Il Torino Jazz Festival è morto. E' morto (forse) anche il Fringe, vivace "sezione sperimentale" di quel Festival. Come previsto. Al posto del Festival ci sarà nel 2017 una mini-rassegna in concomitanza con il Salone del Libro: cinque concerti all'Auditorium, nonché una serie di spettacoli nei locali, meglio se in periferia, curati da associazioni torinesi scelte - volevo ben dire... - con apposito trasparente bando. L'edizione 2016 del Torino Jazz Festival - l'ultima, a questo punto - aveva in cartellone 178 eventi con circa 600 musicisti.
La decisione del trio Giordano è definitiva e verrà ufficializzata nei prossimi giorni. L'ex direttore del Torino Jazz Festival, Stefano Zenni, è stato incaricato dal SuperAs Paolo Giordana di occuparsi delle esequie, organizzando i concerti e le manifestazioni di contorno. Girava voce che Stefano Zenni fosse già stato contattato per dirigere il Jazz Festival di Firenze: ma Stefano Zenni mi ha scritto per smentire con decisione quella che definisce "una bufala": "Non ci sarà nessun Firenze Jazz Festival. D'altronde organizzo già MetJazz a Prato", ha precisato. Comunque Zenni si è riservato di esaminare le richieste dell'AsCulProp, le disponibilità economiche e le linee guida del progetto torinese. Scioglierà la riserva entro pochi giorni.
Non è ancora noto quanto il Comune stanzierà per la nuova, ridotta iniziativa - che pare non si chiamerà "Torino Jazz Festival", a salvaguardia dal ridicolo.
L'investimento della passata amministrazione sul Torino Jazz Festival è stato, per l'edizione 2016, di 120 mila euro, destinati alla promozione e alla comunicazione dell'evento. Il rimanente budget della manifestazione (825 mila euro) era coperto dalla biglietteria e soprattutto dalle sponsorizzazioni procurate dalla Fondazione Cultura, responsabile dell'organizzazione. Gli sponsor dell'edizione 2016 sono stati, oltre a Iren (che ha sempre assecondato le richieste di Fassino), anche Intesa San Paolo, Toyota Lexus, Poste Italiane e Seat Pagine Gialle. Nomi di peso che avevano deciso di investire su quel Festival. Resta da chiarire quindi se quegli 800 mila euro che arrivavano dagli sponsor andranno in parte alla neonata creatura jazzistica dell'AsCulProp e in parte ad altre iniziative; sarà bene che il trio Giordano convinca gli sponsor a investire a Torino anche nel 2017, pur in mancanza del Torino Jazz Festival. In caso contrario ci saremo fumati 800 mila euro di sponsorizzazioni. Confido che il trio Giordano convinca i japs della Toyota a cacciare i soldi per qualche nobile manifestazionemagari in periferia. Inoltre logica vorrebbe che i 120 mila euro spesi dal Comune per promuovere il Tjf vengano restituiti a chi erano stati sfilati, ovvero a MiTo.
Vi riporto quanto scrivevo su TorinoSette del 6 maggio scorso:
"E’ stato un atto di coraggio da parte del Comune ammettere il sostanziale flop dell’ultimo Festival Jazz, crollato - secondo le dichiarazioni ufficiali dell’assessorato alla Cultura - a 200 mila spettatori in dieci giorni: l’anno scorso, sempre in base alle stime ufficiali, erano stati 225 mila in cinque giorni. Quando una manifestazione che si vuole popolare e di massa precipita da 45 mila a 20 mila presenze giornaliere, è inutile e penoso nascondersi dietro le giustificazioni meteorologiche, o a fumisterie statistiche. Tanto vale guardare in faccia la realtà, e ripensare l’intera faccenda con occhi scevri da pregiudizi. Anche perché altre considerazioni allarmanti nascono da un confronto fra il giovane Jazz Festival torinese e la più importante manifestazione del settore, Umbria Jazz. Il Torino Jazz Festival appena concluso aveva un budget attorno a un milione di euro, concerti in grandissima maggioranza gratuiti, e ha attirato 200 mila spettatori, con incassi minimi (e peraltro non comunicati) per i pochi spettacoli a biglietto. L’ultima edizione di Umbria Jazz aveva invece un budget di 3 milioni, e con i concerti in grandissima maggioranza a pagamento ha attirato 450 mila spettatori incassando 1,6 milioni di euro tra biglietteria e merchandising; per cui il costo netto del festival perugino è di 1,4 milioni.
Riassumendo, Torino ha un costo/spettatore di quasi 5 euro, contro i 3,1 euro di Umbria. E Umbria spende appena 400 mila euro più di Torino per avere un festival con un cartellone galattico, che attira 450 mila spettatori paganti in dieci giorni mentre Torino ne racimola meno della metà, e per di più non paganti. Né mi si parli della ricaduta turistica, perché anche Umbria Jazz qualche aiutino all’economia di Perugia pare lo dia... E’ vero invece che Umbria Jazz gode di una rendita di posizione frutto di una storia lunga e gloriosa. Ma il blasone, se non ce l’hai non te lo puoi inventare. Quindi restiamo ai numeri.
E i numeri, signori miei, questi sono. Poi entrano in gioco le scelte di politica culturale, che giustamente rispondono a logiche diverse. Ragionando sul futuro del Torino Jazz Festival sarà giusto tenere conto di entrambi i fattori. Ma con realismo, senza preconcetti né fanatismi. La cultura, per fortuna, non è una guerra di religione. E nemmeno uno scontro fra curve di ultrà".
