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MITO, SI DIMETTONO I VERTICI

Our local hero. Come si vede dalla figura, Enzo Restagno aveva capito da mo' che non era più cosa...
(ANSA) - TORINO, 23 SET - Lasciano i vertici di MiTo. Si sono dimessi il direttore artistico Enzo Restagno e il presidente del Comitato di coordinamento Francesco Micheli. "Non ci sono scossoni al vertice di MiTo, questo ricambio era annunciato. - commenta il sindaco di Torino Fassino (adoro Filura quando fa finta di niente, ha un talento innato. Nota di Gabo) - Restagno aveva preannunciato che con questa edizione di MiTo considerava conclusa la sua esperienza alla direzione del festival, così come Micheli aveva fatto sapere che altri impegni lo avrebbero portato a lasciare la presidenza".

Enzo Restagno ha precisato che la sua decisione è dettata da motivi personali, dopo trent'anni di direzione, e che "non ci sono dietriologie"

Come volevasi dimostrare.

MITO E I MITOMANI: LA STUPIDA FINE DI UNA STUPIDA IDEA

E se non bastasse

NIENTE SPONSOR PER TODAYS, PROVIAMO CON MITO

E onore a Renzo Restagno, che non è stato al gioco

BARNUM, YESMEN E MORAL SUASION: UN POST SUL POTERE

Come bonus track, un  mio articolo per La Stampa del 24 giugno scorso.

Nel 2007, quando Torino accettò di “spartire” con Milano la trentennale esperienza e reputazione di Settembre Musica per creare Mi.To, chi criticò quella scelta fu liquidato come il solito torinese rancoroso contro Milano “che ci porta via tutto”.
Lì stava l’equivoco. Non è vero che “Milano ci porta via tutto”. Siamo noi torinesi che non sappiamo tenerci ciò che abbiamo. Né valorizzarlo. Per scarsa autostima; o forse per banale provincialismo. La parabola di Mi.To è esemplare. In questi anni a Torino il festival ha stentato, stretto fra la riduzione dei contributi pubblici e la penuria di sponsor. Milano gli sponsor li ha, e ha più attenzione dai media. Spesso sui giornali non torinesi Mi.To viene citato come “festival milanese”: come se Torino fosse tutt’al più una succursale. Così le folle di turisti melomani sono rimaste una pia illusione. Mi.To a Torino resta un festival per soli torinesi.
Il fatto è che in otto anni tutto è cambiato. Quando Milano entrò in partita, era culturalmente in declino; Torino usciva invece dalle Olimpiadi, e si credeva forte. Poi Milano ha ritrovato coraggio e forza ideativa, mentre Torino in crisi vacillava, e cambiava le sue politiche culturali. Oggi l’amministrazione Fassino ha altro per la testa: il Comune ha stretto i cordoni della borsa, mentre sono nate nuove manifestazioni, più “popolari”, come il Jazz Festival e il Festival di Musica Classica, che assorbono risorse e sponsor. A discapito di Mi.To.
E’ quindi stravagante che l’assessore Braccialarghe scopra solo oggi che l’accordo con Milano, prossimo alla scadenza, non ha dato gli esiti sperati. Ripeto, era prevedibile, e la colpa è soltanto nostra.
Non mi stupisce invece che l’assessore pretenda dal festival risultati “coerenti con l’investimento economico”. Può essere un buon punto di partenza per liberarsi di una creatura ormai malvoluta. Meglio elargire al popolo una bella “Carmen” in piazza, con gli amplificatori da concerto rock: è più glamour.

... e la mia rubrica su TorinoSette del 26 giugno

Dopo nove anni di sottaciuti maldipancia, qualcuno finalmente si è posto la domanda; e si è dato una risposta. La domanda è doverosa: Torino ha tratto qualche vantaggio dall’aver “regalato” a Milano il suo Settembre Musica, sciogliendolo in Mi.To? La risposta è ovviamente no.  
All’assessore Braccialarghe va il merito di aver espresso la domanda, e adombrato la risposta.  
Purtroppo, come spesso accade, se la risposta è esatta non altrettanto esatte ne sono le motivazioni. Braccialarghe rimprovera infatti a Mi.To di costare molto e di non portare turisti. Sul “costare molto”, glisserei: taglio dopo taglio, ormai Mi.To a Torino costa più o meno come il Jazz Festival, ma dura un mese. E anche sullo scarso “appeal turistico” non insisterei troppo, al posto di Braccialarghe: mi risulta infatti che il pubblico del suo amatissimo Jazz Festival arriva al 90 per cento da Torino e zone limitrofe. Né si avvistano colonne di finlandesi e calmucchi in marcia verso piazza San Carlo per assistere ai pregiati concerti del Classical Music Festival, internazionale solo nel nome. Queste due ultime rassegne, peraltro, sono state create da Braccialarghe con il dichiarato scopo di attrarre turismo. Un pensiero che certo non assillava Giorgio Balmas, l’assessore alla Cultura che trentotto anni fa inventò Settembre Musica. Balmas era convinto (ma guardo un po’ che sempliciotto!) che la cultura serva ad elevare la qualità della vita dei cittadini, e a rendere una città un posto migliore dove vivere e far crescere i propri figli. Niente da vedere con la tassa di soggiorno. 
E’ pur vero che ai tempi di Balmas era impossibile immaginare Torino come una “città turistica”. Così com’è vero che rispetto ad allora l’offerta di concerti classici sotto la Mole in tutti i momenti dell’anno è enormemente crescita. Merito anche di Settembre Musica, che ha formato generazioni di melomani. Però cerchiamo di non perdere di vista la vera sostanza delle cose: se vogliamo ragionare sul futuro di Mi.To, facciamolo. Però facciamolo partendo dai presupposti corretti, non da un’impostazione bottegaia del tipo “pago quindi voglio vedere quanto mi rende”. La cultura non è una festa di piazza; e neppure un luna park. Può rendere, certo, anche sul piano economico: ma i suoi veri benefici riguardano le anime e le menti. Non i portafogli.








   

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