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LA FANFARONATA DEI 15 MILA EURO E IL MUSEO DELLA BUGIA

Voglio dire qualcosa di molto impopolare. Ma dell'impopolarità me ne sbatto. Quindi lo dico: non prendetevela sempre e comunque con i giornalisti. Magari a volte sono creduloni, buttano giù e non verificano, non dico di no. Chi mi conosce, anzi, sa quanto queste pecche della categoria mi mandino ai matti. Ma considerarci comunque e in ogni circostanza complici, o artefici, della menzogna, è superficiale. Come prendersela con gli effetti senza considerare le cause.
Lo dico pensando ad alcune reazioni in rete alla notizia che la Fondazione Torino Musei ha finalmente ammesso - in seguito a un'interpellanza del M5S in Consiglio comunale - che il riallestimento del Mao è costato quasi 300 mila euro (Iva compresa), e non 15 mila, come affermato in un articolo de La Stampa pubblicato sul numero del 3 aprile scorso.
Vabbé, credere che un simile lavoro fosse costato così poco è stato un atto di fede che va oltre i più eroici e irrazionali convincimenti di tutti i tempi e di tutte le religioni. Una credulità che adesso fa il paio con quella dei complottisti da bar e da tastiera che ipotizzano, scaltri: "I lavori saranno costati 15 mila euro, il resto se lo sono rubati". Bravo genio: se mi trovi un'impresa che ti ristruttura un museo come il Mao (o pure una civile abitazione della stessa metratura) per 15 mila euro, ti nomino ministro dei Lavori pubblici.
Però (senza appellarmi alla solida stima che nutro per i colleghi) un'analisi dei documenti mi induce a pensare che nel caso in questione non vedo traccia di complicità nel mendacio.

Un'analisi dei testi

L'articolo comparso su La Stampa di ieri, 23 settembre
La presidente di Torino Musei, Patrizia Asproni, nella risposta all'interpellanza dei Cinquestelle assicura di non aver mai rilasciato  "dichiarazioni in cui asserisce che il costo del riallestimento fosse di 15 mila euro". L'autore dell'articolo de La Stampa del 3 aprile scorso, citato nell'interpellanza, conferma invece sull'edizione del quotidiano torinese di ieri, mercoledì 23,  che quella cifra era stata "confidata" a margine della conferenza stampa da non meglio indicati "organizzatori", presumo lo staff del Mao o della Fondazione Musei. E precisa, l'autore dell'articolo, che "non era stato facile strappare" la notizia ai timidissimi "organizzatori", i quali, aggiunge, si schermivano vezzosetti dicendo "siamo stati così bravi, abbiamo speso così poco che non ve lo diciamo".
Tuttavia, a quanto pare, i timidissimi hanno poi vinto la loro naturale riservatezza: tant'è che la stessa cifra, 15 mila euro, risulta anche da altri servizi giornalistici coevi. La conferenza stampa "a margine" della quale sarebbe trapelata la falsa notizia si tenne il 2 aprile di quest'anno. Ebbene, oltre all'articolo de La Stampa del 3 aprile, da una piccolissima ricerca me ne risulta un altro, sempre in data 3 aprile, pubblicato on line da  Artemagazine (si parla di "nuovo allestimento da 15 mila euro"); mentre sul Giornale dell'Arte di maggio si accenna allo "scarsissimo budget a disposizione, neanche 20 mila euro".
Mi obietterete che avranno ripreso la cifra di 15 mila euro da quel primo articolo de La Stampa. E' possibile, anche se lascia adito a qualche dubbio il fatto che Il Giornale dell'Arte salga a 20 mila euro, il che farebbe presupporre un'altra fonte, che cercava di "aggiustare il tiro".
Si può anche immaginare un fraintendimento fra lo staff che parlava di 15 mila euro come costo di progettazione (e non dei lavori) e il cronista. Mi pare tirata per i capelli, ma può essere. E voglio persino contemplare - senza condividerla - la linea difensiva dell'Asproni ("non ho mai rilasciato dichiarazioni di quel tenore") che implica la non velata accusa al cronista di essersi inventato tutto. 
Comunque siano andate le cose, il nocciolo del problema non è un articolo (o più articoli) su uno o più giornali, con una notizia non vera: bensì la responsabilità di chi - rappresentante di un'istituzione pubblica - su quella notizia non vera ci ha marciato, o quantomeno non ha fatto nulla per rettificarla.

