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GIORGIO GABER E GLI STATI GENERALI DELLA CULTURA

Gli Stati Generali suscitano grandi speranze: si notino, in primo piano,
i più entusiasti che lasciano l'indirizzo mail, "così restiamo in contatto"
Non scrivo sugli Stati Generali della Cultura. Non so che dire.
Stamattina mi sono beccato la tavola rotonda conclusiva al Piccolo Regio, punto d'arrivo di un lunghissimo e faticoso percorso durato almeno quattro anni. C'erano gli operatori culturali piemontesi, e gli assessori Parigi e Leon. Ho ascoltato infinite parole, molte proposte, qualche promessa. Diversi interventi trasudavano passione e competenza, alcuni intelligenza e visione, un paio addirittura concretezza. Mi sono commosso allo sfogo della Parigi che ha riconosciuto le sofferenze del settore, e il coraggio di chi continua a lavorare, investire e rischiare in condizioni di totale (e intollerabile) incertezza. E ho visto il volantino del Comitato Emergenza Cultura che chiede qualcosa di assai civile: che l'investimento regionale sulla cultura, attualmente pari allo 0,3% del bilancio totale (confermo: 0,3%) torni a salire, almeno fino all'1%. Non è chiedere la luna.
Però rimango perplesso: al di là delle parole, delle proposte e delle promesse, non capisco se tutto ciò avrà effetti concreti. Uno potrebbe essere la partecipazione degli operatori alla scrittura della nuova legge quadro regionale sulla cultura. Potrebbe. 
Sicché non so che cosa scrivere. I problemi sono noti, e ripeterli ancora una volta mi annoierebbe a morte, senza alcun vantaggio per chi continua a patire, oggi come quattro anni fa. Il tanto bramato "ascolto" da parte della politica c'è stato, quantomeno in apparenza e con diverse svogliatezze - in sala c'erano sparuti consiglieri regionali, quelli del Comune non li ho visti, ma non li conosco tutti quindi possono essermi sfuggiti; e comunque a me "l'ascolto" interessa poco, se non porta risultati concreti. Riferire le promesse francamente non mi interessa, leggetevele sui giornali. Magari ne parlerò quando diventeranno fatti.
All'uscita noto, nei commenti di operatori e politici, una curiosa reciprocità di valutazione: ovvero, "noi" ci mettiamo tanta buona volontà ma "gli altri" sono inconsistenti. 
Anche per questo non scrivo. Sto ascoltando Giorgio Gaber: "E allora dai, e allora dai, le cose giuste tu le sai, e allora dai, e allora dai, dimmi perché tu non le fai".

Cultura Pride: qualcosa di rivoluzionario

P.S. Parigi ha però detto una cosa rivoluzionaria, stamattina: e cioé che la cultura in primis produce cultura. Tanto meglio se, come effetto secondario, promuove il territorio. Parigi ha aggiuntro: "Se in questi anni abbiamo parlato tanto della promozione del territorio l'abbiamo fatto per difendere la cultura". Finalmente. Il coraggio di dirlo. Questo si chiama coming out. Il Cultura Pride.

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