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IL POETA CHE RIEMPIE I TEATRI

Guido Catalano: domani il suo reading fa sold out al Colosseo. Significa che 1300 persone pagano un biglietto per ascoltare poesie
Domani sera, 4 febbraio, antivigilia del suo quarantaseiesimo compleanno, il poeta professionista vivente Guido Catalano compie un'impresa: fa sold out al teatro Colosseo con un pubblico che paga il biglietto per ascoltarlo leggere le sue poesie.
Ricordo che Allen Ginsberg, quando venne a Torino, dovette accontentarsi di riempire il Piccolo Regio. E lui cantava pure. 
A memoria mia, di poeti che hanno fatto più incasso a Torino c'è soltanto Bob Dylan: però non aveva ancora vinto il Nobel per la Letteratura, quindi direi che non vale come poeta.
Per festeggiare l'exploit di Guido Catalano - l'unico Ewok che scriva poesie - recupero una vecchia intervista che gli feci per l'introduzione di una sua raccolta poetica. L'intervista è imbarazzante per intervistatore e intervistato. Ma né Catalano, né io, siamo troppo gelosi del nostro buon nome.


Gabo intervista Guido Catalano, ottobre 2013

Signore e signori, benvenuti in questo libro. Il valoroso editore ha voluto presentare ai lettori curiosi l’autore di questa raccolta poetica con un’intervista. L’incontro con Guido Catalano – il Poeta – si svolge nella cucina della casa dell’intervistatore, in un grigio pomeriggio d’ottobre. Il Poeta indossa un maglione rosso e parla camminando su e giù per la cucina. Ogni tanto getta uno sguardo dalla finestra che s’affaccia sul giardino dell’intervistatore dove fiorisce l’ultima rosa d’ottobre. Ciò lo conferma Poeta. L’intervistatore lo richiama al dovere, e esordisce con una proposta artistico-operativa.
Facciamo così, quando diciamo un’idiozia la scriviamo.
Questa mi pare già un’idiozia. Scriviamola.
Perché vuoi un’intervista idiota?
Prendersi troppo sul serio è una noia mortale.
Perfetto, questa è un’altra buona idiozia. Vuoi un caffè? Comunque, se hai di meglio da fare, puoi anche andartene, a scrivere idiozie ci riesco benissimo da solo.
Non importa, ho il pomeriggio libero. Devo soltanto fare la spesa. Non riesco più a trovare il tempo per la spesa intelligente.
Che cosa intendi per “spesa intelligente”?
Avere le cose che servono in frigo. Non ci riesco più, mi manca il tempo. Quindi mi nutro di roba in scatola.
Ok, cominciamo. Quand’è che ti sei sentito poeta?
E’ tema delicato: lo dico sempre, e so benissimo che può sembrare una posa. Ma non mi sono mai sentito poeta. Una dozzina d’anni fa ho cominciato a chiamare poesie le cose che scrivevo. Così sono diventato poeta. Allora stavo in un gruppo rock e scrivevo le canzoni. Le canzoni sono come le poesie: roba che va a capo. Certo, essere poeti ti dà delle belle soddisfazioni: c’è gente che mi scrive e mi dice “Prima non avevo mai letto poesie, e grazie a te ora le leggo”. Insomma, sono gli altri che dicono che sono un poeta. C’è pure chi sostiene che la mia è nient’altro che prosa con tanti a capo. Alcuni mi definiscono un cabarettista. Altri, semplicemente un cretino. Questione di punti di vista. Però, secondo me, a volte scrivo cose che sembrano proprio poesie: è inutile che ce lo meniamo. Quindi, mi sento autorizzato a qualificarmi come poeta professionista vivente.
Non sarà che stai cominciando a prenderti sul serio?