Il dovere di smentire

Comunque siano andate le cose, infatti, Patrizia Asproni e l'ufficio stampa della Fondazione Torino Musei hanno avuto il tempo, e i mezzi, per rimediare alla fanfaronata di sen sfuggita. Non si trattava di un'opzione, ma di un preciso dovere. Il dovere di bloccare sul nascere una falsa notizia che si diffondeva e acquisiva credibilità restituendo un'immagine tarocca e imbellettata dell'operato della Fondazione e dell'uso del denaro pubblico. L'ho scritto l'altro ieri, lo ribadisco oggi: non essere intervenuti, l'aver taciuto e tacendo acconsentito, non è stata semplice leggerezza, bensì una plateale violazione dei più elementari doveri di trasparenza e credibilità propri di un'istituzione civica, pagata dai contribuenti.

Le inevitabili conseguenze

Le conseguenze di un simile comportamento sono chiare a chiunque, e ancor più dovrebbero esserlo al sindaco Fassino e alla presidente della Fondazione Torino Musei, Asproni.
Adesso la consigliera M5S Appendino definisce il Mao "il museo della bugia" (un po' enfatica, ma alla luce di quanto sopra esposto è difficile darle torto) e chiede - per ora informalmente, su Fb - le dimissioni di Patrizia Asproni.
Non sono quasi mai d'accordo con i Cinquestelle. Ma in questo caso non si tratta di condividere una posizione politica. Si tratta semplicemente di fare due più due, e seguire la procedura prescritta dalla legalità, dal buon senso e dalla dignità di un'amministrazione che fra meno di sette mesi si sottoporrà al giudizio degli elettori.

Commenti

  1. Solo una cosa non mi è chiara: la Minucci ha chiesto IN CONFERENZA STAMPA quale fosse stato il costo e la domanda non ha avuto risposta? Se sì quello sarebbe stato un fatto del quale informare il lettore, invece di cogliere notizie "a margine" come se l'oggetto fosse un gossip sentimentale e non l'impiego di denaro pubblico.

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    1. Gentile lettore, non ero purtroppo presente alla conferenza stampa (non mi avevano avvertito, chissà perché) e non posso quindi testimoniare su questo aspetto. Non giudico il lavoro dei colleghi. Sono però d'accordo con lei: semmai mi capitasse di fare una domanda del genere e l'interpellato rifiutasse di rispondere, personalmente pianterei un casino d'inferno. Non sono ammissibili reticenze sull'impiego di denaro pubblico.

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  2. Un aspetto meno immediato di questa vicenda, che mi amareggia molto, è il danno di reputazione che subisce il Museo tutto, compreso quel personale che riceve le lodi dei visitatori per cortesia, preparazione e disponibilità e che era risultato, in questo senso, il migliore della Fondazione.

    È triste vedere che tutto lo sforzo e l'impegno che ci si mette per migliorare le cose dal basso venga annullato da suggestioni di malcostume che fanno guadagnare definizioni come "il museo della bugia".

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  3. ridicolo, a margine, lo scollamento dalla realtà per cui è da una parte credibile e dall'altra pensabile che 15mila caffé siano stati sufficienti per tutto quel lavoro. Quanto poco deve significare il denaro per queste persone per poter pensare una cosa del genere?

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  4. Eh, caro Gabo, non smettere di sognare… ma veramente ti aspettavi che la Fondazione o la direzione del Mao rettificasse quest’informazione? Ma com’è? Se un giornalista pubblica una cosa magari non del tutto precisa ma che nuoce a taluni, questi si stracciano le vesti, urlano a gran voce smentite, minacciano querele oltre che la testa del giornalista mendace, ma se la medesima notizia ha il pregio di far buon gioco ai suddetti taluni, questi si stanno zitti zitti perché alla fine finche dura…Dovevano farlo per adamantina chiarezza e senso di onestà? Ma va là! Ma qui si parla del Mao, di un museo gestito con totale arroganza come se fosse cosa propria, un museo al di sopra delle regole o di regole fatte a proprio uso e consumo e di cui non si picca di rispondere a nessuno. Qui si parla di un museo che negli ultimi tempi di chiarezza, trasparenza, di regole rispettate ne ha fatto carta da cesso. Ma com’è che a ben altro giovane direttore di ben altro museo torinese tutti fanno “chapeau” ? ci sarà un perché…O vi siete dimenticati la “particolare” vicenda del pluripotente direttore del Mao? A questo proposito… ma che ne è stato dei buoni ispettori che dovevano far chiarezza? L’hanno poi fatta? E dell’esposto in procura? Io continuo a sognare che prima o poi arrivi qualcuno a buttar giù dalla rupe chi continua a prenderci tutti per fessi o buontemponi, dipende dai punti di vista…

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