Baci e abbracci fra l'Antonellina Parigi e la direttrice Irene Dionisio Fra loro, Francesca Leon ammira raggiante la sororale affettuosità |
Non mi è chiaro a quale sfida si riferisse Giusta. Se alla sfida di far fuori Minerba, ok, certo è una sfida vinta da mo'; ma sai che sfida, quando tu hai in mano le leve del potere e l'altro non ha in mano nulla se non il suo nome e la sua storia, roba che ultimamente, in questa sventurata città, vale meno del due di picche quando la briscola è cuori.
Se invece Giusta intendeva dire che cambiare il nome e il direttore e pure lo stile di un festival dopo trentuno edizioni è una sfida - e lo è - allora la logica vorrebbe che si decida alla fine del festival medesimo se la sfida è stata o non è stata vinta. Non prima ancora che inizi.
D'altra parte, allo stesso tavolo pomodorinico sedeva - insieme con Giusta, con l'assessore Parigi e con la direttrice (ormai sempre meno pro-tempore) del Museo del Cinema Donata Pesenti - anche la mia amica Francesca Leon, quella che sostiene che gli studi sugli obiettivi dei festival si fanno alla fine dei festival; per cui una logica interna all'amministrazione a ben guardare c'è.
Un'apertura di credito
Ciò premesso, faccio il Marco Giusta anch'io, e mi esibisco in uno dei miei non frequentissimi endorsement. Di più: apro una linea di credito a Irene Dionisio. Mi rendo conto di prendermi un rischio notevolissimo: ma io non amministro niente, nemmeno me stesso, e se mi prendo un rischio alla leggera nessuno si fa male. Per cui me lo prendo. E dico che Irene Dionisio può farcela.Irene Dionisio nella sua riuscita imitazione del Gatto con gli Stivali |
Ad ogni modo, voglio crederci. Dovessi poi sentirmi fregato, avrò modo e tempo per ammettere il mio errore di valutazione, e rifarmi con gli interessi.
Meno soldi, ma il programma regge
Ciò che mi ha convinto, in realtà, oltre alle doti empatiche di Irene Dionisio, è un particolare minimo di un programma massimo, ampio fino alla fluvialità, pieno di spunti molto seri e molto importanti, ma anche di ospiti acchiappagente - cento, di cui trenta stranieri, new entry Jasmine Trinca - e di omaggi sornioni. Tipo l'ideona di piazzare il tributo a George Michael il sabato 17 giugno, giorno del Pride, ma alle 22,30 per intercettare i reduci della sfilata.Insomma, un programma degno di un festival di rango e tradizione. E non si vede che è fatto al risparmio: il Museo del Cinema, taglieggiato dal bilancio comunale 2017, ha scucito 405 mila euro, il 15 per cento in meno dell'anno passato; di quei soldi, la quota delle sponsorizzazioni è in lieve crescita, ma rappresenta appena il 15 per cento. "Vendere" un festival di cinema gay in questo paese tanto civile resta ancora un problemino non da poco.
Dove va Sodoma
Comunque, torniamo a Lovers e alla mia apertura di credito.Il particolare minimo che mi ha colpito è un evento del focus "Da Sodoma a...?". Un focus che, spiega la Dionisio, mira a rispondere a quella che lei definisce "una questione filosofica" (è laureata in filosofia mica per niente), ovvero quanto si sia evoluta, nei trentadue anni del Festival, la questione Lgbtqi (questa sigla si allunga ogni anno di più...), e quindi "capire da Sodoma dove si stia arrivando".
Ebbene, l'ultimo giorno del Festival, martedì 20, per questo focus proiettano "Ne avete di finocchi in casa?", un documentario di Andrea Meroni che prende il titolo da una classicissima battuta da commedia pecoreccia italiana degli Anni Settanta: mi pare di sentirla sulla bocca di Bombolo, o forse del Monnezza o consimili titani dell'epoca. Meroni esplora la presenza in quel cinema di genere (e soprattutto di generone) della figura del gay come spunto per lazzi di grana grossa; e ha intervistato pure alcuni protagonisti di quel cinema, da Lino Banfi a Enrico Vanzina, fino a Leo Gullotta, che certi orridi pregiudizi li ha vissuti sulla sua pelle.
Allegro ma serio
Ecco, l'idea di rivisitare in chiave critica, ma senza rinunciare al sorriso, quel periodo e quel cinema non è nuova - lo stesso Tglff l'aveva già fatto una quindicina d'anni fa - ma mi suggerisce una possibile chiave del Lovers di Irene Dionisio: serio ma allegro (per usare la definizione cara a un grande direttore del Tff, Steve Della Casa), capace di affrontare temi controversi con spirito cinefilo, o militante, ma anche con molta ironia. Questa è la linea che Minerba aveva scelto già tanto tempo fa.Di conseguenza oggi, valutando quel focus mi sento autorizzato a escludere il rischio che Irene, in ansia da prestazione direttoriale, abbia puntato troppo sull'autorialità severa, rinunciando all'anima ludica del "vecchio" Tglff. I film ci diranno se è riuscita a mantenersi nel giusto mezzo.
Da qui la mia apertura di credito. Che a questo punto non so se rallegri la neodirettrice ansiosa. Stamattina alla fine della conferenza stampa le ho detto, con un eccesso di affettuosità, "brava, mi piace il tuo festival, è quello che avrei fatto io". Ripensandoci, spero non si sia offesa. Una trentunenne potrebbe anche offendersi, se uno che ha il doppio dei suoi anni le dice che avrebbe fatto il suo stesso festival.
Gattopardi e brand rinfrescati
Ma forse proprio lì sta la "rivoluzione" di Irene Dionisio. Cambiare tutto perché nulla cambi, secondo l'insegnamento gattopardesco oggi di estrema attualità a Torino. Il "nuovo che avanza" di Lovers lo vedi - ripeto: al momento, e a schermi ancora bui - soprattutto nel contorno, nelle feste, nei nuovi premi, nella borsa per giovani cineasti, nelle iniziative "off" sparse per la città, nell'uso debordante dell'inglese e degli stilemi "trendy", nella rete di collaborazioni intessuta con ogni possibile realtà culturale torinese, dal Circolo dei Lettori al Salone del Libro, dal festival di cinema erotico Fish & Chips ad Artissima, fino al Tff nella persona della direttrice Emanuela Martini. Ma la sostanza mi sembra - da quel che capisco leggendo il programma - quella del "vecchio" Tglff. D'altronde è difficile rivoltare un Festival come un calzino nell'arco di pochi mesi; non si sa poi con quale vantaggio. Magari volevano semplicemente dare una rinfrescata a un "brand" che cominciava a patire l'usura del tempo. Nel commercio si usa: stessa merce, ma confezione diversa e più "moderna". La parola "Lovers", per dire, acchiappa più di una brutta sigla, Tglff. Magari regala un sognio. Con la i.Minerba, il presidente che non si intromette
Il presidente Giovanni Minerba è il titolare delle più belle giacche del cinema torinese |
Ma quanto a una presunta "supervisione" di Minerba, il presidente fa capire con i silenzi dell'uomo del Sud di non averci messo lingua, e di aver lasciato che Irene costruisse da sola, com'è giusto, il festival della direttrice Dionisio. Non vuole arrogarsi meriti non suoi. Neppure demeriti, nella sciagurata evenienza.
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