio: ora coprendo con un po’ d’intonaco il muro fatiscente, ora cambiando le
tegole sbrecciate, ora sostenendo con qualche palo il soffitto che non regge
più.
Insomma: vivi come non ci fosse un domani.
Come ti salvo un Festival: risposte minime ai massimi problemi
Gli esempi sono quotidiani. Pensate al ponderato dibattito sul Torino Film Festival. Il contributo è sceso di altri 200 mila euro.
Benissimo, dice uno, per risparmiare rinunciamo a due sale. La gente protesta
perché mancano i posti? Benissimo, dice un altro: l’anno venturo per risparmiare diminuiremo i
film. La direzione del Festival protesta perché così il
Festival è meno “articolato”? Benissimo, interviene un terzo, ricorriamo al
crowdfunding. Oh già, il magico crowdfunding: di questi tempi si fa fatica a tirare su poche migliaia di euro per finanziare un piccolo film, e tu pensi di
rastrellare dalle esangui tasche della gggente i soldi per fare un Festival che
costa due milioni e duecentomila euro (e non bastano). Tutti si rimpallano la decisione sul da farsi, l'assessore dice che dipende dalle scelte della direzione artistica, la direzione artistica aspetta lumi dall'assessore... A 'sto punto il copione prevede che entri in scena il più
furbo di tutti con in tasca la grande panacea: gli sponsor privati.
Non contate su Fondazioni e Camera di Commercio
Peccato che gli sponsor privati siano di due categorie. Ci sono gli imprenditori
– e stiamo freschi, quelli che non hanno chiuso la baracca sono emigrati in
Romania, e semmai finanzieranno il Festival di Bacau. E ci sono le
fondazioni bancarie, che da anni ormai sono il vero sostegno della cultura. Peccato
che le fondazioni bancarie, salassate dal governo, stiano raschiando il fondo del barile. Un altro provvedimento governativo intanto ha messo fuori gioco la Camera di Commercio, finora fonte di finanziamento vitale per la cultura torinese: c'è da domandarsi quale futuro attenda, per citare un soggetto ad altissimo rischio, Turismo Torino.
Oltre il fondo del barile
Anche Comune e Regione hanno già da tempo iniziato a
raschiare il fondo del barile. Ovvero le riserve, il fondo grandi rischi e le famose “pieghe del bilancio” dove in passato si scovava all'ultimo minuto qualche soldo da destinare alla cultura, insieme
con tanti “pagherò” sempre più difficili da onorare. Ci si è ridotti a sperare
in fantomatiche vendite di beni che, in genere, nessuno compra. Infine, la
vendita dei beni medesimi è stata demandata ai destinatari finali dei contributi: anziché soldi
sono stati offerti in dote alle fondazioni culturali edifici, appartamenti, capannoni. Quasi che il sovrintendente del Regio o il presidente del Museo del
Cinema potessero pagare i dipendenti con i mattoni, o diventare agenti
immobiliari più in gamba del Comune.
Il disastro è servito
Tanti artifizi hanno però consentito a molti di illudersi; di
sperare che il disastro fosse soltanto un’ipotesi, e non una certezza; e, nel
deprecabile caso, avrebbe riguardato soltanto “gli altri”. La notizia è che “gli
altri” siete voi. Non ci sono più “pieghe di bilancio”. Non c’è più nulla. Il barile è vuoto e raschiato. E il
disastro è lì, pronto a scatenarsi. Forse fra un mese, forse fra sei. Ma si
scatenerà.
E adesso, per piacere, non chiedetemi che fare. Se lo sapessi, sarei io il sindaco.
L'opzione dell'Apocalisse
Torniamo a Wittgenstein: “La totalità dei fatti determina
ciò che accade, e anche tutto ciò che non accade”. Per anni e anni la cultura
si è rifiutata di cambiare. E si rifiuta ancora oggi. I fatti erano
evidenti a chiunque. Ma nessuno li ha voluti guardare. Adesso è tardi. Che cosa
accadrà?
Azzardo due ipotesi.
La prima: chiudiamo bottega.
