La squadra di Matera 2019: Paolo Verri è il terzo da sinistra in piedi |
La mente del meritatissimo successo di Matera si chiama Paolo Verri. E' torinese. E' quello stesso Paolo Verri che quattro anni fa fu costretto a lasciare l'incarico di direttore del Comitato Italia 150 per volontà di qualche satrapo di mezza tacca, infastidito dalla sua libertù di pensiero; e dovette andarsene da Torino inseguito dall'odio di politicanti meschini che misurano il mondo con il metro della loro miseria umana e intellettuale.
Matera ha capito le straordinarie doti di Verri come organizzatore culturale, lo ha voluto come direttore del progetto per la candidatura europea, e ne ha tratto i vantaggi che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Torino si è tenuta i politicanti e i loro reggicoda tronfi e incapaci, e anche qui i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
I servi sciocchi e i loro padroni leggano (se sanno leggere) cosa scrive in questo giorno di gloria Paolo Verri sulla sua pagina Fb. E se ne sono capaci, si vergognino. "Prima in tre, poi in cinque, poi in dieci, ora quasi in venti inclusi alcuni straordinari volontari, abbiamo costruito la candidatura – una candidatura che ora appartiene a qualche migliaio di persone, una candidatura che (come mi ha appena detto una giovane giornalista di Potenza) ci ha fatti crescere e acquisire fiducia in noi stessi e nel modo in cui dobbiamo relazionarci con gli altri. Costretti dai tempi e dai modi, per certi versi innaturali e assurdi, del percorso di candidatura, abbiamo dovuto fare cose che ci hanno uniti (talvolta anche divisi, ovviamente) ma che ci hanno costretti al confronto. E’ chiaro che Matera 2019 è diventato un modo per costruire il capitale sociale del futuro del territorio, un territorio che dal punto di vista culturale e politico, oltre che economico, deve e dovrà appartenere sempre di più a una generazione di trentenni in grado di avere idee, e di realizzarle davvero, di livello europeo".
Ecco. In quattro anni Matera si è costruita un futuro. Torino se lo è distrutto.
Per svariate ragioni, certo. Non ultima la congenita incapacità di riconoscere e accettare il talento, la genetica avversione contro chi non si adegua al ruolo di servo sciocco.
Anche per questi mali che le corrodono l'anima, Torino non si salverà.
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