La gatta frettolosa fa i gattini ciechi, mi ammoniva sempre la mia saggia nonna. E aggiungeva che presto e bene di rado avviene.
Ciò che colpisce, nella miserabile vicenda del Regio e in particolare nella miserabilissima sotto-vicenda dello pseudo-commissariamento forse che sì o forse che no o forse non so, è proprio la fretta. Che nei gatti può causare cecità, ma in politica è quasi sempre sintomo di insipienza, se non di coscienza sporca,
Chiara Appendino è una fuoriclasse dei tempi sbagliati: e stavolta si è superata annunciando la sua decisione di chiedere il commissariamento già il 29 di maggio, con un mese d'anticipo rispetto al termine del 30 giugno previsto dalla legge per la presenzazione del bilancio, ma neppur ventiquattr'ore dopo le perquisizioni che hanno segnato una svolta nell'indagine della procura sulle (per ora presunte) malversazioni della gestione Graziosi. Nota a margine: il termine di legge per l'approvazione del bilancio in realtà già dal 17 marzo risultava rinviato al 31 ottobre, ai sensi dell'art 35 del decreto "Cura Italia": eppure, guarda caso!, nessuno diede segno d'essersene accorto...
Adesso si scopre che non c'è ancora nessun bilancio da approvare, e se ne riparla in autunno. Che dire? Ecco la pistola fumante. Chiarabella ha parlato di "pura coincidenza" tra l'indagine e e l'alzata d'ingegno del commissariamento, presupponendo forse un deficit cognitivo dei suoi contemporanei. Ma quel giorno Appendino parlava di un bilancio 2019 in profondo rosso, con una perdita di due milioni e mezzo e un indebitamento di 27 milioni: bruscolini rispetto ai 59 del Maggio Musicale o dei 35 del San Carlo di Napoli, che nessuno si sogna di commissariare. Ma nei fatti la signora blaterava del nulla, di un bilancio in perdita che non c'era allora, come non c'è adesso. La società di revisione sta ancora facendo i conti. E' logico: non vogliono lasciarsi coinvolgere nel pressapochismo chiarabellesco. Loro, al contrario del sindaco, non hanno nessuna fretta. Non devono distrarre, con un commissariamento, l'opinione pubblica dall'evidenza, non trascurabile, che Chiara Appendino ha scientemente voluto e imposto a dispetto dei santi William Graziosi alla sovrintendenza del Teatro Regio, assumendosi esplicitamente la responsabilità politica del suo diktat.
Quello dunque era e resta il vero problema di Chiarabella e dei famigli che l'hanno sospinta e persuasa a piazzare Graziosi: non il bilancio del Regio, non i destini del nostro teatro. Ciò che conta, per certa politica, è lo scaricabarile, è il "lui è peggio di me", è trovare il capro espiatorio; e alla disperata aprire una nuova crisi per distrarre il popolo. Negli Stati autoritari gli autocrati placano la plebe irrequieta inventandosi un nemico esterno e dichiarandogli guerra: nella sonnacchiosa provincial Torino, per nostra fortuna, ci si limita, per cavarsi d'impaccio, a commissariare un teatro. Almeno non ci sono morti e feriti, e quando si tratta di bilanci è più facile addossare le colpe ai famigerati "quelli di prima". In effetti, la sofferenza finanziaria del Regio ha radici antiche; Graziosi alla sovrintendenza invece è pura farina del sacco chiarabellesco.
La frettolosa mossa del commissariamento finora aveva funzionato: di quello si discute in città, l'inchiesta su Graziosi e soci è passata in secondo piano, e fino a ieri Appendino interpretava con filodrammatica bravura il ruolo del sindaco responsabile che prende dolorosamente atto dell'ineluttabilità di una scelta difficile ma indispensabile per dare un futuro radioso all'ente lirico eccetera eccetera. Un futuro che, beninteso, si dovranno smazzare quelli che verranno dopo di lei, per cui sai a lei che gliene frega.
Appendino aveva fretta, e a ogni più sospinto assicurava che a fine giugno sarebbe arrivato il commissario, presupponendo quindi che entro quella data il bilancio 2019 in rosso fosse approvato e l'amico Franceschini desse il via libera. Ancora una decina di giorni fa in Consiglio comunale la Cocciuta lo aveva confermato solennemente. Poi il 30 giugno è arrivato ed è andato, e il bilancio non si è visto.