La seconda: un pubblico amministratore per salvare il salvabile potrebbe immaginare –
ripeto: potrebbe, diciamo che me lo sono sognato stanotte – una moratoria di un
anno sui finanziamenti. Zero. Si pagano soltanto i contributi degli anni
passati (e già lì ce ne vorrebbe…) e si spende il minimo indispensabile per non
lasciare spegnere i motori. Via le manifestazioni; via i
festival non indispensabili (in un’interpretazione estrema, si arriverebbe a un
anno senza nessun festival); via le mostre non pagate dagli sponsor; via i
Natali con i fiocchi e le luminarie di San Giovanni, le fagiolate e
le piste di pattinaggio; salviamo ciò che rende e ciò che conta davvero, a cominciare dalle istituzioni fondamentali: però ripensandole con oculatezza manageriale, gestendole come imprese private, tagliando i rami secchi. E preserviamo il seme del futuro: non so, un'iniziativa che si rivolge ai ragazzi, che costruisce il pubblico e i cittadini di domani, forse merita più che cento mostre degli Impressionisti.
Sono ipotesi terribili. Ma sareste pronti a scommettere che mai e poi mai si avvereranno? Anche a me piacerebbe pensarla così. Purtroppo ho le mie buone ragioni per immaginare invece l'opzione dell'Apocalisse. "Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò" (Ap, 8,7). Un incendio che distruggerà quello che in tanti anni abbiamo
costruito. Con l’unica speranza che, come dopo gli incendi, dalla cenere
rispunti più forte la vita.
Una casa che non sta più in piedi
Mi piace? No, per nulla. Ma bisogna guardare in faccia la
realtà, una volta tanto. E smetterla con le mezze verità, le mezze misure, le
mezze riforme, i mezzi risparmi. Smetterla di coprire le voragini con l'intonaco. Una svolta (voless'Iddio non drammatica come quella che ipotizzo) non è
rinviabile. Ci portiamo dietro troppe strutture pensate e costruite in un’altra epoca, quando eravamo ricchi e pieni di speranze. Quando una famiglia impoverisce,
rinuncia a tante cose che nella sua vita precedente sembravano indispensabili. La
vecchia casa non ce la fa più, cari miei. Dobbiamo demolirla e costruirne una nuova, adatta alle esigenze di oggi. E per favore scostatevi, o
rimarrete sotto le macerie.
Eppure sono in tanti ancora lì, a fare i capricci perché questo non si può tagliare, e quello no perché la diversità culturale va difesa, e quell'altro no perché sennò cosa ne facciamo di Tizio e di Caio, e la mia cultura è più colta della tua, e io c'ero prima, no c'ero prima io, e la tradizione, e i valori, e il sistema, e il valoroso circolo, e l'antico cenacolo, e il venerato maestro... Piccoli egoismi, gelosie infantili, interessi di bottega, egotismi paranoidi... Quanti ve ne ho raccontati, in appena un anno di vita di questo blog? E in tanti anni di Stampa?
Populismi da morti di fame
Al tempo stesso, ragioniamo evitando i populismi da morti di
fame. Non parlo neppure degli sprechi (ammesso che qualcuno, in questa
situazione, possa ancora permettersi di “sprecare”), bensì di utilizzo più
razionale delle risorse. Ciò non significa mettere sullo stesso piano il Circolo dei Lettori e la sagra del fungo porcino. Né tantomeno svalutare il lavoro. Sono
comici – e irritanti - quelli che si sdegnano se una grande
istituzione culturale costa molto, o se un direttore qualificato guadagna quattromila euro al mese. I costi e gli stipendi non sono
alti o bassi in termini assoluti. Dipende da quanto frutta un determinato progetto, in termini sociali oltre che economici; e da quanto produce chi riceve un determinato
stipendio. E’ il principio del plusvalore, baby. Se ti pago dieci, e tu mi fai
guadagnare (o risparmiare) undici, non costi tanto. Costi il giusto. Chi
si accontenta di meno, sa di non valere. E oggi non possiamo
permetterci di stipendiare chi non vale.
Il prezzo dei pensieri
Ragazzi, davvero questo post è la negazione di ogni
principio della comunicazione in rete. Lunghissimo. Ma lo dovevo a me stesso. E
a quelli che continuano a chiedermi che cosa accadrà adesso. Accadrà quello che vi
ho raccontato. E forse anche di peggio, se continueremo a far finta di nulla. Scusatemi se ho turbato il vostro beato ottimismo. La chiusa è
ancora di Wittgenstein. “Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri. Alcuni
costano molto, altri meno. E con che cosa si pagano i pensieri? Credo con il
coraggio”.
Il resto è silenzio.
Il nostro "compendio" a questo articolo.... http://sistematorino.blogspot.it/2014/11/dalle-porte-dellinferno-lettera-dal.html
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