La decisione del trio Giordano è definitiva e verrà ufficializzata nei prossimi giorni. L'ex direttore del Torino Jazz Festival, Stefano Zenni, è stato incaricato dal SuperAs Paolo Giordana di occuparsi delle esequie, organizzando i concerti e le manifestazioni di contorno. Girava voce che Stefano Zenni fosse già stato contattato per dirigere il Jazz Festival di Firenze: ma Stefano Zenni mi ha scritto per smentire con decisione quella che definisce "una bufala": "Non ci sarà nessun Firenze Jazz Festival. D'altronde organizzo già MetJazz a Prato", ha precisato. Comunque Zenni si è riservato di esaminare le richieste dell'AsCulProp, le disponibilità economiche e le linee guida del progetto torinese. Scioglierà la riserva entro pochi giorni.
Non è ancora noto quanto il Comune stanzierà per la nuova, ridotta iniziativa - che pare non si chiamerà "Torino Jazz Festival", a salvaguardia dal ridicolo.
L'investimento della passata amministrazione sul Torino Jazz Festival è stato, per l'edizione 2016, di 120 mila euro, destinati alla promozione e alla comunicazione dell'evento. Il rimanente budget della manifestazione (825 mila euro) era coperto dalla biglietteria e soprattutto dalle sponsorizzazioni procurate dalla Fondazione Cultura, responsabile dell'organizzazione. Gli sponsor dell'edizione 2016 sono stati, oltre a Iren (che ha sempre assecondato le richieste di Fassino), anche Intesa San Paolo, Toyota Lexus, Poste Italiane e Seat Pagine Gialle. Nomi di peso che avevano deciso di investire su quel Festival. Resta da chiarire quindi se quegli 800 mila euro che arrivavano dagli sponsor andranno in parte alla neonata creatura jazzistica dell'AsCulProp e in parte ad altre iniziative; sarà bene che il trio Giordano convinca gli sponsor a investire a Torino anche nel 2017, pur in mancanza del Torino Jazz Festival. In caso contrario ci saremo fumati 800 mila euro di sponsorizzazioni. Confido che il trio Giordano convinca i japs della Toyota a cacciare i soldi per qualche nobile manifestazionemagari in periferia. Inoltre logica vorrebbe che i 120 mila euro spesi dal Comune per promuovere il Tjf vengano restituiti a chi erano stati sfilati, ovvero a MiTo.
Luci e ombre di un festival
Ricordo ai lettori che non sono mai stato un aficionado del Tjf. A questo link troverete le mie contestazioni all'ultima edizione. Tuttavia mi parrebbe un ben amaro risultato chiudere una manifestazione largamente criticabile, ma che in cinque anni ha pur raggiunto qualche risultato, senza sostituirla con qualcosa di più convincente e più prestigioso. Sarebbe un segnale di resa incondizionata alla mediocrità e al declino.Vi riporto quanto scrivevo su TorinoSette del 6 maggio scorso:
"E’ stato un atto di coraggio da parte del Comune ammettere il sostanziale flop dell’ultimo Festival Jazz, crollato - secondo le dichiarazioni ufficiali dell’assessorato alla Cultura - a 200 mila spettatori in dieci giorni: l’anno scorso, sempre in base alle stime ufficiali, erano stati 225 mila in cinque giorni. Quando una manifestazione che si vuole popolare e di massa precipita da 45 mila a 20 mila presenze giornaliere, è inutile e penoso nascondersi dietro le giustificazioni meteorologiche, o a fumisterie statistiche. Tanto vale guardare in faccia la realtà, e ripensare l’intera faccenda con occhi scevri da pregiudizi. Anche perché altre considerazioni allarmanti nascono da un confronto fra il giovane Jazz Festival torinese e la più importante manifestazione del settore, Umbria Jazz. Il Torino Jazz Festival appena concluso aveva un budget attorno a un milione di euro, concerti in grandissima maggioranza gratuiti, e ha attirato 200 mila spettatori, con incassi minimi (e peraltro non comunicati) per i pochi spettacoli a biglietto. L’ultima edizione di Umbria Jazz aveva invece un budget di 3 milioni, e con i concerti in grandissima maggioranza a pagamento ha attirato 450 mila spettatori incassando 1,6 milioni di euro tra biglietteria e merchandising; per cui il costo netto del festival perugino è di 1,4 milioni.
Riassumendo, Torino ha un costo/spettatore di quasi 5 euro, contro i 3,1 euro di Umbria. E Umbria spende appena 400 mila euro più di Torino per avere un festival con un cartellone galattico, che attira 450 mila spettatori paganti in dieci giorni mentre Torino ne racimola meno della metà, e per di più non paganti. Né mi si parli della ricaduta turistica, perché anche Umbria Jazz qualche aiutino all’economia di Perugia pare lo dia... E’ vero invece che Umbria Jazz gode di una rendita di posizione frutto di una storia lunga e gloriosa. Ma il blasone, se non ce l’hai non te lo puoi inventare. Quindi restiamo ai numeri.
E i numeri, signori miei, questi sono. Poi entrano in gioco le scelte di politica culturale, che giustamente rispondono a logiche diverse. Ragionando sul futuro del Torino Jazz Festival sarà giusto tenere conto di entrambi i fattori. Ma con realismo, senza preconcetti né fanatismi. La cultura, per fortuna, non è una guerra di religione. E nemmeno uno scontro fra curve di ultrà".
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