Eppure non è successo niente. Il Regio è ancora in piedi, l'acqua del Po non s'è mutata in sangue, e il folle mondo prosegue incurante la sua corsa nello spazio. I revisori hanno tempo fino al 31 ottobre per completare la revisione. Hai voglia. Poi magari appureranno che il bilancio è in passivo; o magari no. Magari non è in passivo, e qualcuno di mia conoscenza ha piantato tutto sto casino perché? Per chi? Per salvarsi la faccia o altre parti anatomiche? E per la sua bella faccia o altro le sembrava giusto gettare quattrocento lavoratori del Regio nell'angoscia, infangare la reputazione del nostro teatro lirico, sbattere il nome di Torino sui giornali? E nel frattempo, fino all'autunno, con quale stato d'animo lavorerà il sovrintendente Schwarz? Come potrà serenamente allestire una stagione senza la certezza di nulla, manco di esserci ancora? Quale artista firmerà un contratto con un ente lirico in simili condizioni? Ci canti tu, Chiarabella, l'anno prossimo al Regio? O ci fai cantare i tuoi tre tenores, Guenno, Dilengite e Giovara?
Ciò che colpisce, nella miserabile vicenda del Regio e in particolare nella miserabilissima sotto-vicenda dello pseudo-commissariamento forse che sì o forse che no o forse non so, è proprio la fretta. Che nei gatti può causare cecità, ma in politica è quasi sempre sintomo di insipienza, se non di coscienza sporca,
Chiara Appendino è una fuoriclasse dei tempi sbagliati: e stavolta si è superata annunciando la sua decisione di chiedere il commissariamento già il 29 di maggio, con un mese d'anticipo rispetto al termine del 30 giugno previsto dalla legge per la presenzazione del bilancio, ma neppur ventiquattr'ore dopo le perquisizioni che hanno segnato una svolta nell'indagine della procura sulle (per ora presunte) malversazioni della gestione Graziosi. Nota a margine: il termine di legge per l'approvazione del bilancio in realtà già dal 17 marzo risultava rinviato al 31 ottobre, ai sensi dell'art 35 del decreto "Cura Italia": eppure, guarda caso!, nessuno diede segno d'essersene accorto...
Adesso si scopre che non c'è ancora nessun bilancio da approvare, e se ne riparla in autunno. Che dire? Ecco la pistola fumante. Chiarabella ha parlato di "pura coincidenza" tra l'indagine e e l'alzata d'ingegno del commissariamento, presupponendo forse un deficit cognitivo dei suoi contemporanei. Ma quel giorno Appendino parlava di un bilancio 2019 in profondo rosso, con una perdita di due milioni e mezzo e un indebitamento di 27 milioni: bruscolini rispetto ai 59 del Maggio Musicale o dei 35 del San Carlo di Napoli, che nessuno si sogna di commissariare. Ma nei fatti la signora blaterava del nulla, di un bilancio in perdita che non c'era allora, come non c'è adesso. La società di revisione sta ancora facendo i conti. E' logico: non vogliono lasciarsi coinvolgere nel pressapochismo chiarabellesco. Loro, al contrario del sindaco, non hanno nessuna fretta. Non devono distrarre, con un commissariamento, l'opinione pubblica dall'evidenza, non trascurabile, che Chiara Appendino ha scientemente voluto e imposto a dispetto dei santi William Graziosi alla sovrintendenza del Teatro Regio, assumendosi esplicitamente la responsabilità politica del suo diktat.
Quello dunque era e resta il vero problema di Chiarabella e dei famigli che l'hanno sospinta e persuasa a piazzare Graziosi: non il bilancio del Regio, non i destini del nostro teatro. Ciò che conta, per certa politica, è lo scaricabarile, è il "lui è peggio di me", è trovare il capro espiatorio; e alla disperata aprire una nuova crisi per distrarre il popolo. Negli Stati autoritari gli autocrati placano la plebe irrequieta inventandosi un nemico esterno e dichiarandogli guerra: nella sonnacchiosa provincial Torino, per nostra fortuna, ci si limita, per cavarsi d'impaccio, a commissariare un teatro. Almeno non ci sono morti e feriti, e quando si tratta di bilanci è più facile addossare le colpe ai famigerati "quelli di prima". In effetti, la sofferenza finanziaria del Regio ha radici antiche; Graziosi alla sovrintendenza invece è pura farina del sacco chiarabellesco.