No, mai. Il giorno che comincerò a prendermi sul serio potrò appendere il computer al chiodo e darmi al golf. Però ammetto che il rischio c’è, sempre. E se accade, alla fine cominci a scrivere male. In realtà io prendo sul serio quello che faccio, lo considero la cosa più importante della vita. Ma cerco di non prendermi sul serio come persona: non vorrei mai diventare uno di quei poeti tristi, noiosi e vestiti di nero.
Comunque fare il poeta è meglio di lavorare.
Assolutamente sì.
Se non avessi fatto il non poeta, che cosa saresti stato?
Un avvocato penalista. Io vengo da una famiglia di penalisti, penalista mio padre, penalista mio nonno… Sono anche stato iscritto a Legge per un anno. Per questo mi piace dire che non sono un poeta civile, ma un poeta penale. La battuta è più profonda di quanto sembri. E il lavoro del penalista è più interessante di quello del civilista.
Una famiglia di penalisti come l’ha presa, quando hai deciso di diventare un poeta?
Quando ho lasciato Legge per Lettere in casa si è avvertita un po’ di tristezza: ma mio papà è stato molto sportivo, se n’è fatto una ragione. Adesso in famiglia la mia carriera di poeta professionista vivente è accettata, anche perché vedono che la cosa funziona. A mia madre in realtà le mie poesie non piacciono, però non me lo dice in faccia. A mio padre sì, mi sembra che le apprezzi. L’ironia devo averla presa da mio padre.
E prima dell’università, dove hai studiato? Liceo?
Classico. Al D’Azeglio. I sei peggiori anni della mia vita.
Sei anni?
Mi hanno bocciato in tronco in quarta, e sono uscito alla matura con 36. Umiliante. Poi mi sono preso una bella rivincita: qualche anno fa mi hanno invitato proprio al D’Azeglio a leggere le mie poesie, ed è stata una catarsi. Da asino a poeta. E, soddisfazione delle soddisfazioni, ho scoperto che nella biblioteca del D’Azeglio c’è un quadro con le copertine dei libri scritti dagli allievi del liceo che sono diventati famosi scrittori: e c’è pure un libro mio. Non so se rendo l’idea. Un mio libro accanto a quelli di Pavese. Il fatto è che io volevo fare l’alberghiero. Al classico proprio non mi trovavo. Non studiavo. Una delle mie prime poesie fu un’invettiva contro il D’Azeglio. Adesso, se cerchi “D’Azeglio” con Google, quella poesia appare tra i primi risultati. Mi immagino un ragazzino che va in rete per informarsi sulla sua futura scuola e trova quella roba lì. Cosa puoi fare contro lo strapotere internettiano?
Nelle tue poesie parli molto di sesso. Sei un maniaco?
No. Almeno, non credo. Però ho avuto un inizio di attività sessuale difficile. Faticoso. Sono partito tardi, e solo adesso che sono diventato un sex symbol le cose mi vanno decentemente. Di conseguenza ne abuso. Sono come quelli che hanno sofferto la fame e poi trovano tanto cibo. Il fatto che scriva molto di sesso e di amore dipende dal fatto che mi piace molto e l’ho scoperto tardi. Almeno, credo che mi piaccia molto: anche se non ho ancora capito bene.
Ma quand’è stata la tua prima volta?
La prima fidanzata l’ho avuta a 24 anni.
Epperò! Un diesel. Lento in partenza.
Già. Un diesel. Che stenta a partire, ma quando parte non lo fermi più. Da ragazzo, quando tutti cominciano a fare le cose, io ero lì, fermo. Forse avevo una paura fottuta della figa. Nel mio primo libro c’è una poesia intitolata “La grande vagina cannibale”. Gran parte delle poesie di quel libro parlano di quella prima fase della mia vita, e della mia grandissima depressione da mancanza di amore e di sesso. Se le rileggo, vedo la mia psiche di quando avevo vent’anni: era un po’ sdrummata.
Sdrummata?
