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STALLO MESSICANO ALL'OPERA DEI PUPI: CON LE MAIL DI ASPRONI MORANO ACCUSA APPENDINO DI MENDACIO (RELOADED CON IL VIDEO DELLA SEDUTA)

Al servizio dei veri bongustai: qui c'è il video dell'intera seduta del Consiglio
comunale del 3 novembre: la ciccia vera, ossia la pantomima su Manet,

comincia all'incirca a 1 h 20' e ve la consiglio caldamente. Vi ricordo che
così come lo riporta - per carità di patria sunteggiando assai - il sito del Comune.



Alto e approfondito dibattito sulla cultura in Consiglio comunale

Era un sonnolento pomeriggio di novembre e in Consiglio comunale lo spettacolo languiva; avevano rinviato l'interpellanza di Ricca sul Futurismo, battibeccavano sul post di uno sciaguratello pagato dal popolo, un'assessore leggeva faticosamente una pallosa relazione sui bilanci di Gtt, e io m'apprestavo a tornarmene a casetta imprecando contro la svogliatezza della compagnia di giro che mi stava annoiando assai.
Quand'ecco che qualcuno, forse un angelo vestito da passante, mi trattiene: "Deh, dove t'en vai, sconsiderato? Il meglio ha da venire: c'è una richiesta alla sindaca di comunicazioni su Manet a Milano".
Sai che roba, penso. M'ha brasato i gioielli a me, figurarsi ai lettori. Però ho un disgustoso senso del dovere, quindi mi fermo. Di malumore, perché lo show comincia subito male. La richiesta di comunicazioni è per la sindaca, ma Appendino si volatilizza lasciando la sventurata Leon a sorbirsi le consuete invettive sulla città che perde colpi e Milano che ci porta via tutto. 
Parentesi. Appendino in Consiglio comunale è un'anima in pena. Sta sul suo scranno con l'aria malmostosa, alza gli occhi al cielo, tuffa il volto nella mani, e soprattutto smanetta di iPhone come non ci fosse un domani e nemmeno un Consiglio comunale in corso.
Poi si alza, esce, sta non so dove per un po', ricompare, rialza gli occhi al cielo, rituffa il volto nelle mani, rismanetta di iPhone. Spesse volte s'incazza per quel che le dicono; solo raramente ridacchia beffarda. In genere sembra altrove.
La capisco. Anch'io farei come lei. E' una situazione intollerabile in un posto intollerabile fra gente intollerabile. La differenza fra me e lei è che io non ho straccato le glorie a mezza città per mesi pur di starci dentro. Chiusa parentesi.
Torniamo al racconto. La sventurata Leon relaziona come da manuale: noi non vogliamo distruggere la cultura a Torino, noi non diciamo un no a priori alle grandi mostre, noi vogliamo che Torino produca cultura e non si limiti a importarla... Insomma, quello che avete letto sui giornali in questi mesi. Prende anche impegni precisi: a metà novembre presenterà il programma delle manifestazioni del 2017, con la ferma volontà di non impoverire l'offerta culturale torinese. Non ci sta, la Francesca, a passare per una specie di Attila in sedicesimo.
Partono le repliche, con scambi di battute e gags che tentano di rinverdire la grande tradizione dell'avanspettacolo in Sala Rossa: è notevole le tipa che, discettando della società "Skira", organizzatrice della nostra di Manet, pronuncia "Scìa" (presumo chimica); ma il premio "Aridatecelisordi" se lo aggiudica un tizio che sembra sputato Beruschi e se ne esce con una freddura che Beruschi rifiuterebbe, e cioé che sarà la Guardia di Finanza a fare la prossima mostra di Manet...te. Se voleva dire qualcosa, non si capisce; ma forse è soltanto compiaciuto per il suo esprit de finesse.
Insomma, tira a caciara e io mi maledico per non avere a portata di mano un gatto morto da lanciare a questi scarsissimi filodrammatici.
Ma all'improvviso, proprio mentre sto per andarmene, ecco il miracolo: lo spirito di Feydeau cala sulla Sala Rossa, ed è subito entertainment.
Alberto Morano, il ricco e austero notaio che mai avevo considerato per una parte in commedia, prende la parola (l'intervento lo trovate nel video della seduta a partire da 1h 35' 41") e, agitando una manciata di fogli, accusa il sindaco (dice "sindaco") Appendino - che intanto è rientrata - di essere una bugiarda, perché ha detto al Consiglio comunale che la dimissionata presidente di Torino Musei non s'è mai fatta viva con lei.
Ora. Risulta questa dichiarazione di Appendino: "Il 19 luglio i miei uffici protocollano una richiesta di incontro da parte dell’allora direttrice Asproni, la quale fa riferimento a una precedente richiesta risalente al 19 giugno (di cui però i miei uffici non hanno traccia)". In Consiglio Appendino affermò che soltanto il 5 ottobre (o il 4, secondo altra versione), e su sua richiesta, Asproni accettò di fissare un incontro per il 24 ottobre. Poi la situazione precipitò, fino alle dimissioni.
