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"MANDIAMOLI IN PENSIONE, I DIRETTORI ARTISTICI": DIETRO L'ADDIO DI MARTONE C'E' UNA HIT DI PAOLO & CHIARA?

Noi credevamo: da sinistra, Filippo Fonsatti, direttore (non soltanto amministrativo?) del Tst; Mario Martone, direttore artistico
(o solo consulente?) del Tst medesimo; e Lamberto Vallarino Gancia (presidente del Tst che sull'oscura vicenda non interviene)
Ieri mi sono occupato delle mie cose, e mi è sfuggita quest'Ansa
TORINO, 17 MAR - Mario Martone lascia dopo dieci anni il Teatro Stabile di Torino, che nel 2015 ha portato al riconoscimento dello status di Teatro nazionale da parte del ministero per i Beni culturali. La notizia a pochi giorni dal debutto sotto la Mole, dopo il successo di Napoli, de 'Il sindaco del rione Sanità'. Il regista completerà il suo mandato, che scade a fine anno, firmando anche la stagione 2017-2018.
Dietro l'addio nuovi importanti impegni cinematografici.
"Negli ultimi giorni, Martone ha avuto la conferma di una serie di importanti impegni cinematografici, di grande soddisfazione ma molto gravosi. Abbiamo quindi preso questa decisione di comune accordo", spiega all'Ansa Filippo Fonsatti, direttore del Teatro Stabile di Torino di cui il regista era il direttore artistico dal 2007. "Avremo comunque tutto il tempo - aggiunge - per individuare una figura all'altezza della prestigiosa eredità di Martone".

Ovviamente la notizia è stata ripresa dai giornali.
In realtà la notizia non è che Martone lascia la direzione dello Stabile. Almeno in apparenza (e sottolineo in apparenza) Martone è al secondo mandato e dunque, a norma di Statuto, non potrebbe comunque restare oltre la scadenza del 31 dicembre 2017. Lo Statuto prevede infatti che il direttore (artt. 6 e 11) "può essere confermato per non più di una volta".
Ma le cose sono molto più complicate.

Arieccoce: di che cosa parliamo quando parliamo di direttori?

La notizia vera sta nelle parole di Filippo Fonsatti, direttore amministrativo del Tst (ma soltanto "amministrativo"? Prendete nota, il mistero s'infittisce). Dice Fonsatti: "Per statuto la presenza di un consulente artistico non è necessaria”. Vero: lo Statuto prevede un unico direttore che "svolge attività di definizione, programmazione e coordinamento delle manifestazioni teatrali e culturali ordinarie e straordinarie ed attività collegate".
Ora, notate: Fonsatti parla di un "consulente artistico", che potrebbe o anche non potrebbe essere scelto come successore di Martone. In tal modo, egli ci comunica che Martone non era un vero "direttore", bensì un "consulente" che a un certo 
punto, in virtù della sua "statura artistica", è stato "promosso" a direttore. Nell'intervista a La Stampa, Fonsatti infatti parla di "una statura tale che ha indotto lo Stabile, per lui, a fare un'eccezione sulle norme statutarie, conferendogli il titolo di direttore artistico mentre la legislazione vorrebbe, in quel ruolo, un consulente".
A questo punto bisogna chiarire.

Facciamo un po' di storia

Nel dicembre 2007, quando arrivò Martone, lo Stabile aveva, come da Statuto, un direttore unico. Prima di Martone c'era Le Moli, un altro regista teatrale. E prima di Le Moli c'era Castri, regista teatrale. E prima ancora Lavia, regista teatrale. Le funzioni gestionali, da Statuto di competenza anch'esse del direttore, all'epoca erano svolte in gran parte da Filippo Fonsatti, che aveva un ruolo "direttivo": prima esecutivo e in seguito anche amministrativo. Lo sdoppiamento dei direttori in artistico (Martone) e gestionale (Fonsatti) era però nei fatti, non nel dettato statutario.
Martone, al momento della nomina, era direttore e basta, senza distinzioni esplicite fra responsabilità amministrative e artistiche. Come Le Moli e gli altri registi che l'avevano preceduto. L'unico direttore dello Stabile previsto dallo Statuto. Com'è ovvio, però, Martone si interessava soprattutto dell'aspetto artistico, mentre Fonsatti seguiva il gestionale. Niente di strano: anche in precedenza, allo Stabile c'era sempre un signore che in concreto teneva i conti e gestiva la baracca.
Le cose cambiano nel 2015 quando entra in vigore la legge statale che riforma i teatri
Nel febbraio di quell'anno lo Stabile diventa "Teatro Nazionale": nel comunicato ufficiale si parla di Mario Martone come direttore artistico, e mentre Filippo Fonsatti viene definito "direttore esecutivo". 