Sì, sdrummata. Con la erre. Io in realtà riesco a dirla, io, la erre. Insomma, vedi di capire: io ho cominciato a 24 anni a fare sesso, e le cose hanno preso ad andarmi decentemente a 30, bene a 35 e ottimamente a 40. Insomma, sono pochi anni che godo di una vita sentimentale appagante. Credo che questo spieghi tutto. Però immagino di non essere l’unico: tanta gente ha problemi, per questo si identifica in quello che scrivo.
Adesso sei fidanzato?
Non più, per l’appunto da due anni. Per questo dico che da due anni le cose mi vanno ottimamente. Ho avuto delle fidanzate, prima: anche fisse, anche di lunga durata. Ma adesso non riesco più a vedermi fidanzato. Mi piacerebbe innamorarmi di nuovo, in teoria. In concreto no… non so.
Sbadigli? L’argomento ti annoia?
No, tutt’altro. E’ che ho dormito pochissimo, stanotte: soffro di insonnia da cambio di stagione e da ansia per le cose che ho da fare. Adesso anche il lavoro ha cominciato ad andarmi bene, e ho grossi problemi di gestione.
Il lavoro di poeta?
Beh, è diventato un lavoro. La primavera scorsa mi sono pure aperto la partita Iva. Sono una micro azienda, insomma. Scrivo le mie cose e poi le vendo in giro per l’Italia. E nonostante la crisi funziona. Strano, no? Credo ci sia un collegamento, tra la crisi e la voglia di poesia: ma non so quale. In compenso adesso sono incasinato con l’organizzazione del mio tempo. Dovrei scrivere, e invece perdo le giornate per promuovere il mio lavoro, mandare mail, cercare ingaggi. Avrei bisogno di una segretaria. E commetto anche errori marchiani: il più classico è fissare due serate consecutive in due città a mille chilometri di distanza una dall’altra
Non ho capito se in questo periodo stai scrivendo o no.
Ho un contratto con una importante casa editrice per scrivere un romanzo. Questo è il mio grosso problema, adesso: in realtà io non sono strutturato per un romanzo, sono come uno che ha sempre fatto i cento metri, e gli tocca di correre la maratona. Parte per maratona correndo come per i cento metri. Così dopo 600 metri crolla. E’ un’impresa che mi costa sangue e sudore, e onestamente non so come affrontarla. Il metodo per scrivere poesie è diverso dal metodo per scrivere romanzi. Forse dovrei iscrivermi a un corso da romanziere.
Perché hai accettato la proposta?
Semplice: perché mi hanno dato dei soldi. E’ la prima volta che mi pagano in anticipo per scrivere qualcosa. Di solito mi pagano dopo, o non mi pagano e basta. Poi è anche una questione di ego. C’è chi darebbe una mano per avere la fiducia di una grande casa editrice che gli propone di pubblicare un romanzo. Terzo, sono uno che dice sì facilmente. Mi piace sperimentare cose nuove. Ad ogni modo, ci proverò. Conto sull’aiuto della giovane editor che mi hanno affiancato.
Che tipo è?
La giovane editor? Incoraggiante. Brava, direi. Sembra un elfo. L’ho anche scritto nella prime pagine del romanzo. Ma loro non vogliono un romanzo su come scrivere un romanzo.
Ad ogni modo, anche questo è un segno tangibile del successo.
Beh, successo è una parola grossa. Di sicuro, la mia è stata una lunga marcia. Ho cominciato dodici anni fa con “I cani hanno sempre ragione” e in dodici anni ho pubblicato solo sei libri. Sono uno che crede nei piccoli passi. Ora però sento che non è più il momento di attendere. Ho scoperto che se uno preme sull’acceleratore, i risultati arrivano. Io ho sempre adottato la tecnica di fare le cose e aspettare, senza andare in giro a chiedere. Questo forse mi ha rallentato.
La tivù ti ha aiutato?