Adesso Morano, sventolando le sue carte, smentisce la narrazione appendinesca. "Queste - incalza il severo - sono le mail che dimostrano che fin dal 22 giugno la presidente Asproni sollecitò ripetutamente un incontro con la nuova giunta, senza mai ottenerlo".
La rivelazione non è sconvolgente: Patriziona l'ha sempre detto, di aver tentato più volte di parlare con Appendino e/o Leon e/o Giordana, venendo puntualmente rimbalzata. Ma carta canta e villan dorme. E le mail, ne sa qualcosa Hillary, sono peggio dei missili Sting.
I papiri sciorinati da Morano sono una sequela di appelli e inviti al trio Giordano, da giugno a settembre, tutti caduti nel vuoto. Altro che solitaria "richiesta d'incontro del 19 luglio": è un romanzo epistolare che nemmeno Jacopo Ortis.
Particolarmente gustoso uno scambio fra la segreteria della Fondazione e Paolo Giordana: la Fondazione invita Appendino a una presentazione il 7 luglio, Giordana risponde che in quella data il sindaco è impegnato e suggerisce di spostare la presentazione al 13; quelli della Fondazione eseguono, ma l'11 luglio con due righe brusche brusche Giordana fa sapere che il sindaco non ci sarà "per impegni precedentemente assunti". Si noti: "precedentemente assunti", non "sopravvenuti". Giordana promette che manderà la Leon. Che però non si fa vedere.
Seguono altre lettere, altri inviti. Niente da fare. E' chiaro che il trio Giordano proprio non la voleva vedere, l'Asproni. Il che può anche essere legittimo. A casa loro, però.
Così Morano ha buon gioco a buttarla sullo sdegno per le bugie che la sindaca avrebbe rifilato al Consiglio, e la tratta come una scolaretta presa in fallo.
L'altro vecchio volpone, Osvaldo Napoli di Forza Italia, ci mette il carico da otto chiedendo con enfasi tribunizia che Appendino chieda scusa per la menzogna, oppure si dimetta. Nientemeno.
Segue il prevedibile can can. Nella replica conclusiva Appendino non accenna neppure alle mail che Morano le ha sciorinato sotto il naso. Però lancia un appello a farla finita con i soliti sospetti e a lasciarla lavorare perché, assicura, lei non vuole distruggere la cultura a Torino, anzi. Invita perciò tutti a riporre le armi e a smetterla di rinvangare le solite storie: le dimissioni dell'Asproni, la mostra di Manet, il Festival Jazz, la nomina di Coda... Voltiamo pagina, implora addolorata. Se attaccase a cantare "scurdammoce 'o ppassato", la sceneggiata sarebbe perfetta.
Fuori dall'aula si forma un crocchio di oppositori festanti. Il piddino, il leghista, il forzitalico, il moderato. I consiglieri di minoranza in insolita concordia circondano Morano congratulandosi per l'abile mossa. Annunciano un'interpellanza generale. Napoli si compiace della sua foga oratoria.
Io guardo e sono triste. Mi sono divertito, questo sì, ma la comicità non risolve. Mi rendo conto che in realtà della cultura non importa niente a nessuno: è solo una casella del risiko, un terreno di scontro come un altro, di una battaglia dove non ci sono buoni e cattivi, soltanto uomini e donne piccoli, disperati, nudi, che menano gran colpi di spadone come mori e paladini dell'opera dei pupi, per impressionare il pubblico pagante ma senza una visione che vada oltre lo spettacolo di giornata. Adesso il sindaco e Appendino regolano i loro conti, e gli avversari gli danno il tormento. A ruoli invertiti, prima era lo stesso. L'opera dei pupi non cambia mai, da secoli.
Lo stomaco mi manda segnali disperati, e io non mi sono portato il Maalox. No. Non mi piace niente. Non mi piace quello che succede, non mi piace come succede, e non mi piacciono quelli che lo fanno succedere. 
Certo, la notizia c'è, e per un giornalista tanto dovrebbe bastare per dare un senso alla giornata. Ma la notizia vera non è che Appendino dice le bugie. Tutti i politici le dicono, e Appendino è soltanto un altro politico.
La notizia vera è che anche oggi non si vola. Siamo a uno stallo messicano, sono situazioni di contrabbando e a me non mi pare giusto neanche in Messico.
Me ne vengo a casa, e contrariamente a quel che mi aspettavo faccio un'enorme fatica a scrivere il pezzo. Non mi diverte più. Quindi non riesco nemmeno a scrivere qualcosa di divertente. L'ironia non è un controveleno, in certi casi.
Poi arriva un'altra notizia. Nasce una cosa al posto del Jazz Festival. Non so ancora se sarà una buona cosa, ma stasera non mi importa saperlo. Stasera mi basta che qualcosa nasca, dopo tante morti. E che piano, in silenzio, qualcuno torni a pensare.

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