Quando Martone non fu più "il direttore"

Dovete sapere che la succitata riforma dei teatri (decreto del 1° luglio 2014, articolo 12, comma 2, punto b) dispone che il direttore (unico: la legge non distingue fra ruoli amministrativi e artistici) non possa curare più di una regia all'anno, pena la perdita del contributo. Questo per impedire che qualche regista-direttore trasformi il teatro che dirige in una sua personale "casa di produzione". In verità Martone ha sempre limitato le sue regie per lo Stabile: ma sfiga vuole che proprio in quell'anno 2015 ne siano previste due. Per aggirare l'inatteso nuovo vincolo e non gettare alle ortiche una produzione già pronta ad andare in scena, Torino trova un escamotage. Se volete, una furberia. Ai sensi di legge il direttore del Tst diventa Fonsatti (che di regie non ne ha mai curate né mai ne curerà), e Martone prosegue il suo solito lavoro di direttore artistico, ma come consulente. 
La cosa non fu neppure notata, all'epoca, tant'è che a proposito di Martone si continuò correntemente a parlare di "direttore". Man mano, però, si prese a definire Fonsatti "direttore amministrativo" e Martone "direttore artistico". Di questa doppia direzione non c'è però ombra nel dettato statutario.
Quindi, se per la legge il direttore dello Stabile è dal 2015 Filippo Fonsatti, non è vero che Mario Martone lascia Torino perché scade il suo secondo mandato non rinnovabile. Come consulente, potrebbe benissimo proseguire la collaborazione - peraltro preziosissima.

Martone vede Appendino: Che dici, resto? Resta resta, anzi, vai

Adesso comincia il mistero. Cerco di ricostruire i fatti da tanti frammenti sparsi e notizie beccate qua e là. Ho provato a sentire Martone e Fonsatti, ma senza fortuna. Oggi i telefoni non mi dicono bene. Altre persone informate dei fatti parlano soltanto dietro mio formale impegno di rispettare (come sempre) il segreto professionale dei giornalisti. E già 'sta roba mi ruga, considerato che vivo nella città più trasparente del mondo.
Ad ogni modo, ecco cosa ho raccolto. Mi risulta che non tantissimi giorni fa Martone ha incontrato Appendino per discutere del futuro della Cavallerizza, ma anche del proprio: nel corso del colloquio si sarebbe detto disponibile a proseguire il rapparto con lo Stabile oltre la scadenza naturale del contratto a fine 2017 e Appendino sembrava perfettamente d'accordo. Insomma, banalizzando all'estremo: lui dice "che faccio, resto?" e lei gli risponde "Resta, resta!". 
E che doveva rispondere? Diavolo, un'eccellenza come Martone te la tieni ben stretta, no?
Invece no. Nel giro di pochi giorni qualcosa cambia. 

Dubito che ci abbia ripensato Martone, che prima si propone per una riconferma e poi scopre di avere troppi impegni lavorativi. Mah. Può essere, però stento a crederlo: per come lo conosco, Martone è una persona seria. E una persona seria prima aspetta di aver ben chiaro il quadro dei suoi impegni, e poi va a discutere il rinnovo dell'accordo con Appendino.
C'è anche chi collega l'addio alle difficoltà incontrate per riottenere l'uso della Cavallerizza da parte dello Stabile, cosa a cui Martone teneva molto. Ma mi pare tirata per i capelli.
Oppure, non so, può darsi che la conferma di Martone non garbasse al sindaco. In tal caso sarebbe arrivato il contrordine compagni, con buona pace di Appendino. E Martone, che è un gran signore, avrebbe preferito tirarsi indietro senza polemiche. Tanto non rischia certo la disoccupazione.

Chissà perché, mi ricorda il Museo del Cinema

In effetti noto degli interessanti parallelismi con il Museo del Cinema: pure alla Mole c'era un importante e apprezzato direttore artistico che svolgeva anche funzioni gestionali. Su input appendinesco viene messo alla porta in malo modo, salvo poi offrirgli una nebulosa "consulenza artistica" che in realtà manco si concreta; e intanto la ditta Ridarelli procede speditamente per sostituirlo con un direttore amministrativo amico, facendo al tempo stesso intravvedere la possibilità di affidare i compiti "artistici" a non meglio identificati "consulenti". Malheureusement la gherminella incappa in sgradevoli intoppi, e adesso tutto è fermo, nella più totale incertezza e nel mistero più fitto.
Storie così simili sono due indizi, e due indizi quasi fanno una prova. Ma quale sarebbe, in tal caso, il disegno complessivo? Un pogrom contro i direttori artistici? Soltanto il gusto di bullarsi cacciando in malo modo chiunque possa giovare alla crescita culturale di Torino? O che altro?

Operazione Battiato: mandiamoli in pensione, i direttori artistici

Faccio un'ipotesi: può darsi che i nuovi padroni del Comune vedano di malocchio la figura del direttore artistico in genere. 
Il fatto stesso di essere "artistico" presuppone una indipendenza di pensiero estremamente pericolosa. Gli amministrativi quasi sempre sono più ligi, non si impuntano su questioni di principio, badano a far quadrare i conti e poco si interessano di contenuti, idee e altri pericolosi ordigni.
Lo schema potrebbe quindi essere quello di eliminare la figura del direttore artistico ogni qualvolta se ne presenti l'occasione, sostituendola con un meno impegnativo direttore amministrativo.
Tanto che ci vuole per infilare quattro spettacoli in un cartellone? Prendiamo un consulente a caso, e ci togliamo la paura. Che se poi rompe i coglioni, ci vuol niente a farlo filare. 


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