La frettolosa mossa del commissariamento finora aveva funzionato: di quello si discute in città, l'inchiesta su Graziosi e soci è passata in secondo piano, e fino a ieri Appendino interpretava con filodrammatica bravura il ruolo del sindaco responsabile che prende dolorosamente atto dell'ineluttabilità di una scelta difficile ma indispensabile per dare un futuro radioso all'ente lirico eccetera eccetera. Un futuro che, beninteso, si dovranno smazzare quelli che verranno dopo di lei, per cui sai a lei che gliene frega.
Appendino aveva fretta, e a ogni più sospinto assicurava che a fine giugno sarebbe arrivato il commissario, presupponendo quindi che entro quella data il bilancio 2019 in rosso fosse approvato e l'amico Franceschini desse il via libera. Ancora una decina di giorni fa in Consiglio comunale la Cocciuta lo aveva confermato solennemente. Poi il 30 giugno è arrivato ed è andato, e il bilancio non si è visto.
Eppure non è successo niente. Il Regio è ancora in piedi, l'acqua del Po non s'è mutata in sangue, e il folle mondo prosegue incurante la sua corsa nello spazio. I revisori hanno tempo fino al 31 ottobre per completare la revisione. Hai voglia. Poi magari appureranno che il bilancio è in passivo; o magari no. Magari non è in passivo, e qualcuno di mia conoscenza ha piantato tutto sto casino perché? Per chi? Per salvarsi la faccia o altre parti anatomiche? E per la sua bella faccia o altro le sembrava giusto gettare quattrocento lavoratori del Regio nell'angoscia, infangare la reputazione del nostro teatro lirico, sbattere il nome di Torino sui giornali? E nel frattempo, fino all'autunno, con quale stato d'animo lavorerà il sovrintendente Schwarz? Come potrà serenamente allestire una stagione senza la certezza di nulla, manco di esserci ancora? Quale artista firmerà un contratto con un ente lirico in simili condizioni? Ci canti tu, Chiarabella, l'anno prossimo al Regio? O ci fai cantare i tuoi tre tenores, Guenno, Dilengite e Giovara?
Lo riconosco, per certe cose 'sto sindaco ha talento: Attila non avrebbe saputo far meglio.
Se - e sottolineo se - il bilancio alla fine risulterà negativo, allora e solo allora si potrà anche discutere sull'eventualità di un commissariamento che, lo ribadisco, a fronte di un solo anno in rosso non è obbligatorio ai sensi dell'art 21 del dlgs 367/1996. Avere scatenato un inferno preventivo è sintomo nella migliore delle ipotesi di impulsività, debolezza di carattere, incapacità di controllare l'ansia, mancanza totale di prudenza e senso dell'opportunità. Nella peggiore, significa anteporre al bene della comunità il proprio meschino interesse politico. Nell'uno come nell'altro caso il giudizio non cambia. Inadeguata al ruolo.
Se - e sottolineo se - il bilancio alla fine risulterà negativo, allora e solo allora si potrà anche discutere sull'eventualità di un commissariamento che, lo ribadisco, a fronte di un solo anno in rosso non è obbligatorio ai sensi dell'art 21 del dlgs 367/1996. Avere scatenato un inferno preventivo è sintomo nella migliore delle ipotesi di impulsività, debolezza di carattere, incapacità di controllare l'ansia, mancanza totale di prudenza e senso dell'opportunità. Nella peggiore, significa anteporre al bene della comunità il proprio meschino interesse politico. Nell'uno come nell'altro caso il giudizio non cambia. Inadeguata al ruolo.
Attenzione che se a Ottivre c è il rosso, perché nessuno vorrà salvare im Regio come in passato, saranno i lavoratori a pagare o con il fermo dell attività o dello stipendio in virtù dell art. 24 legge 160/2016 aporovata dal Governo xon il ministro amico Franceschini......
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