Parecchio. Da quando ho partecipato a “Celi mio marito” su Raitre mi chiamano di più a fare spettacoli, è aumentato il pubblico, e aumentano le visite su internet. Direi che la tv vale un 30 per cento in più di pubblico. Se vai in tivù, a prescindere dal successo della trasmissione, sei comunque più figo. Cresce il tuo tasso di figaggine, ti considerano di più. Sei come uno che prima giocava magari in serie A, ma per non retrocedere, mentre adesso può puntare alla Champions. Non oso immaginare che cosa significhi essere in una trasmissione che funziona moltissimo, che cosa significhi spaccare davvero in televisione.
Così ora sei sempre su e giù per l’Italia per i tuoi reading.
Credo di essere stato in tutte le regioni tranne Molise e la Calabria. Non ci sono grosse differenze, tra Nord, Centro e Sud: ho trovato bei pubblici da Aosta alla Sicilia. Al limite la differenza la trovo nella gente: al Centro-Sud è più calorosa. E si mangia meglio. Almeno, a gusto mio.
Mangiare in giro ha nuociuto alla tua linea?
Assolutamente sì. Quando sarò ricco e potente, oltre a una segretaria che mi spicci le faccende burocratiche, avrò anche un cuoco che mi seguirà ovunque e mi preparerà pranzi dietetici. Nell’attesa, mi abboffo di delizie regionali saporitissime, e al diavolo la dieta. La settimana scorsa sono stato in Abruzzo e ho impazzato senza freni inibitori dall’arrosticino al pesce. La gente è ospitale, te l’ho detto, e quindi non vede l’ora di farmi assaggiare le specialità del posto.
Stiamo avviandoci all’esaurimento dello spazio che ci ha messo a disposizione l’editore. Hai ancora qualche messaggio che vorresti consegnare alla posterità?
Direi che i temi fondamentali li abbiamo toccati tutti: amore, sesso, cibo. Ecco, resta da parlare di morte. Un mio libro si intitola “Piuttosto che morire mi ammazzo” e vorrei dire che ho una dannata paura di morire. Preferirei non morire almeno per i prossimi trent’anni. Per questo ho smesso di fumare. Voglio dire alla posterità che fumare nuoce gravemente alla salute. Soprattutto alla salute di uno come me, che se prende un vizio diventa subito un dipendente smodato. Sono cintura nera di dipendenza.
Come ti poni con i funerali?
Non ci vado mai. Neanche a quelli di famiglia. Una cosa da non fare è invitarmi a un funerale.
E ai matrimoni?
Dipende. Alcuni sono noiosi da spararsi nei coglioni, ma mi è capitato di andare a matrimoni divertenti... Consiglierei però alla gente di non sposarsi d’estate, quando fa un caldo da impazzire, e bardati come si va di solito ai matrimoni è una sofferenza infinita. Non c’è niente di male a sposarsi a febbraio o novembre, e il clima è più accettabile.
Sei soddisfatto di questa intervista?
Quando faranno le tesi di laurea di sicuro la leggeranno. Mi domando quando faranno la prima tesi di laurea su di me: chi la farà, e leggerà questa intervista, sappia che ha tutta la mia stima. Per il momento mi basta essere stato materia d’esame alla maturità. La professoressa di un liceo torinese mi ha invitato a un incontro con le sue classi, dopo aver regalato a tutti i ragazzi un mio libro, e così sono diventato parte del programma, pur non essendo morto da cinquant’anni, e anzi piuttosto in salute. In compenso, a Verona, a un convegno sulla poesia, c’era un professorone dell’università che quando ci siamo incontrati mi ha stretto la mano senza neanche guardarmi in faccia, se n’è andato a metà del mio reading, e il giorno dopo ha scritto un post feroce sulla pagina degli organizzatori dicendo che era uno scandalo aver invitato un “cabarettista di second’ordine”. Penso si riferisse a me. Ma in questi casi io non replico: vorrebbe dire che comincio a prendermi sul serio. Non sia mai.


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