Ha ragione l'amico gentile: se rinunciamo alla nostra lingua per adottare quella del vincitore, non siamo solo sconfitti. Diventiamo schiavi.
Quindi mi correggo. Noi torinesi non siamo pirla. Siamo piciu.
Però i milanesi, quando parlano di noi, ci definiscono pirla. Tout se tient.
Stamattina le pagine dei giornali (qui trovate una ricca rassegna stampa) grondano dimostrazioni concrete di quanto siamo piciu. A sentire lorsignori, non si direbbe che ci siamo beccati una legnata memorabile; bensì che siamo andati a vincere due a zero in casa del Bayern.
Si passa dal vibrante entusiasmo del Chiampa ("Non è stato un compromesso, ma un'idea molto importante, interessante e positiva per provare a creare un nuovo evento che promuova la lettura e la diffusione del libro a tutti i livelli nel paese. Quindi, come dicevano i latini, e come molte volte succede, ex malo bonum", seee, tu parla latino, che loro intanto ci fregano...) ai cinguettii vacui di madamin Appendino, che come al solito se ne sta chiotta chiotta (in lingua locale: fa la monia quacia, antica tradizione salonistica) a scanso di guai peggiori. Da una primaria esponente del movimento del Vaffa, mi aspettavo un'adeguata risposta al trappolone di Franceschini: non pretendevo quella filologicamente corretta ("ma vedi un po' d'andartene affanculo..."), ma insomma, un po' di durezza con il "pdiota", come li chiamano loro, ci stava. Invece... Sarà che i leoni della tastiera di persona diventano agnellini. E poi una madamina torinese non dice vaffanculo, neppure se ha ragione.
Quindi mi correggo. Noi torinesi non siamo pirla. Siamo piciu.
Però i milanesi, quando parlano di noi, ci definiscono pirla. Tout se tient.
Stamattina le pagine dei giornali (qui trovate una ricca rassegna stampa) grondano dimostrazioni concrete di quanto siamo piciu. A sentire lorsignori, non si direbbe che ci siamo beccati una legnata memorabile; bensì che siamo andati a vincere due a zero in casa del Bayern.
Si passa dal vibrante entusiasmo del Chiampa ("Non è stato un compromesso, ma un'idea molto importante, interessante e positiva per provare a creare un nuovo evento che promuova la lettura e la diffusione del libro a tutti i livelli nel paese. Quindi, come dicevano i latini, e come molte volte succede, ex malo bonum", seee, tu parla latino, che loro intanto ci fregano...) ai cinguettii vacui di madamin Appendino, che come al solito se ne sta chiotta chiotta (in lingua locale: fa la monia quacia, antica tradizione salonistica) a scanso di guai peggiori. Da una primaria esponente del movimento del Vaffa, mi aspettavo un'adeguata risposta al trappolone di Franceschini: non pretendevo quella filologicamente corretta ("ma vedi un po' d'andartene affanculo..."), ma insomma, un po' di durezza con il "pdiota", come li chiamano loro, ci stava. Invece... Sarà che i leoni della tastiera di persona diventano agnellini. E poi una madamina torinese non dice vaffanculo, neppure se ha ragione.
Ma insomma, sfogliatevi i giornali: la politica sabauda racconta un'altra storia, a proposito di quel che è capitato ieri a Roma. Il diktat che segna la fine del Salone del Libro di Torino e la presa di potere di Mondazzoli e dei suoi alleati viene descritto come un accordo fra gentiluomini che porterà felicità a tutti. Mi ricordano, i nostri capitani del Titanic, certi allenatori nel pallone che alla sesta sconfitta consecutiva commentano il 5 a 1 beccato in casa dicendo "la squadra ha mostrato dei progressi, ci stiamo ritrovando".
Se preferite una metafora più letteraria, sono come quel cavaliere del Berni che, "del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto".
Se preferite una metafora più letteraria, sono come quel cavaliere del Berni che, "del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto".
A questo punto scatta l'effetto speciale "piciu contento": perché, mentre a Torino si celebra l'accordo, a Milano ridono come matti dei pirla subalpini, e continuano imperterriti per la loro strada, a farsi i cazzacci propri, considerando noi piemontardi - compresi ovviamente Chiampa, sindaco e Appendino - per quel che contiamo: zero.
Leggetevi l'articolo che compare oggi sulle pagine di Repubblica Milano, e che vi riproduco qui sotto; leggete come la pensa quello che ha i danée, il boss di Fiera Milano; e giudicate voi.
Ecco, questo è l'atteggiamento degli organizzatori e proprietari del Salone di Milano in merito alle "mediazioni" dell'inutile Francis e ai deliri consolatori di noi piciu sabaudi.
Quindi mi rifiuto di sprecare anche un solo minuto del mio tempo a strologarmi su come sarà (seeee, domani...), o potrebbe essere, il "Salone unico" immaginato da Francis e coboldi nell'urgenza di tacitare la banda dei piciu. Sarà come Fiera Milano e Mondazzoli vorranno che sia. E' loro diritto, la legge del più forte. Il potere ha bisogno di rappresentazione: Luigi XIV si costruì Versailles, loro si accontentano di farsi un Salone.
E il passo successivo della consacrazione di Mondazzoli sul trono dell'editoria sarà deportare a Segrate l'Einaudi. Scommettiamo?
Il post è assolutamente condivisibile. Mi piacerebbe che i piemontesi andassero a toccare i milanesi laddove fa più male: nelle tasche. Bisognerebbe boicottare gli editori milanesi. Non comprare più un libro e disertare gli eventi.
RispondiEliminaIo il Salone lo farei anche senza grandi editori comunque. Da lettore non li ritengo così necessari.
Si, ma bisogna esserne all'altezza ... haimè.
RispondiEliminaE noi abbiamo solo delle 'scartine', tacchini o cavalli da parata, da giocarci.